Curiosità
Sangano - Trana - Piossasco
Il vino lo rendeva aggressivo anno 1938
Questura della Città e Provincia di Torino anno 1850
Questura della Provincia di Torino anno 1854
Tra storia e leggende
Ministero dell'Agricoltura e delle
Foreste
Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura
Corso temporaneo per contadini
Cercalicoltura
12 aprile 1941
della durata di 6 lezioni svolto in Sangano (Comune di Bruino)
Passaporto per l'interno
valevole per un anno
Sangano 27 novembre 1910
il Sindaco Giuseppe Levrino
Attestato di buona condotta
il Sindaco Ramassotto Giovanni Battista
Sangano 2 ottobre 1869
Passaporto per l'interno
Trana 2 giugno 1918
13 gennaio 1876 fu battezzato dal
Vice Curato Don Rolle
Parrocchia della Natività di Maria Vergine
D. Ponzo Domenico Vice Curato
Trana 9 novembre 1900
Luogo di presentazione Fenestrelle
29° compagnia
Categoria 1° - Classe di leva 1867 - Anno di nascita 1867
Regio Esercito Italiano – 3° Reggimento Alpini
Foglio di congedo illimitato
Carpinello Domenico – zappatore
Negli anni uno e mesi dieci passati sotto le armi ha tenuto
buona condotta ed ha servito con fedeltà ed onore
Torino 29 agosto 1889
Il Comandante del distretto Villamarina
Comune di Piossasco Il Sindaco D. Venisio
Doveri del militare in congedo
1 - Il militare in congedo deve ricordar sempre che appartiene
all'Esercito, e mantenere quindi una condotta irreprensibile per non rendersi
indegno dell'onorata divisa, che da un momento all'altro può essere
chiamato a rivestire.
Sebbene svincolato dagli obblighi della disciplina, deve obbedienza a qualunque
ordine gli pervenisse dal distretto militare o dal sindaco, per ciò
che riguarda i suoi doveri militari.
2 - Dovrà custodire con cura il presento foglio di congedo illimitato
ed esibirlo ogni qualvolta ne venga richiesto dalle autorità militari
o civili, e dagli agenti della forza pubblica. Nelle domande d'impiego sarà
sempre utile esibire una copia legalizzata del presente foglio anziché
sprovvedersene, perchè non potrebbe in nessun caso esser rilasciato
più di un duplicato.
3 - Nei casi di chiamata della classe cui è ascritto, sia per istruzione
o per altro, dovrà presentarsi al mattino del giorno stabilito nel
Manifesto al sindaco del capoluogo del mandamento in cui si trova, munito
del presente foglio di congedo o del libretto personale (se di quest'ultimo
trovasi provvisto), onde ricevere le indennità di viaggio dovute per
recarsi al distretto militare.
Quando il viaggio ne rimanga abbreviato, potrà anche presentarsi direttamente
al distretto senza passare pel mandamento, e purché presenti il foglio
di congedo munito del Visto a partire del sindaco del comune in cui risieda,
riceverà dal distretto l'indennità di trasferta (escluso il
trasporto) come se fosse partito dal capoluogo del mandamento.
Se dimora nello stesso mandamento in cui ha sede il distretto dovrà
presentarsi direttamente al comando del distretto.
4 - Nel caso che per malattia non potesse assolutamente rispondere alla chiamata
per istruzione, è tenuto a giustificare l'impossibilità di presentarsi,
mandando al comandante del distretto, per mezzo del sindaco, apposita fede
medica da questo autenticata, partendo subito pel distretto appena guarito.
Protraendosi la malattia, una nuova fede medica dovrà, nello stesso
modo, essere spedita allo scadere del decimo giorno da quello prescritto per
la presentazione sotto le armi, e in base a questa potrà essere rimandato
a presentarsi quando sarà chiamata alla istruzione altra classe in
congedo dell'esercito permanente.
Quando però si tratti di chiamata per mobilitazione, la fede medica
dovrà essere rinnovata di dieci in dieci giorni, sotto pena d'incorrere
nel reato di diserzione.
5 - Ove si tratti di guerra e nel caso che il circondario in cui egli si trova
in congedo illimitato fosse invaso dal nemico prima della pubblicazione dei
manifesti di chiamata sotto le armi, dovrà, se appartiene all'esercito
permanente od alla milizia mobile, immediatamente presentarsi al distretto
viciniore.
6 - Il militare che essendo in congedo venga a contrarre infermità
od imperfezioni che lo rendano non più idoneo al servizio militare
dovrà, non più tardi del 15 aprile o del 15 ottobre di ciascun
anno, domandare per mezzo del sindaco al comandante del proprio distretto
di venire sottoposto a rassegna di rimando.
A tale domanda dovrà unire un certificato medico constatante l'infermità
od imperfezione allegata, non che il foglio di congedo illimitato.
Ove non si curi di far rilevare nelle date sopra indicate i suoi motivi alla
riforma, e nel frattempo avvenga una chiamata sotto le armi, non potrà
per alcun motivo essere dispensato dal raggiungere il distretto.
7 - E libero di cambiare di residenza o di domicilio nel regno.
Cambiando di residenza, dovrà però sempre avvisarne tosto il
sindaco del comune in cui si trova, affinché possa informarne quello
del comune di leva, e tenere successivamente informati i propri parenti o
persona amica della nuova sua residenza, al fine di poter essere facilmente
avvertito in caso di chiamata o rintracciato se gli si dovesse recapitare
qualche comunicazione per parte della autorità militare.
8 - Volendo recarsi all'estero (ove già non appartenga alla milizia
territoriale) dovrà chiederne l'autorizzazione, per mezzo del sindaco,
al comandante del distretto dal quale dipende per fatto di leva, indicandone
i motivi, e con detta autorizzazione potrà in seguito, per ottenere
il passaporto, rivolgersi alla prefettura alla quale spetta di giudicare della
convenienza o non di accordarlo.
Durante la permanenza all'estero dovrà tenere sempre informato il regio
console della sua dimora ed essere sempre pronto a tornare sotto le armi in
caso di chiamata.
Nel caso d'inobbedienza alla chiamata alle armi, la circostanza di aver ottenuto
il passaporto per l'estero non potrà mai esimerlo dalle pene stabilite
per la diserzione o per il reato di mancanza alla chiamata; bisogna quindi,
come già fu detto di sopra, che affidi sempre l'incarico ad un parente
od amico, domiciliato nel comune di leva, di prontamente avvertirlo in caso
di chiamata che lo riguardi.
Potrà prender moglie senza che perciò gli occorra l'autorizzazione
del ministro della guerra.
Brigata Piemonte 4° reggimento fanteria anno 1854
Ha fatto la campagna di guerra del 1848 per l'indipendenza d'Italia
Congedo di Dovis Vittorio
di Michele e Maria Maddalena Gallo
classe 1820 delle Prese di Piossasco
Comune di Piossasco
Teatro Comunale
Domenica 19 dicembre alle ore 20, precise nel nostro Teatro
Comunale avrà luogo un altro
Trattenimento Patriottico a favore dei valorosi Soldati Piossaschesi e le
loro famiglie
bisognose e del Patronato Scolastico
Programma
Che eseguirà la nostra scolaresca per cura del Corpo Insegnante
Coro: Marcia Reale |
La nonna e la nipotina |
Dividerà il suddescritto programma il distinto Avv.
Sabino Camerano con una
conferenza Patriottica sul tema:
Dal biondo martire triestino dal 1882 a oggi
Prezzi Platea lire, 0,20 – Galleria lire 0,40 – Sedie offerte
non minori di lire 1,00
Il Teatro sarà riscaldato
Piossasco
Festa Patronale della Beata Vergine del Carmine 17 luglio 1938 – anno XVI Agli Illustrissimi Sig.ri Presidenti Boursier Geom. Luigi Podestà Fenoglio Michele Segretario del Fascio Il Corpo Musicale del Dopolavoro di Piossasco Dedica In nome della Donna cui denominazione mai fu data
più bella si rinnovi in ogni cuore, nel giorno sacrato, l’inno
augurale delle imprese di amore e di gioia. La Musica del Dopolavoro |
Residenza Bruino - Borgata Prese n. 3 (Sangano Frazione di
Bruino)
27 maggio 1936 il Podestà Angelo Bertolino
Comune di
Sangano 1926 In base alla deliberazione della Commissione Provinciale Fascista: stabilisce che a partire dal 12 corrente mese i seguenti generi siano venduti al minuto ai prezzi a fianco segnati: pane £. 2,50 al chilogrammo Carne suine Il Podestà |
Sangano
Il Comune a colpo d'occhio
Anno 1902
Sindaco
Micheletti Vittorio
Assessori |
Consiglieri Comunali |
Impiegati Comunali |
Congregazione
di Carità Maffiotto Giuseppe - Presidente Cesa Alessio - Consigliere Martini Michele - Consigliere Pecchio Battista - Consigliere Gino Vittorio - Consigliere |
Commissione
scolastica Piccotti dott. Biagio uff. sanitario Don Gho Luigi - vigilanza Giusiana Giovanni - vigilanza Ferrero Rosalia - ispettrice Cesa Margherita - ispettrice |
Censimento
1881 presenti Capoluogo e case sparse 534 Borgata Prese 69 |
Il
vino lo rendeva aggressivo
Una sera del 1938 in Sangano frazione del comune di Bruino
Il contadino (…) di anni 48, rientrava ubriaco dai
campi. Per futili motivi altercava con la moglie e agguantandola per il collo
le fece battere più volte la testa contro il muro, mentre i figlioli
cercavano di intervenire. Riuscita infine a liberarsi dalla stretta, la moglie
e i figli riparavano dalla maestra del luogo.
Il (…) brillo e stravolto, si recava allora all’Albergo
del Gallo chiedendo ancora da bere. Essendosi rifiutato
l’Albergatore di fornirglielo, il (…) irato presa una sedia, l’alzava
sulla testa dell’oste minacciandolo di morte.
L’intervento degli avventori presenti evitava maggiori guai. Comparso
ieri al giudizio del Tribunale imputato di mali trattamenti alla famiglia
che aveva precedentemente commessi e di violenza e minaccia all’oste,
al fine di costringerlo a fornirgli bevande alcooliche. Il (…) veniva
assolto dai mali trattamenti e condannato a un mese e giorni venti di reclusione
per le minacce.
Anno 1938
5
dicembre 1850
Amministrazione di Pubblica sicurezza
Questura della Città e Provincia di Torino
Circolare n. 5360
Al Signor Sindaco di Sangano
Infami speculatori si recano ogni anno dalla Francia i questi
R. Stati, e col mezzo di menzoniere promesse, ed anche coll’offerta
di qualche somma di denaro ai più poveri, inducono disgraziati genitori
ad affidare loro i figli ancora nell’infanzia, assicurandoli che faranno
la fortuna dei medesimi.
Alcuni più audaci, sia che sdegnano di valersi di tali mezzi, sia che
con questi non riescano nel loro intento, attraggono i ragazzi fuori dall’alloggio
in cui dimorano e quindi se li portano via.
Col pretesto poi di far loro esercitare un mestiere, il più delle volte
quello di spazzacamino, gli speculatori predetti conducono i ragazzi che loro
riescì di avere a Parigi, li coprono di cenci onde eccitino maggior
compassione, e li mandano ogni mattina in questua od in quell’altra
parte della città prescrivendo loro, ora una, ora un’altra maniera
di questuare, coll’obbligo di dover consegnare alla sera una determinata
somma sotto pena dei più cattivi trattamenti.
Mentre si danno alle Autorità di Parigi gli ordini più rigorosi
per l’arresto e rinvio in Patria degli infelici ragazzi di cui si tratta,
e per far si che i colpevoli loro padroni siano scoperti e consegnati alla
Giustizia, debbo pregare la S. V. Ill.ma di praticare nel di Lei Comune l’occorrente
vigilanza, ponendo anche in guardia i genitori e non più affidare incautamente
i loro figli a stranieri, e si dimostri quanto possa una tale inconsideratezza
avere funeste conseguenze per la moralità e la intiera vita dei figli
loro.
Confido che, mercè l’attività che saranno al certo per
ispiegare i Signori Sindaci, che si otterrà di far cessare il narrato
abuso, ed in tale fiducia ho l’onore di ricostituirmi coi sensi della
più distinta considerazione.
Di V. S. Ill.ma
Dev.mo Obb.mo Servitore
L’Intendente incaricato della Questura
(Sindaco Ramassotto Giovan Battista)
Torino
28 gennaio 1854
Questura della Provincia di Torino
Circolare n. 1
Oggetto: maschere
Il Ministero dell’Interno non ha creduto neppure in
quest’anno d’opporsi all’uso della maschera al volto nel
corrente carnevale, persuaso che i Signori sindaci sapranno secondo le circostanze
adoperarsi in modo a che non ne derivino inconvenienti di sorta.
La prescritta licenza sarà scritta su carta libera, e si dovrà
riportare volta per volta dalle singole persone che intendono mascherarsi.
All’oggetto poi che ognuno conosca le condizioni a cui è vincolata
la licenza per l’uso della maschera al volto durante detta stagione,
il sottoscritto trasmette qui unito al Sig. Sindaco tre esemplari del relativo
Manifesto, affinchè si compiaccia far pubblicare due di essi nei luoghi
e modi soliti, e tener l’altro nell’officio comunale, onde servire
di norma nel curare l’eseguimento delle prescrizioni nel medesimo contenute.
L’intendente Reggente Gallarini
Ai Signori Sindaci della Provincia di Torino
Le reliquie trafugate
Maria Micheletti era nata a Sangano, in provincia di Torino,
il 19 settembre 1891 e in quel paese ha vissuto fino al 27 marzo 1921. Sposando
Giuseppe Demaria (Pinin ëd Catlin-a), che di mestiere faceva il barbiere
e sarto, si era trasferita a Rivalta e qui ha trascorso il resto della sua
vita.
Il figlio Luigi, anche lui barbiere e sarto, ricordava di aver sentito più
volte sua madre raccontare di un episodio riferito al trafugamento delle reliquie
di un Santo.
Le cose sarebbero andate in questo modo: in un tempo lontano alcuni uomini
di Sangano entrarono durante la notte nel castello di Rivalta e prelevarono
dalla chiesetta dedicata a Santa Teresa le reliquie di un Santo (Luigi non
ne ricordava il nome) che, messe in un sacco, portarono al loro paese nascoste
in una gerla.
Maria, quando ricordava questo episodio, aggiungeva sempre che quel Santo
veniva festeggiato a Sangano “...ogni anno la domenica precedente la
'Madonna d'agosto'”.
Gli Orsini, Signori di Rivalta, hanno custodito nella chiesetta del castello
le reliquie della Santa Croce, poi donate all'omonima chiesa rivaltese il
17 marzo 1729 e quelle di San Generoso, donate alla medesima chiesa il 24
febbraio 1823. Questo può lasciar pensare che gli Orsini abbiano conservato
nel castello altre reliquie.
A Sangano nessuno ha ricordi inerenti questa vicenda, ma è noto che
la domenica precedente la “Madonna d'agosto” si festeggia San
Lorenzo.
da STORIE RIVALTESI di Gino Gallo – Alzani Editore
Pinerolo - 2015
a cura di Gino Gallo - Rivalta
Sangano-Trana
Cà dü Penel
La frazione Prese di Piossasco ha la sua cappella, che sarebbe stata fabbricata attorno al 1700. E’ dedicata alla Madonna della Neve. Se ne parla nella relazione della visita pastorale del 1775: “sub titulo B.M.V. ad nives, in regione dicta le Prese”. Non era allora in buone condizioni perché l’Arcivescovo ordinò di riparare il soffitto, le pareti e il pavimento. Le riparazioni vennero fatte, e il soffitto fu sostituito con una volta a mattoni, come è ancora adesso. Sopra la porta d’entrata è pitturata l’immagine della Madonna col Bambino. E prima c’era l’immagine di San Grato: l’aveva pitturata un pittore un po’ strano, scappato da Torino e rifugiato alle Prese, dove, sul costone della montagna, dal quale si scende a Pratovigero, si era costruita una casetta, nella quale faceva anche scuola ai ragazzi della frazione. Voleva abitare su tre confini, e perciò aveva eretta la casa lassù dove si toccano i confini di tre paesi: Piossasco, Sangano e Trana.
I ruderi
Riparo rupestre a Cà dü Penel
Prese di Piossasco
dai ricordi Emma Dovis Sun pasà giù là da val' Questo racconto sulle masche che infastidivano le ragazze da sposare alle Prese la nuora Silvia Martinasso |
Sangano
L’ula di sold
A destra la bealera che passava dietro la cappella
Quando da
ragazzino andavo a tagliare I'erba per i conigli lungo le sponde di una bealera
che passava dietro la cappella dedicata a San Rocco, sentivo mio (1)papà
raccontare una storia che egli stesso non sapeva quanto fosse vera.
Mi diceva: “La vedi quella pietra a forma di parallelepipedo un po'
diversa che fa parte delle sponde della bealera? Ebbene lì sotto o
accanto qualcuno aveva nascosto una pentola di terracotta (diventata poi l’ula
di sold) piena di monete d’oro e gioielli. La persona che ha portato
via questo tesoro probabilmente sapeva dov'era nascosto. La moglie di Giacu
di Gai, papà di Bert Giovanni(2), era solita, portare le sue caprette
a brucare I'erba lungo la bealera tutti i giorni e, la mattina dopo I'accaduto,
ha trovato i cocci dell’ula sparsi intorno alla pietra”. Mio papà
pensava che chi aveva nascosto l’ula di sold" non fosse del paese,
forse qualcuno che scappava o un ladro che nascondeva la refurtiva.
Nei primi anni in cui noi del borgo San Rocco preparavamo la festa di ferragosto
nei prati accanto alla cappella, ricordo di aver ancora visto la pietra che
mi indicava papà(1987 circa), poi però sono stati fatti dei
lavori e non so dove sia finita.
(1) - Vincenzo Cantone 1896-1973
(2) - Bert Giovanni partigiano 1913-1944 figlio di Giacomo e Bellino Maddalena
Dai ricordi di Angelo Cantone
Azzurro=bealere - Rosso=Cappella di San Rocco - Giallo=Molino Vecchio - Grigio=strade
Anno 1935 la cappella di San Rocco - Vincenzo Cantone 1896-1973
A sinistra la cappella di San Rocco, dietro vi passava la bealera
L'arma del Re e l'arma della Regina
Un racconto
tramandato di padre in figlio da diverse generazioni piossaschesi narra che
ai primi dell'Ottocento i tranesi per avere più acqua per loro decisero
di abbattere la piccola diga che sul loro territorio incanalava l'acqua deviandola
dal torrente Sangone in direzione di Piossasco e qui giunta, suddividendosi
in vari rii che scorrevano accanto alle strade, consentiva alle donne piossaschesi
di lavare i propri panni. Rimaste così senz'acqua le donne piossaschesi
si recarono in massa a protestare a Trana e giunte presso il luogo ove era
la diga si misero a ricostruirla. I tranesi non potendo o volendo venire a
lite con le donne mandarono a chiamare i regi carabinieri che arrivando sui
loro cavalli intimarono in nome del Re alle donne di abbandonare i lavori,
altrimenti minacciarono. l'Arma del Re ne avrebbe avuto ragione.
Fu allora che si compì la storia dell'acqua perchè una donna
più temeraria delle altre si alzò la lunga gonna sopra il ventre
e così gridò: "Signor capitano voi avete l'Arma del Re,
ma noi guarda qui abbiamo l'«arma» della Regina che ottiene tutto
dal Re". A queste parole i carabinieri, un po' confusi, ritornarono a
riferire ai loro superiori; non molto tempo dopo un'ordinanza reale autorizzava
la ricostruzione della diga. Una donna ancora una volta aveva prevalso. Ma
c'era da dubitarne?
Trana la diga del Sangonetto oggi
Masche e fatti strani
Tutto ciò,
che mi accingo, a scrivere, mi è stato narrato da una arzilla e vispa
ottantenne della frazione Cappella (Pierina 1902 - 1999),
che mi ha parlato delle masche e di certi fatti strani e inspiegabili, con
un tale entusiasmo ed era talmente convinta della loro veridicità,
che mi è parso logico chiederle: «Ma lei tutte queste cose
le ha viste?». «No» mi ha risposto, «ma
me le ha raccontate mia mamma e quindi, se l'ha detto lei, non può
essere che vero!»
Certo che i Piossaschesi di un tempo ne avevano di immaginazione! Le masche,
frutto della fantasia popolare, facevano parte del vissuto quotidiano di allora
ed erano all'ordine del giorno nei discorsi di tutti.
Ed ecco ciò, che mi è stato riferito.
Verso la fine dell'ottocento, nella frazione Mompalà, c'era un tipo
strano, chiamato "Pnel".
Veniva da fuori e si era costruito una rudimentale casetta colà. Viveva
da solo e aggiustava orologi. Si diceva, che avesse un'altra dimora sopra
Giaveno e che si facesse portare in quel luogo in volo dalle masche. Gli abitanti
della frazione lo sentivano passare di notte, sopra le loro case. Capivano
che era lui, perché udivano la sua voce, che urlava: «Aot!»
(alto) e, se uscivano, a vedere, non scorgevano nessuno. «È
Pnel, che stanotte si è fatto
condurre all'altro domicilio, perché diceva: "Aot"»
commentavano il giorno dopo i suoi vicini.
A Piossasco un tempo arrivavano di tanto in tanto degli sconosciuti, a vendere
i libri di comando. Si leggevano le formule magiche scritte in tali manuali
di stregoneria, allo scopo di impedire, che venisse la grandine, per accumulare
quattrini e per tutto ciò, che si desiderava. Allorché si leggeva
la frase rituale, occorreva chiedere subito, ciò che si voleva, altrimenti
ci si sentiva picchiare e all'intorno non si vedeva nessuno.
Un tale aveva comprato il trattato di magia e, dopo aver letto la formula,
non riusciva, a "comandare". Costui si prese botte tremende e fu
costretto, a bruciare il libro.
La sera del due novembre, ricorrenza dei morti, tutti rimanevano in casa,
perché si raccontava, che le anime dei trapassati tornassero quella
notte nel mondo dei vivi. Il nonno dell'arzilla ottantenne della frazione
Cappella, che aveva dovuto uscire in tale circostanza, per cose importanti,
vide tre o quattro individui, che camminavano dietro di lui, che poi sparirono
d'improvviso. Dopo un po', scorse un uomo, che zoppicava e che teneva in mano
un piccolo cero acceso. Il nonno gli chiese: «Chi sei? Ti sei perso?»
e costui rispose: «Prega tanto, perché sono in Purgatorio.
Ho commesso in vita brutte cose, ma spero un giorno di andare in Paradiso,
se tu preghi per me» e scomparve. Il nonno pensò, che fosse
una masca.
A Mompalà si diceva un tempo, che vivessero colà tre masche.
Pure il Prete pare fosse al corrente della cosa, tanto che un giorno aveva
detto a un abitante di tale frazione, che era andato, a servir Messa: «Voi
di Mompalà, avete tre masche, che vengono sempre a Messa qui e io le
conosco e so dove si trovano oggi in Chiesa. Quando siamo al Sanctus, tu che
servi Messa, metti il tuo piede destro sulla punta del mio piede sinistro
e vedrai le tre strane creature in volto».
Se poi costui le abbia viste, o no, non mi è stata data nessuna risposta
al riguardo.
A Mompalà si raccontava, che le masche locali si divertissero, a buttare
un diciottenne in un rivo, che scorreva lungo la strada. Lo gettavano dentro,
poi lo tiravano fuori e di nuovo tornavano, a ributtarlo in acqua e costui
non vedeva nessuno e rimaneva sempre asciutto.
Pare, che questi strani esseri avessero resa indemoniata una donna, che fu
portata in Chiesa, legata e urlante. Al momento del Sanctus, la gente vide
uscire dalla bocca di costei sette diavoletti: tutta opera di malefici.
Si diceva, che le masche fossero all'aspetto, come tutte le altre persone
e che alla notte circolassero sui tetti delle case, facendo un baccano infernale.
Si raccontava pure, che i loro figli fossero individui normali e che non ereditassero
tali caratteristiche dalla madre.
Alle Prese c'era una località,
chiamata: «il ballo delle masche».
Una donna di tale frazione aveva messo il suo bimbo nella culla, perché
doveva andare, a lavare in un rivo. (Siamo ben lontani dal tempo delle lavatrici!)
Una abitante del luogo, che era una masca, le disse: «Vai a lavare?
E il piccino?»
«Il bambino sta dormendo» rispose la madre. Indi andò,
a "sciacquare i panni e quando tornò, non trovò più
il neonato. Subito la povera mamma corse da colei, con cui aveva parlato e
urlò: «Hai preso mio figlio!» e l'altra rispose:
«Vai a casa, che il piccolo è là». La donna
tornò nella sua dimora e trovò il bambino. Circolava infatti
la voce, di non lasciar mai soli gli infanti, perché le masche li prendevano,
per andare a giocare. Pare, che si divertissero fra loro, a lanciarsi i piccini
l'una all'altra, come fossero palle. Era un continuo: «Butta a me,
che io getto a te» e i poveri bimbi venivano afferrati al volo.
Una donna, il cui bambino da alcuni mesi era malato, si era rivolta a una
guaritrice e costei le aveva detto: «Tuo figlio ha un maleficio
addosso. Mettigli al collo questa medaglia benedetta, che deve tenere, per
almeno due mesi. Tu, intanto, recita tutte le sere dieci Ave Marie e dieci
Padre nostro. Dopo tale periodo, stai attenta a cosa succede. Non devi mai
togliergli gli occhi di dosso: vedrai, che ti posa qualcosa».
Il bimbo non cresceva e continuava, a piangere. Dopo due mesi vomitò
una quantità di latte tale, da riempire un'intera scodella, latte duro,
come la ghiaia. Si disse poi, che era stata la masca Camilla, che durante
un'assenza della madre, essendo il bambino rimasto solo, era andata, a dargli
il latte.
C'era poi la masca Gasprigna, la quale disse un giorno al nonno dell'arzilla
ottantenne della frazione Cappella, di non andare in una certa località.
Costui dovette purtroppo recarsi da quelle parti, per ragioni di lavoro e
quando fu colà, si vide passare in mezzo alle gambe, senza che fossero
toccate, un recipiente con della brace ardente all'interno.
La vispa ottantenne mi ha pure raccontato, che sua mamma, da giovane, allorché
tornava dal pascolo, si sentiva buttare a terra da questi strani esseri, che
subito la rialzavano, la facevano cadere nuovamente e non vedeva nessuno.
Mi è pure stato narrato di una masca moribonda, che aveva tanti calabroni,
che le giravano attorno. Costei diceva alla nuora: «Toccami la mano,
altrimenti non posso morire». Se la moglie di suo figlio avesse fatto
quello, che ella chiedeva, sarebbe diventata lei stessa, a sua volta, una
masca. La nuora, sapendo ciò, le disse: «Ti do da toccare il
manico della scopa» e così fece e immediatamente dopo, buttò
il tutto nel fuoco. Subito si levarono fiamme altissime color viola e la morte
arrivò immediatamente.
C'era poi un tipo strano, chiamato «il mago di Conca».
Allorché grandinava, nella sua vigna la grandine non cadeva. Quando
a settant'anni morì e dovettero metterlo nella cassa, scomparve e non
lo trovarono più. Nella sua dimora nessuno poteva stare, perché
si sentivano strani rumori.
C'era un tempo chi si traformava all'occorrenza in masca, per i propri comodi.
Alcuni giovani dei paesi confinanti con Piossasco, venivano la sera, a trovare
le ragazze del nostro borgo di vecchia data e i giovanotti del luogo, gelosi,
si nascondevano dietro le siepi e ne uscivano d'improvviso, avvolti in candide
lenzuola, davanti ai nuovi venuti, per spaventarli, affinché non tornassero
più, perché quello era il loro «territorio di caccia».
C'era poi il detto, che i Preti facessero la fisica. Si racconava, che di
notte scuotessero i letti delle persone, che non andavano a Messa e che provocassero,
nelle case di costoro, rumori di pentole cadute a terra e altro ancora.
Un giovane di San Vito, andava sovente, a trovare la sua innamorata e la cosa
non era gradita al Sacerdote. Nella soffitta dell'abitazione, in cui dimorava
la ragazza, di notte si sentivano strani rumori, per cui una sera lo spasimante,
che si trovava nella casa di colei, che amava, prese il fucile da caccia e
salì sul solaio. Vide un gatto nero, gli sparò e lo ferì
a una delle zampe anteriori. Il mattino dopo, a Messa, il Prete aveva una
mano fasciata e da allora si sparse la voce, che il Religioso circolasse per
le case di San Vito, sotto le sembianze di un felino dal pelo scuro.
Il marito dell'arzilla ottantenne della frazione Cappella lavorava per un
tale, che bestemmiava continuamente. Il Parroco diceva sempre a costui: «Candido,
non offendere Dio!».
«Ma se non bestemmio, i cavalli non mi ascoltano e non tirano il carretto»
rispondeva pronto l'altro.
Un mattino quest'ultimo scese nella stalla, per dare da mangiare alle bestie
e vide, che presso di loro c'erano sette diavoletti, che saltellavano qua
e là. Prese immediatamente il tridente, per infilzarli e cominciò,
a bestemmiare a più non posso e più offendeva Dio e più
i demonietti aumentavano. A un certo punto, non sapendo più che fare,
l'uomo andò dal Parroco, gli spiegò l'accaduto e il Sacerdote
gli rispose: «Vai a casa e non troverai più nulla»
e così successe. Si disse poi, che fosse tutta opera del Prete, che
cercò di spaventare costui, affinché non dicesse più
bestemmie.
La Piossasco dei nostri nonni - Miranda Cruto
Piossasco credulona
A proposito di "masche",
circolavano in paese voci e supposizioni a non finire, frutto di pura immaginazione
e prive di qualsiasi fondamento: chiacchiere, chiacchiere e ancora chiacchiere
che io qui riporterò, come mi sono state raccontate.
L'argomento era talmente in voga un tempo che c'era addirittura un piossaschese
soprannominato "maschin". Tali creature immaginarie, frutto della
fantasia popolare, erano pure le protagoniste delle favole che i nonni raccontavano
ai nipotini, dove si parlava di incantesimi e di trasformazioni di pecore
in bambine.
Tutto ciò che di strano e inspiegabile si vedeva, si sentiva e di cui
non si trovava una spiegazione plausibile, era attribuito a questi esseri
stregati: bastava che una porta scricchiolasse e subito si supponeva che fosse
opera loro.
"Vengono le masche a prenderti, se fai il cattivo" dicevano i genitori
ai figlioletti discoli e questi ultimi ubbidivano subito.
Poiché parlare di tali presenze misteriose intimoriva, oltre ai piccoli,
anche gli adulti, c'erano i buontemponi che, per divertirsi a spaventare la
gente, svuotavano le zucche della loro parte interna, indi facevano dei buchi
per gli occhi, naso e bocca; dopodiché ponevano di notte, nei luoghi
più disparati, i frutti delle cucurbitacee con dentro un pezzo di candela
accesa. Altri bighellonavano per le vie del paese, a sera tarda, avvolti in
bianche lenzuola, terrorizzando i più ingenui dei loro compaesani che
fuggivano a gambe levate.
C'era chi affermava di aver notato le masche aggirarsi al Marchile, altri
lungo la strada che porta a Bruino.
Si raccontava pure che si nascondessero sotto il Ponte Vecchio e addirittura
che danzassero sulle querce, presso la cascina Martignona.
Per tal ragione molti le chiamavano "le masche dle rol". In quest'ultima
località, poi, si diceva che ogni notte passasse, attraversando la
strada, una chioccia seguita dai pulcini
che tutti credevano fosse un essere stregato.
Una donna, che ogni sera andava a fare la "vijà" nella stalla
di conoscenti, confidava ai compaesani con sgomento che, tornando a casa verso
le ventitré, incontrava sempre una "masca" che arrivava da
San Rocco e, dopo molte investigazioni, si era appurato che l'essere che costituiva
il terrore della piossaschese in questione, era un'infermiera che ritornava
dal capezzale di un malato e che, per ripararsi dal freddo invernale, avvolgeva
il capo in un candido scialle.
Non distante dalla frazione Luisetti c'era una casa abbandonata che tutti
affermavano fosse stregata, perché si sentivano provenire dalla cantina
di tale abitazione strani rumori, di cui non si capiva l'origine, tanto che
si diceva che i partigiani che una notte si erano rifugiati a dormire colà,
non erano riusciti a prendere sonno.
Quella costruzione era soprannominata "la ca dle masche", e nessuno
osava penetrare colà.
Un piossaschese raccontava che, tornando alla propria dimora tardi, la sera
dopo il lavoro, vedeva sempre sopra una grossa pianta una creatura misteriosa,
con indosso una tunica bianca che lo terrorizzava, facendolo scappare a gran
velocità e, mentre costui correva, gli pareva di sentire i passi di
quel fantasma che lo seguiva, a pochissima distanza.
Un anziano del paese aveva riferito ai vicini che, raccolti dei ceppi in campagna,
li aveva ammucchiati in cortile ed essi avevano cominciato a muoversi, alzandosi
e sbattendo contro il muro.
L'uomo prese uno di quei pezzi di legno saltellanti per metterlo nella stufa
e, in quel mentre, arrivò un vicino che lo consigliò di non
bruciarlo; costui obbedì e il ceppo non si mosse più.
Un piossaschese aveva rivelato, in gran segreto a pochi intimi, di aver visto
una scia di fuoco percorrere velocemente il cielo ed era pronto a giurare
che tutto ciò fosse opera delle "masche"; altri raccontavano
di aver scorto fiammate improvvise sui muri e altre cose del genere.
Alcuni, con fare misterioso e sgomento, riferivano ai conoscenti che i fruttivendoli
del paese che ogni giorno, di buon mattino, si recavano coi birocci, a vendere
la verdura ai mercati a Torino, al ritorno si imbattevano sovente per strada
in una "masca" che li derubava del gruzzoletto guadagnato.
Il malaugurato incontro avveniva sempre nello stesso luogo e precisamente
nella via che i Piossaschesi chiamavano "la strada vecchia di Bruino".
In quei pressi l'essere misterioso stava in attesa, nascosto sotto un ponte
e balzava fuori all'improvviso dal nascondiglio, all'apparire dei carri; apriva
velocemente il cassetto situato al di sotto di essi, derubando i fruttivendoli
del denaro, senza che essi potessero opporsi e poi spariva d'un tratto nel
nulla.
Poiché il fatto spiacevole si ripeteva un po' troppo sovente, un carrettiere
si recò sotto il ponte e quando la creatura misteriosa arrivò,
per nascondersi e prepararsi al solito agguato, la uccise.
Un contadino aveva confidato ad alcuni amici che il giorno precedente le sue
mucche, inspiegabilmente, non riuscivano a trascinare il carro carico di fieno;
all'improvviso si era accorto che fra le ruote saltellavano tanti coniglietti
che, a suo parere, dovevano essere "masche", perché a un
tratto sparirono e il carro potè essere trasportato a casa normalmente.
Un piossaschese aveva raccontato a mezzo paese un fatto inspiegabile. Una
sera, al rintoccar della mezzanotte, egli si stava dirigendo dalla Parrocchia
di San Francesco verso San Rocco, quando, giunto in prossimità della
Chiesa della Confraternita, vide aprirsi la porta dell'edificio religioso
e da essa uscirono in processione dei frati incappucciati; ognuno di essi
teneva in mano un cero acceso.
Spaventato dall'insolito spettacolo, l'uomo si nascose, tremante, dietro a
un portone, ma uno dei monaci sconosciuti lo notò, gli venne incontro
e gli porse la sua grossa candela che il piossaschese, senza dir parola, portò
a casa, correndo via terrorizzato. La depose presso il suo letto, sul tavolino
da notte; indi si addormentò.
Il mattino seguente, al risveglio, al posto di ciò che gli era stato
dato, trovò una tibia. Fatta la macabra scoperta, si recò immediatamente
dal Parroco, a raccontare ciò che gli stava capitando. Il sacerdote
lo consigliò di ritornare la mezzanotte successiva nello stesso posto,
per vedere se si fosse ripresentato ai suoi occhi lo spettacolo della sera
precedente.
L'uomo fece ciò che gli era stato suggerito: ritornò sul luogo
dell'accaduto e vide riapparire i frati incappucciati. Tutti avevano un cero
in mano, ad eccezione di uno di essi che ne era privo. Quest'ultimo si avvicinò
al piossaschese che gli porse immediatamente la tibia, la quale si trasformò
davanti ai suoi occhi in una candela accesa e la processione a un tratto scomparve.
Questi monaci, a detta del testimone del fatto, erano "masche" e
per quanto riguarda l'osso umano che all'origine era un cero e poi lo fu di
nuovo, nessuno seppe dare un significato plausibile a tale trasformazione.
Alcuni vecchi del luogo poi credevano che i preti andassero di notte sul campanile
con una candela accesa, a "fare la fisica" e ciò derivava
dal fatto che, essendo tutti a quel tempo in paese privi di istruzione, attribuivano
ai sacerdoti, persone colte, poteri che altri non possedevano, immaginando
che facessero vedere al popolino ignorante, cose al posto di altre.
Sempre continuando su tale argomento, un abitante di una frazione che aveva
bisticciato col fratello, aveva detto ai conoscenti, a proposito del suo congiunto:
"Mi fa fare la fisica dal Parroco, per attirare le disgrazie sulla mia
persona".
Un piossaschese sempre sfortunato si era consultato con un mago e il responso
di quest'ultimo era stato il seguente: "Qualcuno ti ha messo la maledizione
addosso; per vedere chi è, lunedì mattina presto va sulla Strada
Provinciale e il primo individuo che incontrerai colà, è proprio
quello che ti "ha fatto la fisica" e... manco a farlo apposta, costui
vide un sacerdote.
C'era poi chi raccontava che un prete di Piazza praticasse la magia nera e
si trasformasse in un gatto. Si narrava che un felino di pelo scuro gironzolasse
nelle vie e nelle case di San Vito, per cui i creduloni pensavano che il religioso
in questione, sotto le sembianze di tale animale, andasse a spiare tutto ciò
che essi facevano. Le loro supposizioni si basavano sul fatto che l'ecclesiastico
era sempre al corrente di tutto ciò che capitava colà.
Un abitante del luogo, un giorno, lanciò al micio un pezzo di legno
che lo colpì ad una delle zampe anteriori.
Il mattino seguente costui si recò in chiesa e notò che il prete
celebrava la messa con un braccio al collo. Raccontò la cosa ai conoscenti
e tutti fecero mille congetture sull'accaduto, essendo ormai certi, secondo
il loro punto di vista che il sacerdote e il gatto dovevano essere la stessa
cosa.
Vecchia Piossasco dai mille volti – Miranda Cruto
Il ballo delle maschere
Non c'è paese nella sua storia
il quale nella tramandazione popolare sfugga ai riti ombrosi della magia,
nemmeno Piossasco. Quanto sto per raccontare l'ho acquisito parlando con i
vecchi di Piossasco. Sono nato in questo paese nel 1936, ho sempre vissuto
in Piossasco, conosco ogni anfratto di esso, conosco l'indole laboriosa dei
miei paesani, la loro semplicità, le loro tradizioni, i loro travagli
psicologici e reali; essi sono maturati come il grano della loro pianura e
forte nel carattere come le piante della loro montagna, essi assommano i valori
della lealtà al burbero retinaggio della schiettezza montanara, disdegnando
la pubblicità fatua, essi venano la loro esistenza con toni di mistero,
quando ad essi si parla del passato, della vita vissuta dai loro avi, si adombrano
e parlano non senza difficoltà di quello che era ritenuto opera di
qualcosa di non naturale.
Attorno al 1700 - 1850 fino al 1900 quando il tempo inclemente relegava all'interno
delle stalle la popolazione prettamente contadina, mentre le donne accudivano
agli ultimi nati e lavoravano a maglia, mentre gli uomini seduti in disparte
rimettevano a nuovo le impugnature delle zappe, rastrelli e forconi, oppure
intrecciavano i cesti di salice o abitacoli per i pulcini (detti in gergo
piossaschese Germu), nel caldo sbuffare delle mucche ruminanti il parco desinare,
era il momento in cui venivano iniziati i discorsi strani, era il momento
magico dei bambini più grandicelli che appoggiando i gomiti sulle ginocchia
delle nonne coperte dalle lunghe e ampie sottane sovrapposte da capaci grembiuli
che infondevano una fugace sensazione di dolcezza materna, nel chiarore tenue
e tremolante del lume a petrolio, esso proietta le ombre ideali per una veglia
che si protrarrà fino al compimento del lavoro iniziatosi nel pomeriggio
invernale.
Il discorso corre su un filo di mistero; la montagna che sovrasta Piossasco
e lo protegge dalla gelida tramontana fa scaturire dal suo seno una serie
di fontane che con il gorgolio dell'acqua accumulata dal gocciolio delle nevi
o dai temporali improvvisi scende dalle fenditure raccogliendosi in un rivo
dal nome sinistro e fantasioso detto La Martignona, esso seguendo un percorso
sinuoso in mezzo ai rovi e felci giunge a fianco del muro perimetrale del
castello poggiato sulla rocca del Gran Merlone, nel passare sotto un ponticello
della strada che porta al Campetto il rivo si inabissa e crea un luogo orrido
che la fantasia popolare ha definito posto per le maschere, creature indefinite,
metà donne e metà streghe.
Si racconta che esse si facevano vedere dagli uomini che si recavano al mattino
di buon'ora al lavoro dei campi, esse li aspettavano in quel punto. Martinatto
Giovanni detto Giuvanin Pessana ne ha incontrata una, erano le 2,30 del mattino
e lui con la falce in spalla si recava al taglio del fieno. Arrivai presso
il luogo della Martignona —
egli racconta — e come per incanto me la trovai davanti, non distinguevo
bene come fosse, la vidi grossa con un cappellaccio e quando titubante le
passai vicino non si mosse.
Passato che fui, la creatura cominciò a seguirmi saltellando e gesticolando,
quando giunsi ad una distanza ragguardevole ed avendo una tranquillità
per la vicinanza di un cascinale, mi girai e la lama della falce vibrò
nella luce lunare, la misteriosa creatura scomparve come per incanto.
Certo che il mistero persisteva e veniva percepito dai componenti della veglia.
Una nonna racconta — il suo nome è "Mainota", conosciuta
nel rione S. Rocco — che altre volte interventi delle streghe venivano
intercettati, come la villa della Vigna Granda ai piedi di San Giorgio, in
cui le porte sbattevano senza che vi fosse nemmeno un filo di aria.
Anche Barcheta — interveniva mia madre — ha provato con la sua
fisica a fermare quelle azioni senza riuscirci, e pensare che questo sig.
Barcheta, uomo strano e alquanto misterioso, l'ho conosciuto di persona quando
io avevo 7 anni. Egli passò gli ultimi anni della sua vita all'ospedale
S. Giacomo e morì che aveva 75-80 anni, l'età non era molto
recepibile e non era stimabile dovendo sopportare lo sguardo magnetico e penetrante
che dava prestigio alla sua persona.
Mettendo assieme la convinzione dei giochi fatui che si sprigionano dal calore
intenso nell'area del cimitero con la dovizia di superstizione fasciata da
evidenti coloriture fantasiose se ne trae lo spunto per mettere in imbarazzo
a volte voluto e mettere a freno l'esuberanza dei ragazzi nel circolare nelle
notturne ore piossaschesi.
Purtroppo in questo bailamme di superstizioni ne facevano le spese anche gli
affetti e ricordi dei defunti, nella notte che precedeva il giorno dei defunti,
nell'ora dopo la benedizione serale, il paese si svuotava, nessuno usciva
più di casa, tutti erano raccolti in silenzio attorno al ceppo che
ardeva nel camino e faceva borbottare un pentolone pieno di castagne.
In quella sera unico parlare consentito e che si allineava con il soffiare
dell'aria novembrina era il rosario e le litanie per i morti, finite le quali,
sempre in silenzio si mangiavano le castagne accompagnate dal sapore a volte
acidulo del vino fatto in casa, in tutte le famiglie più o meno superstiziose
non si tralasciava di lasciare un piatto di "biscoit" (castagne
con la pelle) ed una bottiglia di vino per le anime erranti dei defunti.
Allivellatori o valle dei tori
A proposito di leggenda,
lo sapete che la leggenda descritta dal vicario don Fornelli nel suo libro
come la leggenda del Drago, che diede vita allo stemma di Torino, proviene
dalla Valle dei Tori?
Questa valle che si incunea tra il territorio di Piossasco e quello di Cumiana,
bagnato dal torrente Tori che si getta nel Chisola, era feconda di allevamenti
di tori. In tempi remoti racconta ancora Colombaro Albino, quella valle era
un serraglio naturale e i tori vivevano in salute e libertà, nutriti
da lussureggianti pascoli, abbeverati da limpide acque, essi avevano lo spirito
battagliero che distingue questi animali nel loro primitivo sfogo di caricare
e distruggere a colpi di corna quanto non gli aggradi alla loro vista.
Orbene il torello che uccise il Drago della leggenda, nella città di
Torino, il quale drago sfuggito chissà per quale fato dal fuoco appiccato
alla montagna di San Giorgio, sua dimora, e giunto dopo stragi di bestiame
e uomini a Torino, quel torello proveniva dalla valle menzionata in apertura
e cioè Allivellatori.
Il proprietario, uomo furbo e intelligente, fece la proposta al Consiglio
di Torino, che se lo avessero pagato a suon di scudi d'oro li avrebbe liberati
dal flagello del drago.
Avuta la promessa egli si recò nella Valle dei Tori, scelse uno stupendo
ed irascibile torello, lo portò a Torino, lo ubriacò di vino
e lo lasciò libero di scorazzare per la città, fintanto che
si incontrò con il drago e impennandosi al suo cospetto lo uccise,
liberando la città dal suo flagello.
Da allora, dice la leggenda, il Consiglio decretò che sul suo stendardo
fosse fissato come emblema il toro rampante.
Ora la Valle dei Tori, anche mantenendo la sua fisionomia, si è arricchita
di ville e nella sua amena tranquillità, al turista o al ricercatore
di funghi, o solo al popolano che si spinga in mezzo ai frutteti ornati di
succose pesche o deliziose mele, nel momento che si ferma sotto l'ombra delle
secolari quercie, sente nel fruscio della brezza che aleggia nella valle come
un leggero scalpiccio di zoccoli di quella che era una selvaggia schiera di
animali dal portamento regale.
Piossasco
Una festa al castello dei Nove Merli
Una festa
che invece è totalmente scomparsa anche dai ricordi e quindi molto
difficile da metterla a fuoco nella interpretazione esatta, è la festa
dei Nove Merli.
Essa a frammenti viene ad inserirsi nella vita di Piossasco, con lei, a quanto
si sa, dava vita ad un festival madrigale in cui faceva sfoggio la bravura
e l'arte dei partecipanti.
Una grande festa dunque, fatta nel salone del castello, ma perché si
è dimenticata? La fantasia popolare racconta che è stata volutamente
soppressa dal nobile proprietario feudale in virtù di un doloroso e
quanto mai toccante episodio.
Il Contino, amante della musica, lasciò la casa paterna per girovagare
per il territorio vivendo suonando la chitarra, chiudendo la sua esistenza
terrena sotto un ponte del Po a Torino. Durante una di quelle feste egli si
presentò a suonare nel castello alla presenza del popolo e dei familiari:
tale fu lo sgomento e la delusione del parentado che si decise di sospendere
la festa e di cancellarla anche dai ricordi; correva l'anno 1875 circa.
La montagna bruciata San Giorgio
Monti San Giorgio e San Valeriano (viaggiata 1927)
Ritornando
in alto, su, su oltre le ville, sulla fronte e sui fianchi del monte San Giorgio
s'incontrano magnifiche pinete, che nel loro verde cupo, sembrano formare
la chioma del monte. Queste pinete hanno una data di nascita relativamente
recente: di fatti, poco più di 50 anni fa, il monte S. Giorgio era
ancora chiamato la montagna bruciata, perchè era brulla di piante e
piena solo di bassi cespugli spinosi.
Era dunque opinione generale fra i Piossaschesi, che nessuna pianta avrebbe
potuto attecchire, dato il fondo pietroso e roccioso. Il primo a sfatare questa
opinione fu l'illustre medico Battistini Dott. Ferdinando.
Largo spazio di terreno di sua proprietà, partendo dalla sua villa,
si estendeva su per la montagna. Egli in quel terreno fece mettere una abbondante
quantità di piantine di pini; le quali attecchirono, crebbero e cominciarono
a far bella mostra di sè. Visto il riuscito esperimento, il Comune
di Piossasco provvide a fare un vasto piantamento di pini di vario
tipo, nei suoi terreni, che fasciano tutto il monte.
A proposito della montagna bruciata vogliamo ricordare una
leggenda, la quale spiegherebbe perchè la montagna venne detta bruciata.
Questa montagna con le sue falde scoscese di terreno rossastro, arse dagli
ardori del sole, qua e là seminate di sterpi e stitici boschetti...
Questa montagna è affatto sterile. Pare che la maledizione del Signore
sia colà discesa. Il volgo a tanto squallore, sorpreso di meraviglia,
e volonteroso di trovarne la causa in un qualche fatto soprannaturale o straordinario
almeno, ciecamente abbandonandosi alla favola, attribuisce un tale stato di
cose al seguente avvenimento :
Cotesto monte un tempo era floridissimo, folte essendo le querce, i pioppi,
i castagni, gustose le erbe, felici i pastori pascolanti il pingue armento...
Ad un tratto mutossi in soggiorno di pianto e di disperazione. Un immane serpente
colà rintanatosi, ad ora ad ora sbucando, il gregge, i pastori fugava,
i malcapitati sanguinosamente ingoiando. Gli uomini strettisi a comune difesa,
invano tendevan l'arco; l'impavido cacciatore ammaliato dal mostro cadendo
vittima del proprio ardire. I miseri non sapendo più a qual partito
ricorrere per liberarsi dall'infesto animale, appigliaronsi al seguente estremo:
Accesi fuochi all'intorno della montagna, appiccato l'incendio alle secolari
selve, queste in breve divamparono. Il Drago avvinghiato dal fuoco, fra sibili
orribili e dibattersi feroce, cercò scampo, ma inutilmente, poiché
le fiamme e la vendetta degli oppressi, lo incolse.
Qualche scrittore più fantasioso, allunga la leggenda, aggiungendo
che il Dragone snidato dal fuoco uscì dal nascondiglio, attraversò
Piossasco e altri paesi, seminando terrore e morte, giunse a Torino. La popolazione
fu in allarme e anche il Duca di Savoia, il quale invitò i Torinesi
a cercare e suggerire il mezzo più adatto e più sicuro per uccidere
il Dragone.
E il mezzo sarebbe stato proposto al Duca da uno dei Signori di Piossasco
che si trovava in Torino. Consisteva in questo: «Scegliere un toro
forte e robusto, ubbriacarlo con vino e liquori e poi lasciarlo libero per
le vie della città, mentre i cittadini dovevano restare ritirati in
casa». Così fu fatto. Il toro inferocito dall'ubbriacatura,
si incontrò col Dragone; fu una lotta dura e sanguinosa, ma il toro
con le sue feroci cornate, ebbe la meglio, e il Dragone per le gravi ferite
in fine giacque morto.
Il Duca in segno di riconoscenza avrebbe concesso ai Piossasco il titolo di
Conti, e il toro sarebbe diventato lo stemma della città di Torino.
Luglio 1942
Restauri alla Cappella di San Giorgio. Una leggenda popolare narra che San Giorgio apparì un giorno in cima al monte che sovrasta Piossasco, tutto chiuso in armi sul candido destriero, e di lassù con un balzo piombasse al piano in un punto ricordato tuttora da un pilone, che si chiama appunto di San Giorgio. In ricordo della prodigiosa apparizione, pare sia sorta lassù la chiesetta dedicata al Santo, guerriero dalla pietà degli abitanti, i quali dovevano aver ricevuto qualche miracoloso soccorso in una delle molte traversie cui fu soggetta la regione nei tempi andati. Noi non possiamo accettare questa leggenda, che non regge alla critica, che non ha fondamenti storici che la comprovino. Vi sono altri documenti storici e tradizionali più convincenti, i quali possono spiegare l’origine della Chiesetta sul monte San Giorgio. Questa volta volgiamo richiamare l’attenzione su un fatto. Per l’insufficiente manutenzione, per i frequenti fulmini, da cui fu e spesso colpita la Cappella, per il vandalismo di certi visitatori, l’esistenza della Cappella è seriamente minacciata, mentre è pure già molto compromessa dall’umidità e dalle piante parassite che in parte l’avvolgono. Ora sarebbe doloroso che al ridente Piossasco, posto sotto la custodia del monte, venisse mancare la protezione del glorioso San Giorgio.
La Buona parola del Vicario Don Giuseppe Fornelli
Piossasco - Il pilone di Piazza San Giorgio
Particolare del Pilone San Giorgio
la montagna bruciata |
i pini neri sul San Giorgio |
Candi
Nei primi del Novecento, secondo una testimonianza, si aggirava
nei pressi di Sangano “Candi”, il bandito solitario di Villarbasse;
il confine tra Sangano e Villarbasse e la riva degli Scarnassi erano suo territorio.
Non aveva bisogno di coprirsi il volto, perché tutti sapevano che era;
lasciava passare quelli che conosceva e alleggeriva i forestieri, carrettieri
di passaggio e gente del posto che poteva vivere anche senza quel poco di
cui lui si appropriava. La gente aveva paura,ma non troppa, perché
alpeggio prendeva la borsa, ma… non la vita. I carabinieri a cavallo
ogni tanto facevano la loro comparsa e battevano la zona ma, quando c’erano
i carabinieri, non c’era lui: quando c’era lui i carabinieri non
passavano
La strada che da Sangano tende a Villarbasse
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Maria Teresa Pasquero Andruetto