Sangano
Il castello di Sangano
Relazione tecnica sugli scavi al castello
Importanti scavi nella storica Abbazia
La chiesa sotto il Castello
Un tempio dell’anno mille
Sangano nei primi documenti
Il vicus di Sangano, la sua pieve, il primo signore feudale
Sangano sotto la Signoria di Bonifacio il Rosso
e la chiesa di Santa Maria dell'Assunzione
Il Castello - foto di Secondo Pia anno 1897
Proprietà Museo della Sindone
Particolare del Castello - foto di Secondo Pia anno 1897
Proprietà Museo della Sindone
A sinistra il pozzo della cascina del Castello
Dipinto del Gonjn
Particolare
Particolare iInterno del Castello a dx il pozzo (viaggiata 1941)
Interno del Castello a destra il pozzo del diametro di circa tre metri
Gli eredi Schiari-Riccardi (conte Domenico Alessandro e il figlio conte Edoardo con le rispettive famiglie) mantennero anche, con le cascine Schiari, cioè le circa 100 giornate di prati e campi tra il Sangone, e la strada di Bruino e il molino la proprietà del castello fino al 1920 quando passò al Sig. Saracco che lo tenne fino al 1930 circa. Subentrando quindi i signori Casavecchia e nel 1941 il generale Bechis. Fu appunto la figlia di lui, Amalia Bechis ad associare alle sue ricerche alcuni compagni della Facoltà di Architettura dell’Università di Torino, (corso di Laurea di Architettura esame restauro documenti) e insieme, sotto la guida dell’ingegner Carlo Brajda, riportare alla luce le due absidi della chiesa benedettina, le fondamenta di due altari, e una terza abside attribuita al battistero o alla sacrestia dell’antica abbaziale oltre ai reperti di età romana e dell’area cimiteriale. Il castello ha così potuto, grazie a questi avvicendamenti, evitare i danni che lo stato di abbandono avrebbe ineluttabilmente arrecato e mantenere l’antica struttura medioevale, pur accogliendo taluni adattamenti interni ed elementi settecenteschi. Nel 1854 Emanuele Gonjn, fratello di Francesco, il pittore e incisore che illustrò su incarico del Manzoni l’edizione del 1840-45 dei Promessi Sposi, lo rese famoso riproducendolo nella serie delle incisioni dei castelli ancora facilmente reperibile.
Chiesa abbaziale - Scavo delle absidi nel cortile interno del castello, 22 febbraio 1955
Chiesa abbaziale - Scavo delle absidi nel cortile interno del castello, 22 febbraio 1955
L'Ing. Carlo Brayda durante gli scavi con Simone Calcagno
L'Ing. Carlo Brayda durante gli scavi con Simone Calcagno
Chiesa di Santa Maria dell'Assunzione
nel castello dell'Abbazia di San Solutore
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1 - castello
2 - Chiesa di Santa Maria dell'Assunzione
3 - antico cimitero
4 - Chiesa del secolo XVII, intitolata ai SS Martiri - ora casa Parrocchiale
5 - Chiesa Parrocchiale del 1706 intitolata ai SS Martiri
Facciata lato ovest del campanile
Fianco sud
Prospetto nord del campanile e vista interna del muro della navatella
Schizzo prospettico
Sezione delle absidi e gli altari
Pianta di Sangano
del 1757
che riproduce Sangano com’era nel catasto del 1684
Archivio di Stato di TORINO Sezioni Riunite
Abbazia SS. Solutore Avventore Ottavio
(elaborazione propria)
BIANCO= fucina de Brandoli
VERDE= orti-prati-giardini
GRIGIO= cortili
ROSSO= case
AZZURRO = fossato attorno al Castello che serve da peschiera e bealera che
alimenta il detto fossato e bagna i prati
BLU= sito dell’antica piazza
MARRONE= forno della Comunità ora diroccato
GIALLO e ROSSO= a righe all’interno del recinto del Castello sito della
Chiesa Antica di S. Maria dell'Assunzione e torre campanaria
GIALLO= Chiesa circa il 1580
Pianta di Sangano del 1757
Archivio di Stato di TORINO Sezioni Riunite
Abbazia SS. Solutore Avventore Ottavio
(elaborazione propria)
BIANCO= fucina de Brandoli
VERDE = orti-prati-giardini
GRIGIO = cortile
ROSSO = case
AZZURRO = fossato attorno al Castello che serve da peschiera e bealera che
alimenta il detto fossato e bagna i prati
BLU = forno diroccato
ARANCIO = casa Parrocchiale
GIALLO = Chiesa attuale e torre del Castello
NERO= cimitero
Relazione
tecnica sugli scavi al castello
Sangano (Comune di Bruino) prov. di Torino
Chiesa di Santa Maria dell’Assunzione nel recinto del Castello dell’Abbazia
di San Solutore
Relazione tecnica sugli scavi e ricerche effettuate dal 17 dicembre 1954 al
31 marzo 1955 e sui restauri e sistemazioni protettive dei ruderi eseguite
fino al 15 maggio 1955.
La
determinazione di iniziare le ricerche dei resti della chiesa in oggetto ebbe
origine dalla costatazione che un breve tratto di muratura in elevazione,
sito in aderenza al lato nord della Torre-Campanile, accennava ad un andamento
curvilineo tale da far supporre l’esistenza dei resti di una abside
della chiesa distrutta.
Inoltre l’osservazione che tutto il piano del giardino sito nel recinto
dell’antico Castello abbaziale era sopraelevato di circa un metro rispetto
al piano della campagna circostante e che durante i periodi di pioggia o neve
il terreno del giardino si prosciugava rapidamente, autorizzava l’ipotesi
dell’esistenza in loco di un vasto deposito di macerie provenienti dall’antica
chiesa. Per controllo si eseguì una attenta verifica nelle altre due
chiese costruite rispettivamente nei secoli XVII e XVIII a poca distanza dal
Castello e nelle costruzioni signorili esistenti in Sangano col risultato
di constatare che nessun elemento strutturale o decorativo della primitiva
chiesa era stato reimpiegato nelle costruzioni suddette, e che inoltre nessuna
traccia di depositi di macerie esisteva nelle vicinanze del Castello o nelle
campagne circostanti.
Nessun risultato diedero le ricerche di archivio, subito iniziate a Torino
Sangano e Bruino,
perché nessun documento letterario o grafico indicava la posizione
e l’estensione della chiesa e l’epoca della sua costruzione e
della sua distruzione; per questa era soltanto da escludersi che fosse avvenuta
per incendio, terremoto o fatti di guerra od altre cause violente di cui non
è conservata memoria né in Sangano né in paesi vicini.
La distruzione doveva pertanto essere avvenuta per opera dell’uomo,
in modo sistematico con spianamento delle macerie in sito, in epoca indeterminata.
Un’ulteriore osservazione confermò che le macerie dovevano trovarsi
a poca profondità del piano del giardino: infatti durante il tracciamento
della probabile curvatura dell’abside presso il campanile si constatò
che, in corrispondenza alla striscia tracciata, il terreno aveva una colorazione
diversa da quello circostante, noto fenomeno che indica strutture murarie
sepolte a poca profondità e perciò influenti sul grado di umidità
della terra e quindi sul colore di questa tutte le ipotesi suddette furono
confermate dagli scavi iniziati il 17 dicembre 1954 e condotti quasi ininterrottamente
fino al 31 marzo 1955.
I primi risultati furono le scoperte di due absidi, corrispondenti alla navatella
sud ed alla nave centrale; di struttura identica e ben collegate fra loro
nessuna traccia di una terza abside a nord ove una struttura muraria rettilinea
innestata a sinistra dell’abside principale e la presenza di un grande
albero con estese radici ostacolavano gli scavi.
Per avere una conferma di trovarsi in presenza di una chiesa concepita a due
sole navate, di un tipo cioè non singolare ma poco usuale, si effettuarono,
contemporaneamente agli scavi, attente ricerche mediante la spicconatura di
vari strati di intonaco di diverse composizioni che coprivano i muri divisori
fra il giardino e l’orto situato a nord ovest di esso. La ricognizione
fu condotta analizzando sistematicamente le facciate esterne ed interne di
detti muri perimetrali col risultato di mettere in luce sul fianco esterno
della navatella sette lesene regolarmente intervallate, oltre ad una lesena
più grande all’angolo sud-ovest, e sul muro ovest ampie lesene
corrispondenti all’allineamento dei muri longitudinali della nave maggiore.
In asse a quest’ultima si riconobbe l’antica porta della chiesa,
che era stata murata, la porta era sormontata da un architrave lapideo che
era sorretto da tre stipiti, indicazione che, per qualche motivo imprecisabile
a prima vista, la luce della porta era stata ridotta. Per rendersi conto di
tale motivo e non danneggiare gli stipiti esterni si iniziò la demolizione
della muratura di riempimento operando dall’interno della chiesa; tale
muratura era costituita da materiale incoerente, ciottoloni, lastre di pietra,
frammenti di colonnine a settori semicircolari lapidei o laterizi, il tutto
malamente collegato da terra proveniente dal vicino cimitero e frammista a
resti ossei umani.
Si potè così constatare che la larghezza originaria della porta
era stata ridotta per timore di crollo dell’architrave un pilastrino-stipite
sottostante alla frattura.
Per procedere alla liberazione totale della porta si eseguì il consolidamento
(previo puntellamento) dell’architrave, che rappresenta uno dei pezzi
più interessanti fra quelli venuti in luce e che trovasi ancora nella
giacitura originaria, come confermano i laterizi di origine romana opportunamente
sagomati ed alternati a blocchi di pietra, anch’essi sagomati, che costituiscono
lo stipite sud ad immediato contatto dell’architrave.
Il consolidamento, scartati gli antiestetici procedimenti di cerchiatura in
ferro, fu eseguito mediante speciale collante a pasta vetrosa che diede risultati
ottimi (operatore il Prof. A. Arista scultore).
L’architrave monolitico della porta principale della chiesa è
sagomato in modo da formare battuta per i due battenti della porta, ha due
fori laterali per l’introduzione dei perni superiori di detti battenti
nonché un foro centrale per il paletto di chiusura.
Si è rilevato che analoghi fori per i perni dei battenti esistono nella
soglia del portone di ingresso al Castello, nonché in un’altra
soglia di porta (forse della sacrestia della nostra chiesa) venuta in luce
durante gli scavi e poi reinterrata, come si dirà in seguito.
Nel muro sud, verso la metà della navatella, fu riaperta una porta
secondaria della chiesa con soglia ancora in sito ed architrave in lastra
di pietra con foro per il perno del battente. Negli stipiti di questa porta
sono praticati fori per il paletto scorrevole di chiusura e per l’introduzione
di una sbarra di sicurezza in legno. Con le ricerche suddette si è
quindi potuto delimitare con esattezza il perimetro di tre lati della chiesa;
per il quarto lato (nord) si scoprirono strutture di fondazione sull’allineamento
congiungente la lesena di facciata e la imposta nord dell’abside maggiore.
Circa la presenza di un eventuale muro perimetrale formante il lato nord di
una terza navata si seppe da testimonianze dirette che sull’allineamento
di questa eventuale terza navata esisteva, fino a pochi anni or sono, l’antico
pozzo del Castello (del diametro di circa tre metri) pozzo le cui strutture
sotterranee sono ancor oggi utilizzate per il disperdimento di acque meteoritiche.
Proseguendo gli scavi si rinvennero centinaia di frammenti di intonaco affrescato,
laterizi romani, romanici, gotici, la testata di una stele lapidea romana
con iscrizioni, marmi scolpiti, nonché numerosi resti umani in sepoltura
secondarie.
Per suggerimento della Sovraintendenza ai Monumenti si eseguirono assaggi
presso il fianco nord dell’abside centrale: si rinvenne un pavimento
in coccio pesto, un’absidiola a struttura muraria diversa e più
tarda delle due altre absidi e non simmetrica all’absidiola sud. Tale
absidiola nord era chiusa da un muro trasversale presso il quale si rinvenne
la soglia di una porta, probabilmente della sacrestia. Queste ultime strutture,
opportunamente protette da una muratura di drenaggio, furono reinterrate.
Torino 11 giugno 1955 - Ing. Carlo Brayda
13 febbraio 1955
Importanti scavi nella storica Abbazia
Domenica
scorsa il Soprintendente ai Monumenti prof. Umberto Chierici ha compiuto un
secondo sopraluogo ai lavori in corso nel recinto della storica Abbazia dei
Santi Solutore, Avventore e Ottavio per la ricerca della più antica
chiesa di Sangano dedicata a Santa Maria.
Da circa due mesi infatti, ad iniziativa della signorina Maria Bechis studente
al politecnico e figlia del proprietario del Castello di Sangano, stanno compiendo
interessanti scavi e importanti ricerche di archeologia cristiana che hanno
riportato alla luce il perimetro della millenaria chiesa di Santa Maria citata
più volte nei documenti medioevali dell'Abbazia, della quale si conosceva
soltanto l'elegante bellissimo; campanile trasformato poi in torre di difesa
del castello.
Gli scavi ai quali hanno collaborato molti studenti di Architettura del corso
di restauro dei monumenti, sotto la guida dell'ing. Brayda e di altri professori
del Politecnico, hanno messo allo scoperto le due absidi semicircolari della
chiesa mentre gli assaggi compiuti sui muri che dividono il giardino dall'area
dell'antico cimitero hanno rivelato il fianco e la facciata della chiesa nonché
la posizione della porta principale e di quella della navata laterale.
Si sono trovati molti pezzi di laterizi romani e medioevali, elementi di colonnine
e pilastri, tracce di affreschi, nonché moltissimi frammenti di ossa
umane; tutto il materiale raccolto sarà riordinato insieme a quello
che viene continuamente alla luce.
Proseguendo intanto gli studi di un interessante progetto che permetterà
di conservare in una degna sistemazione le storiche vestigia e che servirà
per il prossimo restauro della torre-campanile, importante testimonio dell'arte
romanica in Piemonte.
La Voce del Popolo – 13 febbraio 1955
La
chiesa sotto il Castello
E’ un tempio preromanico, il più antico di Sangano: l’hanno
scoperto, sotto il maniero
gentilizio, alcuni studenti del Politecnico di torino insieme al loro professore
(Dal nostro inviato) SANGANO, marzo.
Il castello
di Sangano è una di quelle antiche costruzioni di cui si può
quasi dire me ogni pezzo abbia un'età diversa e nelle quali se si gratta
con avvedutezza un muro si può trovai un mattone romanico o, alla peggio,
mettere alla luce qualche altro materiale di ricupero di origine molto antica.
È un castello in cui la storia ci sta di casa. Attraverso vari mutamenti,
il maniero ha però finito suo malgrado per assumere una placida aria
ottocentesca di “nobile casa di campagna”, con il suo bravo putto
in terracotta che ride ai piedi della reclinata, i suoi affreschi un po' stinti
ai soffitti e l'ampio cortile con la pergola sopraelevata al centro.
Un po' discosto, a ridosso del murò di cinta, si erge una vecchia torre,
con bifore e merlature difensive, testimonianze di passati rimaneggiamenti
e della vita contrastata del campanile in cui qualcuno dovette un tempo porvi
delle campane a suonare ed altri, in epoca più tarda, tolse le campane
e otturò le finestre dalla parte in cui doveva giungere il nemico.
Questa torre — ora che non è più mistico campanile nè
baluardo guerriero — guarda malinconicamente l'orto della famiglia del
generale Camillo Bechis, attuale proprietario dello storico castello.
Naturalmente, una costruzione come questa che abbiamo descritto, è
fatta per tentare chi abbia il gusto della ricerca archeologica. E infatti
la figlia del proprietario del castello, che è studentessa in architettura,
cedette qualche tempo fa a questa tentazione e decise di preparare la tesi
di laurea sul restauro della torre, tanto più che avendola sempre vista
a due passi dalla propria abitazione le era diventata ormai familiare.
Il professore del corso di restauro della Facoltà di architettura,
ing. Brayda. si recò al castello per controllare il lavoro della propria
allieva e qui la sua abitudine a «far parlare i muri» lo portò
alla scoperta della più antica chiesa di Sangano (certamente anteriore
al mille) dedicata a Santa Maria. Di questa chiesa, per la verità,
parlano i documenti medioevali dell'Abbazia dei Ss. Solutore, Avventore e
Ottavio, ma se ne erano misteriosamente perdute le tracce e di essa si conosceva
soltanto li campanile vedovato è trasformato in torre difensiva del
castello. Proprio mentre esaminava questa torre insieme con alcuni allievi
l'ingegnere Brayda ebbe l'intuizione che accanto ad essa, sotto la pergola
centrale del cortile, dovevano trovarsi i resti della chiesa di Sangano. Egli
notò sul terreno una diversità di colorazione, gli sembrò
che una vaga forma, disegnata dalla differenza di umidità, accennasse
ad un arco che si attaccava alla base del campanile e decise di scavare.
A mano a mano che qualche cosa affiorava dalla terra gli studenti apparivano
come elettrizzati: erano laterizi romani e medioevali, tracce di affreschi
e frammenti di ossa umane. Finalmente, dopo circa due mesi di scavi, ecco
apparire alla luce le due absidi semicircolari della chiesa in cui terminavano
due navate, una grossa ed una piccola.
A questo punto, per dovere di cronaca bisogna riferire che il fiuto dell'ing.
Brayda, un signore alto e dinoccolato per cui l'archeologia è tradizione
familiare, ha sbalordito i suoi stessi allievi. Questi insistevano perplessi
per trovare la terza abside dato che le chiese a due navate sono piuttosto
rare, ma l'insegnante, sicuro, ribatteva: «La terza navata non la vedo».
Sembrò dapprima un'osservazione eccessivamente arrischiata, ma gli
scavi successivi non fecero che confermarla, tanto, che gli studenti si guardarono
allibiti. “Non è un archeologo — mormorarono — è
un radar”. Ma le ricerche non finirono qui.
Professore ed allievi, uniti dallo stesso entusiasmo, effettuarono anche degli
assaggi sui muri che circondano il cortile ed individuarono il fianco e la
facciata della chiesa con la porta principale e quella laterale mal dissimulate
nella costruzione posteriore. Diedero quindi mano al piccone e scoprirono
che il modesto muricciolo destinato a dividere il cortile del castello dall'orto
attiguo altro non era che la linea perimetrale della misteriosa chiesetta.
Fu un successo. Ciò che era stato iniziato quasi per esercitazione
scolastica apparve subito un'interessante scoperta di archeologia cristiana.
Dinanzi all'ingresso del castello venne affissa un'indicazione che aveva tutta
l'aria di una bandiera piantata su una posizione di conquista. «Politecnico
di Torino. Agli scavi», diceva il cartello con la freccia indicatrice.
Più in là, sulla soglia di una porta che dà in un magazzino
un altro avviso con caratteri provvisori, ma orgogliosi, indicava: «Politecnico
di Torino. Museo Archeologico». All'interno dei museo improvvisato tra
i pezzi rari erano custoditi un tegolone romano con bollo, di età probabilmente
antonina, alcuni frammenti affrescati con colori giallini di una composizione
che ha resistito al tempo e la parte superiore di una stele in pietra con
la scritta: “Uritia D M”.
E’ la datazione della chiesa, probabilmente la più antica di
Sangano? Secondo l'opinione dell'ing. Brayda, essa sorse prima della fondazione
dell'Abbazia dei Santi Solutore, Avventore e Ottavio, e venne a far parte
del recinto abbaziale nei 1006 quando forse era l'unica chiesa del luogo.
Quanto all'epoca della distruzione della chiesa, il problema si presenta assai
spinoso e non si può che procedere per via di congetture. Poiché
sembra da escludersi che la distruzione sia avvenuta a causa di eventi bellici
o di terremoti, dato che in questo caso ne sarebbe pervenuta la notizia, vien
da pensare che la chiesetta di Sangano sia stata demolita in un'epoca contemporanea
o anteriore a quella in cui la torre campanaria venne trasformata in torre
difensiva. Questo calcolo è possibile grazie all'esame della struttura
muraria che consente di stabilire che merlature della torre sono del tipo
in uso nei secoli XIV e XV, data in cui con ogni probabilità l'antica
chiesa di Sangano venne demolita. Ma perchè? Perchè le pacifiche
bifore del campanile vennero trasformate in squallide feritoie ed i resti
della chiesa sepolti nel cortile del castello senza che di ciò rimanesse
traccia?
Nessun segno che quei materiale sia stato usato altrove si scorge negli edifici
del luogo. Lo storico dovrà quindi rispondere a questa domanda compulsando
testi e documenti ed esaminando gli elementi messi a disposizione dall'ing.
Brayda e dagli studenti del Politecnico di Torino. Forse, per quel che riguarda
Sangano, qualche pagina di storia deve ancora essere scritta.
Al castello intanto si sono recati il prof. Umberto Chierici, soprintendente
ai monumenti, ed alcuni professori del Politecnico mentre per i ritrovamenti
di origine romana è stato interessato il dottor Carducci soprintendente
alle antichità per il Piemonte. La storia, timida inquilina del castello
di Sangano, è di nuovo alla ribalta a dispetto di quell'aria pacifica
e ottocentesca che avvolge ora l'intera costruzione. E l'ultimo arrivato,
il putto in terracotta che ride al piedi della piccola scala, volge sempre
la schiena all’antica torre merlata.
Ernesto Gagliano
Il Popolo Nuovo 2 marzo 1955
A Sangano, dodici
allievi di architettura si sono trasformati in sterratori
Un tempio dell’anno
mille
Scoperto dagli studenti sotto un castello
Gli
studenti di architettura si sono trasformati sterratori per portare alla luce
i resti di una chiesa medioevale, nel cortile del castello di Sangano. Una
dozzina di giovani del IV corso, sotto la guida dei loro professore di restauro,
l’ing. Brayda. ha lavorato di pala e di piccone ed ha già fatto
emergere dal terreno l'abside centrale ed uno di quelli laterali. Il sovraintendente
ai monumenti ing. Clerici ha esaminato il lavoro compiuto dagli universitari
ed ha promesso l'interessamento della sovraintendenza che forse stanzierà
dei fondi per il proseguimento degli scavi.
A Sangano, un piccolo borgo, tra Bruino e Trana, l’attuale castello
è sorto, nel 700 accanto a quello medioevale di cui esistono ancora
un'ala una grande slanciata torre, probabilmente del 1200 o del 1300. L’ing.
Brayda trovandosi casualmente ospite degli attuali proprietari, notò
la scorsa estate una traccia di muro che si staccava dalla torre. Egli formulò
l'ipotesi, che doveva rivelarsi fondata, di una chiesa scomparsa, sepolta
sotto il castello, di cui la torre era in origine il campanile, e decise di
studiare a fondo il problema. Da qualche traccia sul terreno il professore
ricavò la convinzione che il tempio scomparso fosse ora sotto il cortile.
Le ricerche sui documenti gli offrirono qualche aiuto: in nessuna delle vecchie
carte si parla della distruzione della chiesa ma da un « diploma »
del vescovo di Torino Gezone del 1006 viene nominata la “corte di Sangano”,
cioè tutto un abitato, che veniva assegnato ad un monastero di Torino.
La donazione viene confermata dal vescovo Landolfo, nel 1011, che nomina anche
la chiesa battesimale di Santa Maria, e dalla contessa Adelaide nel 1079 che
parla dell'Abbazia di Sangano. Questo nome è tuttora conservato nella
zona dove il castello viene appunto chiamato «abbaziale». Certamente
in un cosi piccolo borgo non poteva esservi che una chiesa, quella appunto
che viene oggi alla luce.
Il prof, Brayda decise di porre la chiesa di Sangano come tema per le esercitazioni
pratiche di restauro che i futuri architetti compiono ogni anno su qualche
monumento del Piemonte. Approfittando delle vacanze invernali i giovani, alternando
il lavoro manuale e quello di misura, la funzione di manovale e quella di
archeologo, hanno messo alla luce la pianta della chiesa. Una navata centrale
ed una, laterale, accanto alla torre-campanile. Sotto gli strati sovrapposti
successivamente il muro di cinta del giardino si è rivelato anch'esso
medioevale: è stata trovata la porta, con un'architrave in pietra in
cui sono evidenti i buchi dei serramenti di ferro.
La terza navata non è stata trovata e l’ing. Brayda ha formulato
un’ipotesi che spiega l'irregolare: pianta della costruzione. La navata
centrale sarebbe la chiesa primitiva, anteriore al 1000, come dimostra la
rozza architrave della porta. Dopo due o trecento anni sarebbero state erette
la navata laterale ed il campanile, che appare già un'elegante opera
romanica dalle bifore ben modellate, anche se in parte chiuse nei secoli successivi
quando si trasformò in una bellicosa “torre” di difesa.
Ora i lavori continueranno per giungere fino alle fondamenta, scoprire un
eventuale pavimento a mosaico, togliere il recente intonaco dai muri per cercare
antichi affreschi che probabilmente esistono sotto di esso. Sangano offre
ancora molto lavoro ai futuri architetti e forse domani presenterà
un vasto interesse, non solo per i tecnici e gli specialisti.
Stampa Sera 1955
Ingresso al castello dell'Abbazia
Ingresso al castello dell'Abbazia
Che cosa rappresenta il castello
nella storia di Sangano?
Anzitutto,
coi resti ancora visibili della chiesa benedettina, il complesso più
antico e ricco di storia. Stabilita verso il 1006 l’origine dell’abbazia
torinese di San Solutore che, ricordiamolo ancora, si trovava dov’è
ora il mastio della Cittadella di Torino, Gezone la dotò di possedimenti
tra cui la corte di Sangano, che fu il primo nucleo di possedimenti abbaziali.
A Sangano, come negli altri centri di questi, l’abbazia aveva una casa
adiacente alla chiesa dove si portavano gli affitti in denaro o in natura.
A Sangano, come negli altri centri, non amministrava l’abate di San
Solutore, bensì un gastaldo, che poteva addirittura fare accensamenti
a nome del monastero. Il castello abbaziale non era quindi un luogo in cui
si faceva vita di corte: ritrovo di castellani, di feste e tornei. Era residenza
abituale del gastaldo e dei suoi aiutanti, deposito dei raccolti e delle decime
e dei tributi. Allo stesso modo Sangano non era un feudo come tanti altri,
nel quale il signorotto e la corte erano guardati con invidia e timore e facevano
vita allegra in un mondo inaccessibile e comunque molto più vivibile
di quello dei sudditi. Qui troviamo solo terrazzani, affittatoli, mezzadri,
massari, che, in tempo relativamente breve, diventano liberi agricoltori con
casa, orticello e piccolo podere. Dapprima, controllati da un monaco gastaldo
e da fermieri che verificavano, riscuotevano i fitti e i canoni dovuti al
“signor abate”, curavano la correttezza dei rapporti feudali tra
il signore del feudo e la comunità organizzata, poi liberi agricoltori
in una ordinata piccola società rurale. Il castello dunque, più
che dimora signorile, era abitazione del gastaldo, deposito bene attrezzato
di un luogo agricolo in cui si lavora sulle terre padronali; pronto a diventare
rifugio in caso di minacce dall’esterno del feudo. Diventava dimora
signorile quando l’abate veniva per la firma di atti importanti, o per
ricevere l’omaggio feudale e il rinnovo del giuramento di fedeltà
da parte degli uomini delle località che facevano capo alla corte di
Sangano (Palassoglio, Reano). I sanganesi per l’omaggio si radunavano
nella chiesa o in mezzo alle due porte del castello, o sulla piazza antistante
la chiesa abbaziale. Nella descrizione dei beni dell’abazia di San Solutore
acquistati dall’avvocato Alessandro Francesco Riccardi, fatta in data
20 dicembre 1800, così si dice del castello
“La fabbrica del castello contiene li seguenti membri:
Un torrione in cui vi è una stanza al piano terreno, servente di tribunale,
un camerino laterale, e posto a mezzanotte d’essa stanza, una stanza
focolare successiva ad uso cucina situata sull’angolo
di ponente, a mezzanotte di detto castello; un salone in seguito tendendo
verso levante, avanti il di cui uscio aperto verso mezzogiorno vi esiste un
piccolo ramo di scala esterno, per mezzo di cui da detto salone si scende
nel cortile di detto castello; due torrioni, uno d’essi meno elevato
dell’altro, che supera l’altezza della fabbrica del castello,
nel quale al piano superiore del terreno vi è la prigione;
una stanza successiva a lavante di detto salone, con altro torrione a mezzanotte
d’essa, e due altre camere laterali a quest’ultima, una d’esse
posta sull’angolo tra levante e mezzanotte di detto castello, e l’altra
posta a mezzogiorno della medesima, alla quale sussegue una stanza detta il
granaio, e finalmente una scala fiancheggiata dalla stanza, camerino
e cucina in primo luogo menzionati, per mezzo della quale si ha l’accesso
a’ membri superiori a parte de’ sovra descritti. Inferiormente
ai membri avanti specificati, a riserva della prima camera serviente di tribunale
e del camerino ad essa laterale, vi esiguono varie crotte, e la cucina
vecchia, e una scuderia posta sotto la predetta stanza ad uso
di granaio. A levante del cortile di detto castello vi è un
torrione in parte diroccato e scoperto, risultante dalle muraglie costituenti
detto castello, e chiudenti il cortile del medesimo. A mezzogiorno di detto
cortile vi è un altro torrione denominato il campanile vecchio,
parimenti risultante oltre la muraglia ivi chiudente il cortile di detto castello
da tal parte. Dal suddetto cortile esistente avanti il sovra descritto castello
per mezzo d’una strada esistente nei siti della stessa Abazia, sotto
la quale vi esiste un ponte attraversante un fosso denominato
la peschiera circondante a quattro lati li siti laterali al suddetto
castello, si ha l’accesso alla fabbrica rustica, che da dette carte
riscontrai consistere quatto camere, due al piano di terra; le altre due superiori,
una crotta, una stalla in volta, sei casi da terra, oltre li fenili, ed altri
membri costituenti detta fabbrica rustica, dal di cui cortile situato avanti
esso si ha la comunicazione, ed accesso al suddetto castello, ed alla contrada
pubblica esistente nel luogo di Sangano, attraversando però un ponte
sotto la cui vi esiste la bealera discorrente in detto luogo di Sangano, lateralmente
alla predetta contrada…" L’Avvocato Riccardi lo acquistò
l’anno nono della Repubblica francese, il 29 frimaio (20 dicembre 1800),
presentandosi davanti alla Commissione per la vendita dei beni nazionali,
dove erano messi all’incanto tutti i beni dell’abbazia ancora
invenduti, suddivisi in quattro lotti.
Dal libro:
Storia di Sangano e della sua gente
Giuseppe Massa - Maria Teresa Pasquero Andruetto
Lazzaretti Editore, 1996.
Il castello dell'Abbazia visto dall'interno
Parte del soffitto della cucina detta dell'Abbate
La torre del castello vista dall'esterno
La torre del castello vista dall'inteno
La torre del castello vista dall'inteno
Il castello dall'esterno
Una
pergamena custodita nell’Archivio Arcivescovile di Torino, senza dati
cronologici, ma databile con sufficiente approssimazione al 1006 è,
a quanto ci consta, il primo documento che parla di Sangano. E’ l’originale
della Donazione di Gezone vescovo di Torino. Un’altra, riportante la
dichiarazione con cui il successore Landofo elenca le donazioni sue e conferma
quelle fatte dal predecessore al monastero di San Solutore poco dopo la sua
fondazione, è il secondo in ordine cronologico.
Landolfo era divenuto vescovo nel 1011 e la pergamena di donazione fu redatta
all’inizio del suo episcopato; Gezone lo era stato dal 998 al 1011.
La donazione da lui fatta risalirebbe al 1006; la fondazione di San Solutore
dovrebbe essere anteriore all’anno 1000 nel quale morì San Giovanni
eremita, iniziatore del monastero della Chiusa, il quale, come scritto in
una sua biografia “riedificò San Salvatore, ossia il monastero
di San Solutore e compagni”.
Sangano in entrambi è descritta come,curtis che, con l’atto di
donazione, ha cambiato proprietario, passando dal vescovo di Torino al monastero
di San Solutore, come in precedenza era passata dai possessori del marchesato
di Torino a quelli del vescovo.
Il termine curtis, dal latino cohors, indicava una proprietà terriera:
la corte del signore, con l’abitazione sua e dei domestici, i depositi,
le stalle, gli opifici per la costruzione e riparazione degli attrezzi, il
molino, gestite dal signore attraverso il lavoro di coltivatori obbligati
a corvées; un gastaldo con un piccolo numero di servi dirigeva questa
“pars salica o dominica”.
All’esterno si estendeva ancora la grande proprietà delle terre
tributarie o “pars massaricia” divisa in poderi (mansi o sortes)
per le famiglie dei coloni lavoranti in proprio e soggetti a censi in natura
e a servizi gratuiti (corvées) in determinate circostanze. Infine,
c’erano lotti di terre comuni lasciate a bosco e a pascolo, da usarsi
pagando i diritti di caccia, legnatico, erbatico, pascolo, ecc. La curtis
o corte era una unità economica, perché provvedeva e bastava
ai bisogni dei suoi abitanti, e amministrativa, perché era sotto la
direzione del signore, godeva di immunità tributaria e di giurisdizione
e non doveva tributi ad altri se non al signore il quale esercitava direttamente
il dominio e la giustizia sui redditi. La pieve battesimale di Santa Maria,
la più antica del distretto rurale estendendosi alla destra del Sangone,
fu il centro attorno al quale, nei documenti sopra citati, troviamo organizzata
la corte. La sua esistenza è attestata per la prima volta nella donazione
di Gezone.
Non bastava l’esistenza di un villaggio rurale perché ci fosse
la curtis. Questa c’era quando un signore esercitava la sua signoria
sulle terre e sugli abitanti che le lavoravano e questi, insieme alle terre,
avevano rapporti di dipendenza da lui.
Tutte le relazioni di dipendenza feudale trovarono sempre la loro cornice
naturale nella signoria terriera; la signoria fu anzitutto una “terra
abitata, e abitata da sudditi”.
Il vicus di Sangano, la sua pieve, il primo signore feudale
Il
vicus (villaggio) Sanganum esisteva già in età romana; lo dimostrano
i reperti venuti in luce durante gli scavi diretti da Carlo Brayda, una testata
di stele con iscrizione, latte rizzi, un tegolone del periodo degli Antonini.
Il suffisso – anum sta a indicare il praedium (podere) che riceveva
il nome del padrone.
Molti nomi di luogo attuali con questo suffisso italianizzato – ano
risalgono all’età romana: il maggior numero perpetua quelli di
fondi di proprietari romani o romanizzati.
Toponimi di questo tipo sono frequenti in Trentino, Val d’Aosta e Piemonte;
in queste due ultime regioni sono distribuiti lungo le stratae (strade) romane,
tanto quelle maggiori, come le secondarie.
“Sanganum allora – secondo Oliveri - sta a indicare il praedium
di un proprietario romano, il praedium di Sanga o Sango”.
Il serra altro studioso, fa notare che già che già in una carta
del 1040 Sangano e Sangone sono nominati insieme: “in loco et fundo
Sangano prope fluvio Sangone”; e fa notare la congruenza fra il nome
del fiume e quello del vicus.
Esistono del resto anche toponimi preromani in – anum e generalmente
sono idronimi, vale a dire derivati da nomi di fiumi: Sangano dunque da Sangone.
E’ però assai più attendibile la denominazione del villaggio
derivata dal nome romano e romanizzato del praedium in considerazione dell’esistenza
del villaggio in epoca romana e della sua localizzazione nei pressi di una
“strada romana” tuttora esistente, che passa nelle vicinanze di
Rivalta e prosegue sulla destra del Sangone fino a Reano.
Vicus Urbicianus (Orbassano) il villaggio o praedium di Urbicius, Regianum,
(Reano) di Regius, erano situati sulla stessa “strata” e, più
lontani, Gaveanum (Giaveno) e Avillana (Avigliana) i villaggi o praedia di
Gavio o dei Gavi e di Avilius, come quello degli Arii (Airasca).
L’ipotesi è interessante, tanto più che troviamo il rapporto
praedium - proprietario romano anche in altri nomi di luoghi vicini: Cumiana
da Cominiana che potrebbe ricordare Cominius, membro della famiglia romana
Cominia.
Questo rapporto pare ancora più convincente se si considera che è
riscontrabile anche in nomi di origine romano-ligure, nei quali, tolta la
desinenza ligure in-asco, resta un nome di persona.
Nell’Italia settentrionale se ne possono contare circa 250, di cui la
metà in Piemonte. Uno è quello di Piossasco, da Plautius, Plaucus,
Plotius, patronus o funzionario imperiale; di qui Plauciasca, Plociasca, Ploziaschus,
Plozaschum; e in questo caso si tratta di un pagus situato “su una strata
romana” che, passando alle falde del vicino monte San Giorgio, collegava
Piossasco con Cavour, Staffarda, Saluzzo in direzione di Auriate – Borgo
San Dalmazzo – Caraglio.
Nei secoli IV e V , diffusosi il cristianesimo nelle campagne, si dovette
dotare una pieve ogni villaggio del territorio rurale, e delegare ad essa
alcune funzioni fino ad allora proprie della Chiesa vescovile, come la celebrazione
dei battesimi e delle sepolture e l’assistenza agli infermi.
Pare che San Massimo di Collegno sia stata appunto la pieve più antica,
risalente al secolo V. per il servizio religioso del pagus tra Dora e Sangone
con villaggi, tra i quali Beinasco, collegati con la stessa strada romana
alla destra del Sangone, sopra ricordata, e quella delle Gallie presso ad
Quintum (Collegno) e ad Decimum (Truc Perosa).
La Pieve di Santa Maria dell’Assunzione di Sangano fu eretta nel vicus
dove coltivatori e dipendenti lavoravano le terre appartenenti al funzionario
o al patronus romanus Sango che ne aveva assunto il patrocinio.
I resti della chiesa romanica venuti alla luce durante gli scavi del 1954-55,
eseguiti nell’area del castello e identificati nell’abside e nella
navata centrale, consentono di datarne la costruzione intorno all’anno
1000; se non della chiesa abbaziale primitiva, lo sono certamente di quella
benedettina successiva.
La posizione sua e i rapporti che le chiese del territorio circostante ebbero
con essa, indicano che quella fu la chiesa-madre dei villaggi del pagus alla
sinistra e alla destra del Sangone;infatti le chiese o tituli di Reano, Trana,
Giaveno, Piossasco fecero capo ad essa, come è attestato nei due documenti
citati all’inizio.
Le prime signorie feudali si costituirono nel secolo IX conseguentemente alla
formazione del ducato longobardo e, in seguito, di quello franco con la divisione
del Piemonte in otto contee, tra le quali quella di Torino, retta da funzionari
remunerati con feudi.
Tuttavia il sistema feudale si consolidò solo dopo la cacciata dei
Saraceni e la creazione della marca d’Italia affidata dall’imperatore
Ottone III di Sassonia a Olderico Manfredi.
Erano gli anni dell’episcopato di Amizone, immediato predecessore del
vescovo Gezone (998-1000). con Ottone III cominciò ad affermarsi la
signoria del vescovo di Torino.
Le scorrerie saracene avevano indotto i contadini a lasciare la campagna;
ovunque c’erano boschi di cerri e località incolte. I nomi propri
di luogo Gerbole, Ronchi, Arronchi, e comuni gerbido roncaglia, arroncata
rivelano la loro originaria condizione di luoghi abbandonati o rimessi a coltura
dopo l’irruzione dei Saraceni, dalla base linguistica mediterranea “gerba”=
terreno incolto dal latino “ronchis”= roveto e quindi luogo abbandonato
oppure, all’opposto, da “har” e dal longobardo “ronchi”=
luogo abitato.
I documenti che abbiamo citato nel primo capitolo ci fanno risalire a quando
il Vescovo di Torino, per designazione dell’imperatore, divenne signore
feudale. Ma prima ancora non esisteva che un unico grande feudatario di queste
terre: il marchese di Torino Olderico Manfredi che, dopo aver cacciato i Saraceni,
si trovò padrone di quello che era stato il ducato longobardo. Si sa
che esso era ripartito in arimannie ed e pertanto molto probabile che Sangano
fosse sotto la signoria di un arimanno o barone longobardo., perché
le terre di confine furono affidate perlopiù a valorosi capitani come
avvenne al vicino villaggio di Cumiana. Il vescovo di Torino aveva acquistato
molti poteri sotto i longobardi per la generosità dei duchi di Torino
e in particolare di Agilulfo, poi divenuto re; questi poteri si accrebbero
sotto i successori, dai quali i vescovi ebbero grandi feudi, signorie, privilegi,
confermati poi dagli imperatori germanici.
Sangano sotto la Signoria di Bonifacio il Rosso
Le carte di San Solutore, contrassegnate coi nn. CXXVII-CXXVIII, nella raccolta del Cognasso assumono grande importanza nella nostra storia, perché documentano un trentennio (1254-84) di signoria della famiglia dei Piossasco su Sangano e la sua corte, e di vassallaggio dell'abate nei confronti di questi signori. L'abate Ambrogio tratta con Bonifacio Rosso di Piossasco la vendita
de tota villa de Sangano cum eius poderio et districtu,
videlicet cum tetris, pratis, buxis, zerbis, cultis et incultis. Acquaticis
et pascaticis, piscationibus et venationibus, Aquarumque decursibus, et cum
omni contili et iurisdictione, et fortunis et fidanciis. Atque capellis, et
de omnibus hominibus habitantibus in sangano, et qui de cetero ibi uenerint
ad habitandum, et de redditibus omnibus fructibus et godijs. Atque proventibus
universis quos prestant et prestare consuerunt et dare debent dicti homines
de sangano et ipsa villa monasterii S. Solutoris Aliqua de causa et generaliter
de omni iure et ratione quod vel quam ipse Abbas et praedictum monasterium
habet vel habere consueuit realiter et personaliter in villa et hominibus
dicti loci et pertinenciis, sicuti est terminata et inmitata [sic] sai vis
et exceptatis et reservatis et retentis dicto Abbate et conventu. Molendina
et omnia alia omnia que ecclesia de sangano seu prepositura ibi habet et habere
et tenere videtur vel consuevit habere....
Abbiamo riportato il passo centrale di questo documento, con le stranezze
della punteggiatura e con le maiuscole e minuscole usate indifferentemente.
Traduciamo liberamente, cercando di rendere la ricchezza e le sottigliezze
del testo: la vendita
di tutta la villa di Sangano con ciò che vi è
compreso e con la giurisdizione su di essa, cioè con le terre, i prati,
i boschi, i gerbidi, i terreni coltivati e incolti, paludosi e a pascolo,
con i proventi della pesca e della caccia, i corsi d'acqua, con tutti i diritti
e la giurisdizione, le rendite e i diritti sui beni; le cappelle, gli abitanti
in Sangano e quelli che vi si stabiliranno e i loro redditi, prodotti e beni
in godimento. E tutti i proventi che danno e danno per consuetudine e devono
dare gli abitanti di Sangano e la stessa villa del monastero di San Solutore
per qualche motivo e in generale per qualunque diritto e ragione che l'abate
e il detto monastero ha o ha per consuetudine realmente e personalmente sulla
villa e gli abitanti del luogo e delle sue pertinenze, come è delimitata
e circoscritta, escludendo i beni di esclusiva proprietà dell'Abate
e del convento, i molini e tutti gli altri beni della prepositura.
L'abate e i monaci asseriscono di essere giunti a questo provvedimento "...
ad soluenda plurima debita usuraria quae aliunde comode solui non poterant",
per pagare cioè i molti debiti contratti verso usurai, che non poterono
pagare agevolmente in altro modo.
Tutto quanto ha acquistato, Bonifacio Rosso restituisce in feudo all'abate
con obbligo di questi alla fedeltà, all'aiuto e al fitto annuo di lire
venticinque vianensium da pagare a lui e ai suoi eredi a San Martino: "...
reddendum ipsi domino Rubeo et heredibus suis in festo Sancti Martini libras
viginti et quinque vianensium (della zecca di Avigliana)", in cambio
di protezione.
Durante la signoria di Bonifacio Rosso deve essere avvenuta la trasformazione
della torre di Sangano da campanile a torre di
difesa, mediante la chiusura delle bifore e la loro riduzione a feritoie
dopo l'abbattimento della cuspide.
Non c'è dubbio che detta torre fosse in origine campanile romanico.
È infatti appoggiata alla struttura ancora esistente della chiesa,
che alla base del lato nord della torre terminava in due absidi, si protendeva
verso ovest per tutta la lunghezza del muro attualmente delimitante da quella
parte il cortile del castello, e raggiungeva in altezza gli archetti del secondo
dei sei ordini in cui è divisa la torre.
L'apparato difensivo fu poi completato con l'aggiunta delle merlature nei
secoli XIV-XV.
Questa ipotesi fu già avanzata dall'ingegner Carlo Brayda. Si ricorre
a ipotesi in assenza di prove irrefutabili.
Ricorriamo quindi all'immaginazione per individuare, nella gran congerie dei
fatti, una situazione che possa aver giustificato il cambiamento di destinazione
della torre, con il consenso della gente del luogo, del pievano e dell'abate.
I beni della chiesa prepositurale non erano infatti compresi tra quelli acquistati
da Bonifacio Rosso, come chiaramente risulta dal documento citato e come abbiamo
detto poco sopra.
Non è perciò fuori luogo un esame degli eventi che, nel corso
del secolo XIII, coinvolsero corti, castelli, signorie e comuni emergenti
del contado torinese.
Dal libro:
Storia di Sangano e della sua gente
Giuseppe Massa - Maria Teresa Pasquero Andruetto
Lazzaretti Editore, 1996
wwwwwwwwwww
Carlo Brayda
Carlo Brayda (Torino 1903-1978) autore di studi e ricerche su vari aspetti dell'antico Piemonte con particolare riguardo alla storia dell'architettura e alla conservazione degli edifici e delle testimonianze artistiche, ha pubblicato: Antichi quartieri del centro di Torino, (1937); I portici di Torino, (1938); Urbanistica e architettura minore del medioevo in Piemonte, (1938); Le ville nuove e le terre franche in Piemonte, (1938); Vie e piazze medioevali piemontesi, (1938); Costumi e addobbi tradizionali nelle processioni piemontesi, (1939); Vitozzo Vitozzi ingegnere militare ed alcuni disegni di Torino antica, (1939); Carlo Andrea Rana ingegnere militare e regio architetto, (1939). Assistente al Politecnico di Torino (Facoltà di Architettura) incaricato del corso Restauro dei monumenti è autore di: Stili di architettura e dizionario dei termini usuali, (Torino, 1947); Norme per il restauro dei monumenti, (Torino 1954). Sua è la relazione al Convegno dell'Accademia delle Scenze: Documentazioni ed attribuzioni di edifici vittoriani, (1972).
Dal libro:
PIEMONTESI DELL'OTTOCENTO
"Dai biglietti d'augurio alle chiavi dei feretri"
Carlo Brayda
Tipolito Melli - Borgone di Susa, 1978