Piossasco
Villa
Lajolo
Conti Ambrosio di Chialamberto
E uno dei
Cognomi più antichi in Piossasco è Ambrosio.
Parecchie Famiglie lo portarono e con onore, occupando nel paese cariche e
uffici di particolare importanza, come quelle di Podestà, di Sindaco,
di Segretario comunale, di Notaio, di Esattore...
Una di queste Famiglie Ambrosio fece tanta strada da meritare di essere nominati
Conti con il titolo di Conti di Chialamberto. Questa nomina avvenne probabilmente
attorno al 1700.
Lo storico Casalis scrive: “Di questa famiglia si distinse il Conte
Simone Domenico, Ministro del Re di Sardegna presso la Corte di Roma, ove
morì nel 1803”.
Speciale ricordo facciamo del Conte Annibale Ambrosio, morto nel 1860. Era
zio dei Conti Lajolo di Cossano, ai quali lasciò la sua Villa, situata
quasi sotto il campanile della Parrocchiale di S. Vito, dove i Lajolo abitano
tuttora.
Questa illustre Famiglia degli Ambrosio dette anche alla Chiesa alcuni Sacerdoti
e Religiosi: Don Giacomo e il Padre Gesuita Gio. Battista, fratelli, figli
di Simone (1703).
Risulta che questa Famiglia nel 1761 era proprietaria di una Pista da rusca
in Piossasco.
BLU= casa Lajolo, la Bealera Superiore che scorre nella proprietà
Il pozzo
Ambrosio signori di Villarbasse, conti di Chialamberto
Palazzo Gonella antica proprietà della famiglia Ambrosio di Chialamberto (viaggiata 1904)
Vista dall'interno
Il giardino
La storia della fontana "Gurajà"
Nel territorio di Piossasco a nord-est del paese, esisteva ed esiste tutt'ora
una grande vallata, che partendo dai costoni del Monte “San Giorgio”
passando per la zona di “Pramabert”, si stende verso nord fino
alla frazione delle Prese (Piossasco) per poi proseguire fino alla cima della
“Peraburga” degradandosi gradatamente fino ad arrivare al “Truc
du lù”, tutto questo anfiteatro naturale scendeva poi verso la
pianura formando una grande valle rigogliosa di fauna e flora, la maggior
parte dei Piossaschesi possedevano appezzamenti da dove traevano legna per
riscaldarsi durante l’inverno, tutta questa zona si chiamava valle del
“Rij” forse era chiamata in quel modo perché era attraversata
dall’alto verso il basso da numerosi rigagnoli d’acqua limpida
e fresca, questi rii o rigagnoli avevano tutti un nome proprio, uno si chiamava
rio della “Serva” un altro rio della “Moda” un altro
rio delle “Prese” il più importante infine si chiamava
“Gurajà”.
Questo era alimentato da una fontana che sgorgava dalla discesa della montagna
in una zona detta “Truc Cristin” da tempi remotissimi gli abitanti
di quel luogo avevano notato questa fontana, ma nessuno si era mai occupato
di essa, tranne qualche viandante assetato che ne aveva raccolta l’acqua
per i propri bisogni temporali.
Bisogna arrivare fino alla fine del 1800 prima che qualche Piossaschese cominciasse
ad interessarsi di questa fontana, in principio cominciarono a convogliare
l’acqua che sgorgava copiosa con semplici cortecce di castagno poi visto
che il sistema non era abbastanza redditizio, scavarono e fecero convergere
le sue diramazioni verso un unico rigagnolo per poi convogliarlo sempre con
una corteccia in modo che si potesse attingere acqua comodamente.
Con questo sistema si arriva fino alla fine degli anni ‘20, nel decennio
successivo e precisamente nel 1932 alcuni Piossaschesi di buona volontà
e amanti della loro montagna cominciarono ad interessarsi a questa fontana
e precisamente i primi furono il Farmacista Sig. Cresio e il capomastro Sig.
Fornatto Nino detto “Tulot” coadiuvati da un signore di nome Nino
e di stranome “Gin Gin” che possedeva un robusto cavallo con un
carro, cominciarono a lavorare attorno ad essa mettendo un tubo di ferro (grosso
come un braccio di un uomo) questi poi versava in una vasca di cemento costruita
sul posto, attorno al tubo poi avevano modellato con il cemento una testa
di leone, infine sopra avevano costruito una specie di altarino, con una nicchia
dove era sistemata una dolce Madonnina, ai piedi della quale faceva bella
mostra di se una preghiera stampigliata su una piastra di bronzo che diceva
testuali parole.
“O passeger se un poco ti riposi
alla jes fonte salubre e freschissima
rispetta ed ama questi siti ombrosi.
Se per caso ti trovi in periglio perilmente
rivolgi un’ave alla Vergine Santissima
che di ogni grazia e fonte”.
(questi versi ormai persi per sempre sono stati gentilmente
offerti dal Signor Ernesto Garello detto “Netu di Gay” che frugando
nella sua memoria è riuscito a farli rinverdire).
Nella parte superiore della fontana era stato ricavato un bel pianerottolo
con al centro un tavolo di nuda roccia con relativi posti a sedere, sempre
in pietra, vi potevano prendere posto per consumare la merenda comodamente
dalle 8 alle 9 persone, diversi poi di questi tavoli erano disseminati tutti
attorno, chi più grande chi più piccolo, ma tutti rigorosamente
all’ombra di grosse querce, perché avevano stabilito anche in
accordo con il proprietario del terreno, il quale diceva di non tagliare mai
quelle maestose querce, in modo da poter offrire sempre a tutti una adeguata
ombra, queste piante servivano pure da punto di riferimento, in quanto essendo
alte e maestose, si potevano scorgere da molto lontano dissetando quindi molta
gente, perché questa fontana non andava mai in secca, da essa sgorgava
sempre tutto l’anno il tubo pieno d’acqua limpida e fresca.
Era poi consuetudine specie durante gli anni ’30, in occasione della
festa del paese che si svolgeva la seconda domenica di luglio continuare a
far la festa pure il lunedì e perciò tutto il paese si recava
a piedi per fare una merenda all’ombra delle querce della fontana della
“Gurajà”, dal centro del paese distava più di un’ora
di marcia, chi possedeva una bicicletta la usava fino alla frazione “Gay”
lasciandola poi in custodia in qualche casa, poi proseguiva pure lui a piedi,
perché non esistono più strade ma solo sentieri.
Durante queste merende all’aperto in piena montagna ognuno si sentiva
partecipe con la natura, chi si dedicava alla ricerca di funghi, chi si costruiva
un bastone intagliando con il coltello per renderlo più appariscente,
da usare per il ritorno, chi raccoglieva fiori selvatici per portare davanti
alla Madonna, infine c’era pure chi andava alla pesca di gamberi d’acqua
dolce che abbondavano nei rii della zona, poi verso sera cantando allegre
canzoni tutti quanti facevano ritorno a casa, i più giovani oltre a
tutta questa scampagnata avevano ancora la voglia e la forza di andare a ballare
in piazza, era veramente una festa molto sentita dai Piossaschesi di quei
tempi, perché coinvolgeva tutti, dai più anziani ai più
giovani, anche perché la strada non essendo molto ripida si poteva
raggiungere la “Gurajà”.comodamente.
Un brutto giorno dei vandali si recano alla fontana e con mazze e picconi
distrussero tutto, anche la Madonnina rotta in cento pezzi, facendo poi derivare
l’acqua che sgorgava da essa, visto tutti questi danni i soliti Piossaschesi
volonterosi a cui se ne erano aggiunti altri, con tanta pazienza e tanta rabbia
in cuore la ricostruzione tale identica a prima; poco tempo dopo i vandali
ritornarono e distrussero nuovamente tutto, ricostruito con pazienza ma con
molta molta rabbia; questa volta a lavoro ultimato anche se non era la festa
del paese, indirono una grande festa con merenda, a titolo di inaugurazione,
dove per l’occasione il Podestà pronunciò un discorso
nel quale diceva tra le altre cose, che nell’ultima ricostruzione era
stata murata anche una bomba in modo che se quei ”Signori” vandali
avessero provato ancora ad oltraggiare la loro “Gurajà”
sarebbe esplosa causandone un’istantanea morte, si può ben capire
questa notizia fece scalpore e in un baleno fece il giro del paese e anche
fuori, ne vennero così a conoscenza anche i veri autori dei misfatti,
i quali presi dalla paura si guardarono bene di ripetere le loro bravate.
(Per essere precisi bisogna anche segnalare che la piastra di bronzo con la
dedica alla Madonna durante le tre distruzioni fu sempre ritrovata e rimessa
diligentemente al suo posto).
Arrivarono poi gli anni terribili della guerra e queste tradizioni popolari
diminuirono d’intensità; ad un certo punto però per mancanza
di legna, furono abbattute anche le maestose querce che facevano da corona
alla nostra fontana, rimase così per circa tre anni e anche più,
tutta la zona brulla e alquanto soleggiata a tal punto che non invitava più
i Piossaschesi a consumare le loro merende in prossimità di essa.
Finita poi la guerra e ristabilita poi la normalità alcuni nostalgici
cercarono di ristabilire le vecchie tradizioni ma ormai ci si stava avviando
verso il periodo del “bum” economico e la maggior parte della
gente per l’evento dell’automobile, cominciò a snobbare
questi luoghi per altri di gran lunga meno belli e meno suggestivi, ma raggiungibili
con le quattro ruote, in più al ritorno potevano vantarsi di aver fatto
dai 50 ai 60 km di strada, segno questo a parer loro di grandezza e signorilità.
La nostra fontana sembrò vendicarsi di questo abbandono e cominciò
a fornire sempre meno acqua a tal punto che ad un certo momento sembrava si
fosse prosciugata, questo fenomeno non sfuggi ai vecchi nostalgici e volenterosi
Piossaschesi, i quali partirono un mattino all’alba armati di picconi
e badili, con quattro pezzi di pane un salame e un fiasco di vino, decisi
a scoprire il perché di questa mancanza di acqua alla loro “Gurajà”;
arrivati sul posto si accorsero che qualcuno aveva scavato più a monte
segno evidente con l’intenzione di deviare le falde acquifere in tutt’altra
direzione.
Cominciarono quindi a scavare anche loro con molta rabbia in corpo, mentre
erano intenti nel loro lavoro arrivarono due persone che abitavano nella zona,
con la scusa che passavano di li per caso, si fermarono e cominciarono a dialogare
dicendo che oramai la “Gurajà” era finita, che l’acqua
aveva preso un’altra strada e che era impossibile farla ritornare sul
vecchio percorso ecc. ecc. I volenterosi Piossachesi che stavano lavorando
con le mani ma con le orecchie ben aperte sentendo queste parole prima di
tutto si domandarono in cuor loro, il perché di tanto interessamento
e poi il perchè non avessero proseguito la loro strada, restando sempre
li ad osservare cosa loro stessero facendo, ma nessuno parlò di questo
anzi tutti quanti gli diedero ragione, dicendo che l’acqua aveva certamente
preso un’altra via ed era inutile cercarla; arrivarono così all’ora
di pranzo, decisero quindi di smettere di lavorare per concedersi un meritato
pranzo.
Vista la situazione i due Signori intrusi decisero di ritornare, pure loro
per pranzare (anche perché nessuno gliene avrebbe offerto), come si
furono allontanati i Piossaschesi anziché mangiare tutti d’accordo
ripresero a lavorare di gran lena, poiché le falde, loro le avevano
già individuate, ma in presenza di quei “Signori” che a
parer loro erano la causa della deviazione, non volevano fargliele vedere
e tanto meno che venissero a sapere come avevano fatto; infatti prima che
loro ritornassero dopo pranzo la fontana era ripristinata alla sua originale
portata e la deviazione che loro avevano praticato alle falde per portare
l’acqua alle loro case, senza averne nessun diritto, era stato messo
un grosso diaframma in modo che l’acqua ritornasse a sgorgare nel suo
alveolo naturale, con molto disappunto dei due “Signori” che come
avevano previsto puntualmente si ripresentarono nel pomeriggio.
Dopo questo incidente l’acqua alla “Gurajà” non mancò
più, perché a chi interessava, aveva capito che non poteva farla
sua, in quanto era di tutta la comunità, ma un giorno qualche anno
più tardi in seguito alle concimazioni che cominciavano ad effettuarsi
a monte, qualcuno si accorse che lasciando quell’acqua per alcuni giorni
a depositare in un recipiente si notava sul fondo muoversi dei piccoli vermi,
perciò fatta analizzare risultò che non era “Batteriologicamente”
pura pertanto si poteva bere come sgorgava dalla fonte ma non conservare.
Da quel momento cominciò il declino della fontana sempre meno gente
andava ad attingere acqua per portare nelle loro case, anche se si era costruita
una strada che arrivava fino quasi ad essa; poi un giorno si verificò
un’enorme frana che coinvolse metà della valle “Gurajà”
compresa e sconvolse mutandone completamente l’aspetto di tutta la bassa
vallata, questo avveniva nell’anno 1994, da quel giorno si persero le
tracce della fontana dei tavoli in pietra della Madonnina e della sua dolce
dedica su piastra di bronzo.
Testo di Boccardi Luigi
La Buona Parola - ottobre 1950
In memoria del Dott. Crescio.
Il dott. Attilio Crescio, da tanti anni farmacista del nostro paese (classica
figura di farmacista), non è più. Proprio quest’anno aveva
lasciata la farmacia per ritirarsi a godere il suo meritato riposo; ed invece,
contro le previsioni, la sua salute peggiorò repentinamente. Fu per
alcuni giorni all’ospedale Mauriziano, per sottoporsi a visite ed esami,
e quando stava per ritornare a Piossasco, per improvviso collasso, mancava
fra le braccia della sua signora. Era il 26 agosto, non aveva ancora 70 anni.
Trasportato a casa sua, ebbe in Piossasco solenni funerali. Vi partecipò
anche la nostra parrocchia con il clero, le Compagnie religiose e l’Asilo.
La popolazione, gli rese unanimi onori, perché tutti conoscevano il
grande e generoso cuore del dott. Crescio, pronto ad aiutare, pronto ad incoraggiare
ogni iniziativa a bene delle famiglie e del paese. Ricordiamo la sua devozione
a San Valeriano e a San Giorgio: non mancava nelle feste annuali di salire
alle due Cappelle. Ricordiamo come incoraggiava con l’esempio e con
la parola le iniziative per la ricostruzione della Cappella di S. Valeriano.
Ricordiamo speciali riguardi che egli ebbe per il nostro Asilo S. Vito. Se
era affezionato al suo Piossasco, godeva in modo speciale quando poteva salire
a S. Vito a respirare aria più balsamica e contemplare le bellezze
della natura fra gli avanzi e i ricordi dell’arte antica. La Madonnina
della fontana della Guraià lo avrà protetto e lo avrà
ricompensato delle gentili cure che il dott. Crescio ebbe per farle onore.
Il Vicario Don Giuseppe Fornelli
Dono questa mia opera
al mio amico Ernesto riconoscente, perchè senza di lui non
avrei mai potuto portare a compimento, un grosso grazie Boccardi Luigi - 1999.
Franca e Dora Lanza 1939 circa
La fontana della "Gurajà" 16 agosto 1940 gitanti Sanganesi
La "Gurajà" in costruzione
La fontana della "Gurajà"
oggi,
ripristinata da: Angelo, Beppe e Silvio "Sanganesi"
Una curiosa scoperta
Un bunker vicino alla serra dei Tasca
«Per i bombardamenti ospitavamo tutti, anche un greco»
Serra della famiglia Tasca in via S. Rocco, parte seconda.
Si arricchisce, a sorpresa, di un elemento collaterale la vicenda del sequestro
preventivo da parte della Procura della Repubblica di Pinerolo della serra
e del lotto di terreno adiacente su cui è stata progettata una villa
con mansarde e piscina, costruzione cui la Commissione edilizia nel marzo
scorso aveva dato parere favorevole ma che non è stata mai autorizzata
in seguito allo scoppio del caso giudiziario.
Nel terreno sottostante era stato scavato negli Anni ‘40 un bunker,
un rifugio antiaereo, con le prese d’aria e i posti a sedere. Quando
il “caso” della serra è balzato all’onore delle cronache,
è affiorato nella memoria di molti che abitano nelle vicinanze il ricordo
del rifugio per ripararsi dalle bombe delle incursioni aeree dal settembre-
ottobre del 1943 all’aprile del 1945.
Dice Cristina Tasca, ex-proprietaria: «Durante la guerra s’è
rifugiata mezza Piossasco, chi arrivava poteva entrare. Io non ci sono mai
andata perché avevo paura delle bisce». Poi aggiunge un particolare
curioso: «Anni fa in Grecia mio fratello ha conosciuto un signore locale
che quando ha saputo che era di Piossasco gli ha detto: “Ma io sono
stato nel rifugio antiaereo di Tasca”.
Come vi fosse un greco a Piossasco in quegli anni non lo so. Spero che non
combinino qualche disastro interrandolo: sarebbe il caso di mantenerlo per
farlo conoscere alle giovani generazioni».
Dice Donato Montaldo che abita in via S. Rocco: «Io ero piccolo, mi
ricordo che con i miei eravamo andati di notte nel rifugio durante i bombardamenti.
Non è nulla di eccezionale, si tratta di uno scavo sotterraneo. Non
mi ricordo se ha la volta in cemento armato.
I Tasca lo mettevano a disposizione degli abitanti della zona». Altra
conferma, quella di Adriano Andruetto: «Abito ancora oggi un po’
più avanti di via S. Rocco; mi ricordo del bunker, vi andavano quasi
tutti gli abitanti della Rivà d’Puncin. Prima era un deposito
dei Rossi, parenti dei Tasca, che avevano una fabbrica di vernici».
L’accesso al rifugio antiaereo è da via S. Rocco proprio di fronte
all’arrivo della ripida via Rovereto: una porta in ferro, che molti
pensavano fosse una nicchia per i contatori della via, costituisce infatti
l’accesso diretto al bunker che non è visitabile perché
il lotto di terreno e la serra-limonaia sono sotto sequestro preventivo.
Mercoledì 14 novembre 2012
Ezio Marchisio
Un bunker vicino alla serra dei Tasca
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Maria Teresa Pasquero Andruetto