L’acquedotto di Sangano
'L vèrmot ëd Sangon
Colorata - Mappa antica di Sangano anno 1757 - AST
BLU= Fontanili o sorgizi - BIANCO= A sx Cascina Baronis - attualmente area
SMAT
Particolare originale - AST
A — Bealera di Piossasco su
cui sono li molini dell’Abbazia
B — Bealera Comune di Sangano
C — Bealera
di Bruino su cui erano li molini antichi dell’Abbazia
F — Fontanili o sian sorgenti di Baronis
Particolare dei fontanili o sian sorgenti di Baronis - AST
AZZURRO= fontanili - ROSSO= confine Trana sx-Sangano dx
Originale - le sorgenti Baronis area SMAT- Tipo disegno anno 1772 - AST
BLU= Sangone e sorgenti o sorgizi Baronis (area SMAT) – a sx l'imbocco
della Bealera Comune,
a dx l'imbocco della Bealera di Bruino o dei Molini alimentata dalle sorgenti
di Lilla - GIALLO= Molino vecchio
La FRECCIA NERA= indica l'antico molino dell'Abazia distrutto da una piena
del Sangone nel 1706
AZZURRO= galleria sorgenti di Lilla - NERO= Botola Lilla e Bototola di incrocio,
dalla Botola Lilla alla Botola di Incrocio il tunnel sotto il Sangone a dx
l'abitato di Sangano
A sx NERO= la Botola Baronis - AZZURRO= Galleria Baronis - dx NERO= Botola
di Incrocio
ROSSO= Serbatoio
|
Lavori per la costruzione dell'Acquedotto Municipale
A destra: collina morenica degli Scarnassi.
Al centro: la Botola di incrocio e i lavori per la costruzione della galleria
verso il serbatoio.
A sinistra in mezzo al verde si intravede l'antica passerella in legno o pedanca
sul Sangone.
I torinesi così chiamano scherzosamente l'acqua. Associandola
al tipico aperitivo della loro città, dicono, implicitamente, che l'acqua...
non è vermouth, il che è piuttosto evidente, ma anche che, quella
buona che sgorga senza risparmio dai tanti torët, è acqua del
Sangone. Era.
Modestamente vorremmo richiamare alla memoria dei torinesi che il "vermouth"
del Sangone porta il marchio d'origine controllata di Sangano. La Società
Anonima per la condotta delle Acque Potabili in Torino, infatti, in omaggio
al detto che "la roba ant ij pra e'nt j camp a l'è 'd Dio e dij
Sant", nel 1852 volle che fosse derivata dalle sorgenti e dalle falde
dei prati di Sangano l'acqua che avrebbe dovuto arrivare nelle case della
città. Il fatto è noto anche ai sanganesi insediatisi di recente,
grazie all'iniziativa della nuova amministrazione comunale, di aprire al pubblico
i sotterranei dell'Acquedotto Municipale di Torino, in occasione del Memorial
del 20 maggio 1995, dedicato ad Aldo Maritano e a Renzo Boccaccino.
Nel 1832 Maria Cristina di Sicilia, vedova del re Carlo Felice, incaricò
l'ingegner Ignazio Michela di studiare come convogliare a Torino
acqua potabile di sorgente, sempre fresca, sempre pura, sempre abbondante,
derivandola direttamente dalle Alpi o da luoghi elevati che poco distassero
dalle medesime.... L'acqua dovrà arrivare da sé, e per la sola
pressione propria, a tutte le case di questa città ed a tutti i piani
delle medesime, liberando così gli abitanti dell'incomodo e della spesa
di dover attingere l'acqua da bere da pozzi quasi sempre inquinati, portarla
a mano su per le scale, sulle quali non puossi far a meno di versarne sempre
qualche porzione, la quale è sovente cagione di pericolo per chi è
obbligato a montare e discendere per le medesime, principalmente in ragione
del gelo che vi si produce nell'inverno.
Centosettant'anni fa l'erba voglio cresceva ancora nei Giardini Reali di Torino,
perciò l'ingegner Michela presentò sollecitamente alla sovrana
una relazione nella quale si prospettavano ben sei possibilità: derivare
l'acqua dalla Sacra di S. Michele, dai Laghi di Avigliana, dalla Valle della
Dora presso Pianezza, dalla sorgente del Sangone, da pozzi da costruirsi fra
Collegno e Grugliasco, da fontane esistenti alla periferia della città
lungo il corso della Dora.
Intanto nel 1847 un gruppo di 53 cittadini, tra cui il Conte di Cavour, si
era costituito in società per fornire Torino di acqua potabile, chiamandosi
in seguito "Società Anonima per la condotta delle Acque Potabili
in Torino". La regina ne mise a disposizione la relazione Michela, dichiarandosi
disponibile a contribuire al finanziamento dell'opera, se l'acqua fosse stata
fornita "gratuitamente e a perpetuità" a tutti gli istituti
di beneficenza torinesi. Furono espletate analisi su analisi; alla fine la
società scelse il progetto della Valsangone, perché risultò
che l'acqua del Sangone "è acqua potabile dolce, non cruda, non
selenitosa, contiene appena 19 milligrammi di carbonato di calce e tracce
appena di solfato". L'acqua delle sorgenti del Sangone-sempre secondo
la relazione - era purissima e cuoceva i legumi in un'ora e mezza, mentre
altre, ad esempio quella dei pozzi di Torino, in due ore; "per di più
non conteneva più di 80-100 milligrammi di principi fissi e piccolissima
quantità di materia organica".
Le sorgenti erano a m 5,50 di profondità (m 2,25 di terra vegetale
e m 3,25 di piccoli e grossi ciottoli di sabbia); le acque aumentavano se
si scendeva fino a 7 m di profondità. La Società si propose
di fornire 66 litri al giorno per abitante; cioè, per una popolazione
che era allora di 150.000 abitanti, 8580 mc, ma, ricorrendo anche alle fontane
già esistenti, si sarebbe potuto arrivare a 20.000 mc. Alla fine, tuttavia,
le falde sulla sinistra del Sangone risultarono meno ricche del previsto,
perciò la Società acquistò quasi subito la tenuta della
contessa Malines in territorio di Sangano, sulla sponda destra. In Sangano
dunque, sulla sponda sinistra, nelle gallerie d'attingimento confluivano le
acque delle falde di sinistra. Sulla destra, un'altra raccoglieva quelle della
sorgente Lilla. L'acqua raccolta, in un canale in muratura a pelo libero,
passava nelle vicinanze di Rivalta e Grugliasco, per spingersi per una decina
di chilometri, fino alla località Baraccone (ora Regina Margherita).
Qui veniva raccolta in un serbatoio della capacità di 2600 mc e, in
una conduttura, passando sotto corso Francia, scendeva fino a piazza Carlo
Felice. Da questo condotto si partivano altre tubature secondarie. Ogni abitante
disponeva di 10 litri d'acqua a 23 centesimi al mc.
L'atto notarile per la derivazione e distribuzione, fatto nel 1852, fu approvato
dal Comune di Torino nel 1853, con l'autorizzazione a immettere sotto il suolo
di Torino i tubi conduttori.
La Società dichiarava che la quantità d'acqua da condurre doveva
essere di 20.000 mc in 24 ore, da aumentare, qualora ne fosse sorto il bisogno,
fino a 80.000 mc.
Prevedeva che sarebbero occorsi due anni di lavoro per portare l'acqua e per
l'intubamento delle vie principali: Doragrossa, contrada di Po, contrada nuova
e di Porta Nuova, contrada di S. Teresa e di S. Filippo, contrada Alfieri
e dell'Ospedale, contrada dell'Accademia delle Scienze e dei Conciatori, contrada
di Borgo Nuovo, contrada di Porta d'Italia e della Consolata.
Sei anni dopo, l'impianto della Valsangone era in grado di funzionare, con
una potenzialità massima di 650 litri al secondo e una media di 400.
Domenica 6 marzo 1859, le autorità e il popolo salutarono lo zampillo
augurale della fontana di piazza Carlo Felice: un enorme getto che arrivava
a 25 m di altezza. L'acqua, convertendosi in una pioggia di spruzzi, veniva
ad adacquare gran parte della piazza, tanto che si rese necessario ridurne
la spinta.
Sola, 'n mez ai giardin ed Porta Neuva,
l'acqua a va su 'nt ne spricc: drita, auta, franca,
e peuj a casca ant una s-ciuma bianca
che 'n buff d'aria a smasis parei 'd na pieuva.
(N. Costa, Fontan-e 'd Turin: Porta Neuva)
Questo impianto, che raggiungeva una portata media di circa
200 litri al secondo, fu poi migliorato, gradualmente, estendendo le gallerie
di presa e attingendo alle sorgenti Baronis, quindi costruendo un serbatoio
della capacità di 2000 mc a Sangano, e uno di 7600 mc a Baraccone,
aggiungendo delle condutture. Furono inoltre acquistati terreni in Sangano
(1862) e scavate fontane nei terreni dai quali scaturivano in permanenza,
sia durante la massima siccità estiva, sia durante i forti geli dell'inverno,
non meno di 200 pollici d'acqua. Prendendo acqua dalla Bealera di Rivoli,
dalle bealere di Bruino e Sangano situate presso la galleria destra, e quelle
dei Prati e della Valletta situate sulla galleria sinistra, l'impianto fu
ulteriormente potenziato.
Nonostante ciò la società non fu mai in grado di assicurare,
almeno fino agli inizi del Novecento, il quantitativo minimo di 20.000 mc
al giorno, previsto nell'atto notarile del 1852-53.
Nel 1904 perciò estese ancora l'area di captazione, ottenendo l'esproprio
dei terreni di 32 proprietari sulla sponda destra, sopra l'intera falda di
Lilla, ricca di sorgenti: più o meno un quadrilatero di 600 m per 300
tra il Sangone, la strada Sangano-Villarbasse, via Coletto, un tratto di via
Molino Vecchio e Sangone.
Un'enorme riserva "'d vermòt del Sangon" pronta per essere
dirottata alla città della Carpano, della Martini & Rossi, della
Cinzano e compagnia doc. Gli espropriati: Barbero Maria, Ostorero Luigi, Barbera
Michele, Barone Michele e Caterina, Martinasso Maria, Maritano Rosa, Cugno
Maria, Maritano Anna, Andruetto Giacomo Carlotta e Rosa, Andruetto Pietro,
Andruetto Antonio, Martinasso Giovanni, Rosa Lorenzo, Rocca e De Dominicis,
Cattero Giovanni, Cugno Maria, Parrocchia di Sangano, Conte Schiari, Barone
Michele, Masoero Giuseppe, Benedetto Carlo, Casalegno Tranquillo, Prato Francesco,
Bronzino Stefano, F.lli Pecchio, F.lli Rubbiola, Gonella Francesco, Barale
Matteo, Dudero Pietro e Clemente, F.lli Coletto, Zani
Giuseppe.
"Pija lòn ch'at dan, e grassie", suggerisce un detto piemontese. Così dissero e fecero.
Nel 1895, l'annoso problema del potenziamento della condotta
dell'impianto della Valsangone era stato ancora affrontato utilizzando le
acque sotterranee della zona di Millefonti, già luogo di delizie e
di svaghi di Carlo Emanuele I, feste, cacce e spettacoli pastorali per principi,
cardinali, artisti cortigiani di Torino e del ducato sabaudo. Qui erano state
costruite gallerie di presa, una camera di raccolta, serbatoi, un impianto
di sollevamento, dal quale un condotto, per via Nizza e corso Ferrucci, giungeva
alla barriera di Francia, dove le acque del Millefonti si mescolavano a quelle
del Sangone. Ed era il secondo adulteramento del vermouth del Sangone, dopo
quello ottenuto dall'annacquamento mediante le bealere di Rivoli, dei Prati
e della Valletta.
Così affluivano altri 450 litri al secondo che non miglioravano la
qualità, trattandosi di acqua selenitosa con un eccesso di solfato
di calcio e che... ritardava la cottura di molti elementi.
In seguito arrivarono altri apporti dall'impianto della Favorita di S. Maurizio
Canavese, dell'acquedotto Francesetti di Scalenghe, di Campo Fregoso sopra
Regina Margherita e il potenziamento aumentò ancora all'inizio della
seconda guerra mondiale e continua.
L'acqua che bevono i torinesi non è più "'l vèrmòt
del Sangon", ma... il prodotto di una cantina sociale. Come la Verità
di Trilussa, il flusso partito dalle gallerie di Lilla, giungendo a destinazione
canta rassegnata:
Fior de cicuta,
ner modo che m'avete combinata
purtroppo nun sarò riconosciuta!
Accompagnati dal Sig. Giuseppe abbiamo visitato il serbatoio di raccolta di Sangano, della capacità di 2000 mc, nel quale si immettono le sorgenti di Lilla, Baronis e Scarnassi, con flusso incessante di 160 litri al secondo dalla galleria di 494 m di Lilla e di 300 al secondo dalla galleria Baronis di 675 m che raccoglie pure le sorgenti Scarnassi. E’ cronologicamente il primo nucleo, poi potenziato nel 1906, del grande complesso dell’AMT. Nel serbatoio un galleggiante controlla la quantità delle acque in entrata che, circolando nelle 6 gallerie, si mescolano percorrendo in esse tre corsie di decantazione, mantenendo durante tutto il percorso un livello di 2 m di profondità; quando il livello consentito viene raggiunto, l'acqua eccedente si riversa in un canale che la immette nel Sangone. Guidati dal sig. Giuseppe abbiamo percorso la galleria Baronis: 7 metri di profondità, l’inizio dell’acquedotto: dai muri di essa numerosi fiotti d’acqua limpidissima escono dai fori dove terminano le condutture di captazione delle sorgenti. Al pozzo nel quale ha termine la galleria Scarnassi (m 686), presso i ruderi della vecchia cascina Baronis, l’acqua di quelle sorgenti precipita con fragore assordante da un tubo che la convoglia, con un salto di 30 metri nel canale nel quale scorre tranquilla l’acqua delle sorgenti Baronis, e vi si mescola. Una condotta le porta al serbatoio dove si mescoleranno con quelle delle sorgenti di Lilla che vi giungono attraverso la galleria che passa sotto al Sangone. Dalle sorgenti Acqua Viva, dopo Rivalta, si immettono nel canale che convoglia l’acqua fino agli impianti di Baraccone, altri 260 litri al secondo. L’avvocato Costante Sincero si adoperò perché a Sangano fosse assicurata l’acqua potabile. Il Comune mediante successivi accordi con la Società delle Acque Potabili, provvide a rendere autonomo il rifornimento idrico del paese e nel 1981 lo potenziò rafforzando le condutture e aprendo un nuovo pozzo che vi immetteva 15 litri al secondo.
Dal libro:
Storia di Sangano e della sua gente
Giuseppe Massa - Maria Teresa Pasquero Andruetto
Lazzaretti Editore, 1996
|
Visita dei bambini dell'asilo di Villarbasse al serbatoio della potabile 27 settembre 1906
Visita al serbatoio della potabile 27 settenbre 1906
Sangano - Serbatoio Acqua Potabile
23 aprile 1924
Sangano e la mancanza d’acqua
Il presidente del Circolo San Giorgio, in Sangano, dott. cap. Giuseppe Giusiana,
ci scrive:
“Il paese di Sangano e dintorni, che nel passato godeva abbondanza di acqua, forse troppa, perché alcune zone erano paludose, si trovano in questo momento, specialmente nei periodi estivi, in assoluta mancanza. Tale mancanza è dovuta alla Società Acque Potabili, che per utilità pubblica riguardante la Città di Torino, ha espropriato volenti o nolenti, i proprietari, una enorme zona di terreno assorbendone l’acqua, che incanalata venne diretta a Torino. I contadini e per essi i vecchi dirigenti del paese, non comprendendo le giuste ragioni, che una grande città non può sacrificare un elemento indispensabile per la collettività a vantaggio di pochi ostacolarono. In ogni modo l’attività della Società Acque Potabili, io non voglio entrare in merito a già superato questioni, anzi, da torto ai vecchi dirigenti del paese. Ma ritengo che l’errore di essi non debba ricadere eternamente su una popolazione onesta e laboriosa che oggi non domanda già l’acqua per l’irrigazione dei campi e dei prati ma semplicemente il quantitativo indispensabile del prezioso elemento per quelle stesse ragioni di igiene mediante le quali in Società Acque Potabili s’è basata per l’espropriazione del terreno. E’ vero che legalmente il paese non ha più nessun diritto, avendo il Comune venduto ogni diritto medesimo, ma moralmente la Società Acque Potabili, la città di Torino, il Consiglio Provinciale, hanno il dovere di riesaminare la questione.”
La Stampa 23 aprile 1924
28 agosto 1927
L'acqua che i torinesi bevono
Una visita ai serbatoi ed ai pozzi del Sangone
Un'inchiesta giornalistica di autentico interesse, sarebbe quella che avesse per obbiettivo la seguente proposizione: dimostrare quanto liquido, venduto sotto la denominazione di “vino”, è consumato annualmente in una grande città come la nostra. Ma una tale inchiesta rientrerebbe nel novero di quella produzione romanzesca che, proprio oggi, incontra un così largo e meritato favore tra i lettori e le lettrici della Stampa. Sarebbe, anch'essa, un'inchiesta... impossibile. Alle barriere e nelle stazioni ferroviarie, infatti, i dazieri procedono bensì ad un rigoroso controllo del vino che entra, ma quanto a quello bevuto, vattelapesca. Il tecnicismo della nostra civiltà non ha ancora provveduto e forse non provvederà mai a suggerire il mezzo di equilibrare, anche in fatto di vino, l'uscita con l'entrata: intendiamo l'uscita dal negozio con l'entrata in città. In altri termini non è ancora stato applicato il contatore che fissi il quantitativo di vino proveniente dalla vite, acquistato dall'oste, ed il quantitativo dato a bere al consumatore. Il giorno in cui un simile congegno entrerà in funzione, l'oste sarà definitivamente riabilitato al cospetto di tutti i bevitori d'osteria e casalinghi perche nessuno potrà più calunniarlo con l'attribuirgli propositi e usurpazioni battesimali; e secondo ogni probabilità aumenterà pure il numero degli intenditori in tema di vino, che oggi, nella grande massa del pubblico, per la confusione generata dalla mancanza di un continuato e scientifico controllo sulla genuinità dei vini, è piuttosto scarso. Si tratta di educare al tempo stesso con l'oste, anche il bevitore; e vi par poco?
Ai tempi di Cavour
Chiudiamo la digressione, e in mancanza del controllo sul vino, vediamo come la metropoli piemontese è fornita dell'elemento principale di dissetazione, che ha pure e soprattutto qualità di pulizia e d'igiene. Tutti sanno che le sorgenti sono due: l'Acquedotto del Municipio e la condotta del Sangone esercitata dalla Società dell'acqua potabile. Quando si pensa che la distribuzione razionale dell'acqua nelle case data appena da due terzi di secolo, anche se si considerano le più modeste proporzioni della città d'allora, vengono... i brividi. Recentemente la rottura d'un tubo e la conseguente mancanza d'acqua, durata meno di ventiquattr'ore, mise una parte della popolazione in un tale nervosismo da... minacciare il finimondo. Eppure, per dirne una, finché visse Carlo Alberto, i torinesi, che erano allora cittadini di una Capitale, non si servirono di altra acqua di quelle dei pozzi esistenti in tutti i cortili delle case. Le massaie e le donne di servizio scendevano ad attingerla con i secchi oppure la facevano salire con la pompe, il cui uso venne introdotto in città fra il 1825 e il 1830. Le generazioni odierne non immaginerebbero neppure di poter vivere senza la comodità del rubinetto dal quale si sprigiona il fresco zampillo per la tavola, per la cucina, per il bagno e tutti gli altri usi a cui il superiore tono di vita dell'epoca nostra ci ha abituati. Pensiamo, frattanto, quale avvenimento dev'essere stato, nell'aprile del 1859, l'anno della riscossa contro lo straniero, quando insieme con la fontana dell'attuale Giardino Di Sambuy, in piazza Carlo Felice, si inaugurò la prima conduttura di acqua potabile, quella appunto proveniente dal Sangone. La concessione alla Società intraprenditrice era stata fatta nel 1853 ed i lavori avevano avuto inizio l'anno successivo: quanto dire che allo svolgimento di tutta la “pratica” e alla cerimonia inaugurale aveva presieduto, con la sua vertiginosa e febbrile attività, che gli permetteva di occuparsi delle cose più disparate, ma che fu anche causa della sua fine prematura, quell’appassionato movimentatore di acque attraverso canali o acquedotti, che fu Camillo Cavour.
Nel sotterraneo, col Conte Di Robilant
Non bisogna tuttavia credere che la condotta d'allora sia ancora quella di oggi. Abbiamo avuto la ventura recentemente di renderci conto di persona, sul luogo, di ciò che sia un acquedotto, e la cosa è avvenuta in modo affatto impensato, come una improvvisa rivelazione. Eravamo capitati, al seguito del capo della Federazione provinciale fascista, colonnello Di Robilant, in una villa deliziosa, a Sangano, posta a ridosso di una collina tutta verde, su un vasto piano, che il fine gusto della padrona di casa aveva trasformato in un'aiuola fiorita, allorché la persona che ci guidava, il cav. Ing. Giacomo Caroglio, proprietario della villa e che fino allora ci aveva celata la meta a cui eravamo diretti, aperse una pesante porta di ferro, e per una scala interna cominciò a farci discendere. Col colonnello Di Robilant erano anche il cav. uff. Valentino, del Direttorio federale, e pochissimi altri invitati. Ed eccoci a una mezza dozzina di metri dalla superficie, in un vasto sotterraneo, dove una imponente massa d'acqua ferisce le nostre orecchie con un rumore sordo, ripercosso dalla volta umida in note quasi paurose. E' il serbatoio dell'acquedotto del Sangone. Costrutto in muratura su piano rettangolare di metri 64 per 23.40, con la volta sostenuta da robusti colonnati, esso ha una capacità effettiva di 8000 metri cubi d'acqua. Anche alla luce delle candele, che danno a questa visita qualche cosa di fantastico, i muri appaiono massicci come quelli di una prigione antica. E' impossibile sottrarsi ad un senso di gelo che non deriva solo dalla profondità del sotterraneo, ma e il prodotto dell'oscillare di tutto quel liquido che ci sta sotto gli occhi e che ha riflessi indefinibili. Ma se dal passaggio che gira intorno al serbatolo e sul quale stiamo noi. uno si chini a vedere meglio, scorgerà subito l'acqua, limpida, trasparente e freschissima, quella che a Torino conosciamo e amiamo.
Il serbatoio le gallerie
L'ing. Caroglio, che ha la responsabilità diretta
del serbatoio, ci spiega che questo fu scavato in parte su terreno morenico,
in parte su terreno alluvionale. Le infiltrazioni sono rese impossibili anche
dall'alto, giacché oltre ad essere protetta da uno spessore di un metro
di terra, la volta è ancora isolata da un'intercapedine di un altro
metro circa. Il sotterraneo è poi altresì munito di apparecchi
di misura, di saracinesche e di quanto occorre per il suo funzionamento. Il
capo della Federazione fascista vuol sapere, nell'interesse della cittadinanza,
se sia facile l'accesso alla grande “cantina delle acque” ma l’ing.
Caroglio lo rassicura dicendo che se egli si è potuto procurare l’onore
della sua visita, la porta rimane per ogni altra minore circostanza ermeticamente
chiusa e nessuno, fuori del personale addetto all'acquedotto senza il suo
consenso, vi può mettere piede. La cortese guida aggiunge che la costruzione,
com'è oggi, data del 1899, epoca in cui fu riparata ed approfondita
di due metri, mentre più recenti sono le opere di isolamento per la
volta alla superficie.
Com’è alimentato il serbatoio? La domanda ha importanza non soltanto
come dato di fatto in se stesso, ma per l’errata opinione che molti
si sono fatti circa l’acquedotto del Sangone.Il serbatoio è posto
sulla sinistra del torrente, ma le acque non vi affluiscono da questo: esse
invece sono raccolte da una zona di campagna e sotterranea che sta fra Sangano
e Trana, a mezzo di cinque gallerie denominate: Scarnasso, Baronis, Lilla,
Bonaudo e Acquaviva. Le gallerie scavate a profondità variabili una
dall’altra, mettono capo a pozzi che ne raggiungono la base e che ne
costituiscono i punti di partenza. Altri pozzi sono costrutti lungo il loro
percorso ed emergono dal suolo come altrettante stazioni di un santuario.
Il tunnel sotto il torrente
La galleria Scarnasso, la più profonda di tutte a
una lunghezza di 676 metri, e alta 1,70, e larga 1,05, ed ha forma ovoidale.
La sua costruzione, tutta in muratura di mattoni e cemento, salvo il fondo
che è in calcestruzzo pure di cemento,risale al 1899 -1901. La sua
caratteristica è che lo scavo sulla sinistra del torrente, non sta
sotto il piano di chi cammina, ma addirittura nel cuore del costone morenico
che separa la volta del Sangone da quella di Susa. Nella stessa zona, ma sotto
il piano, è situata la galleria Baronis, la quale
ha su per giù le stesse caratteristiche meno la profondità che
è di soli metri 5,50 e che dopo un percorso di metri 4,80 si immette
nello Scarnasso.
La galleria Lilla ha invece il suo piano inclinato sulla sponda destra del
Sangone e su tale lato misura 494 metri.
La sua profondità varia da metri 7 a 4,80. Giunta al torrente un pozzo
ivi scavato la mette in comunicazione con un tunnel che passa sotto il letto
del Sangone, raggiunge l'altra riva e proseguendo ancora per 140 metri, conduce
l'acqua ad una botola detta d'incrocio e di qui al serbatoio. Galleria e tunnel
sono opera primitiva della Società; il tunnel venne però rifatto
nel 1899. Delle altre due, la galleria Bonaudo,sulla sinistra del Sangone,
dopo essersi estesa per circa 200 metri sotto uno dei piedritti: che partono
dal serbatoio, si trasforma in conduttura impermeabile e versa le acque raccolte
nell'acquedotto principale in un punto detto Botola Cucco;
la galleria Acquaviva essa pure a sinistra del torrente,
si incammina, al pari della Bonaudo, a valle del serbatoio.
La difesa delle acque
Come si vede, non si tratta di acqua derivata da un torrente
passata attraverso filtri, convogliata verso la città, nessun filtro
qui, e neppure alcun macchinario: ma semplicemente l'acqua raccolta nel sottosuolo,
a profondità eccezionali, da sorgenti vive. In altri termini l'acqua
ideale, come si può bere solo nelle gite campestri, in fondo ad una
rupe, all’ombra di piante spesso secolari. Tutte le opere di raccolta
sono difese da zone di protezione, chiuse da muri di cinta o da siepi. Tabelle
con divieto d'ingresso ben visibili avvertono che la zona non è valicabile
e tutte le strade che immettono ad essa sono sbarrate da cancelli di ferro.
Ma oltre le zone protettive, esistono quelle di isolamento e qui non avvengono
concimazioni, arature, seminagioni né irrigazioni.
Le piante stesse sono a notevole distanza dalle gallerie, in modo da impedire
in esse qualsiasi penetratone delle radici. Ancora. Con movimenti di terra
e canali impermeabili, le acque piovane cadenti sulla zona sono eliminate:
ed è da rilevare che le zone hanno una superficie di oltre 800 mila
metri quadrati. Infine grandi arginature sulle sponde del Sangone vennero
eseguite nel tratto dei quattro chilometri, dove si trovano le opere murarie,
opere completate da case di custodia e magazzini per il deposito degli attrezzi.
Si ha cosi ogni garanzia che l'acqua bevuta a Torino è perfettamente
sana, come richiedono l'igiene e la salute di una città che agglomera
centinaia di migliaia di abitanti. Dal serbatoio di Sangano. parte l'acquedotto
in muratura, esso pure impermeabile, largo metri uno e alto 1,70. che reca
l'acqua delle tre gallerie principali e che per strada, come già abbiamo
visto, rispettivamente a 900 e a 1920 metri, raccoglie anche quelle delle
altre due, quindi con un percorso di dieci chilometri raggiunge il serbatoio,
che potremmo chiamare di smistamento, del “Baraccone” dove presto
sorgerà un altro serbatoio capace di contenere 35 mila metri cubi,
tre condotte delle quali una in ferro stagnato e incatramato, del diametro
di metri 0,45, e due in ghisa, rispettivamente di 0,45 e 0,600, portano l’acqua
a Torino. A queste condotte, appena sarà ultimato il grandioso acquedotto
di Scalenghe se ne aggiungerà una quarta di 0,900 di diametro.
A 22 metri sotto il suolo
Mentre il gerarca fascista, dopo la visita al Serbatoio di
Sangano, lasciava la località, noi abbiamo approfittato della cortesia
dell'ing Caroglio per un’altra visita non meno interessante e non priva
di qualche emozione. Partito dalla villa, dove la Signora Caroglio aveva fatto
squisitamente gli onori di casa, ci avviammo al pozzo n. 10 testa avanzata
della galleria Scarnasso. Sull’automobile, che passò in mezzo
a boschi di acacie, tra pioppi foltissimi di verde, avevano preso posto due
altri signori ed il curato del paese(1). — Qualunque cosa accada —
dice uno di noi, rivolto al buon sacerdote, da questo lato siamo a posto...
Il curato sorride benevolmente. La porta del pozzo si spalanca, è,
anche qui alla luce fioca delle candele, iniziamo la discesa. Il pozzo ampio
ha una scala in pietra, che gira tutto intorno al muro a chiocciola.
C'è bensì per sostenersi ad appoggiarvisi, una ringhiera che
accompagna i gradini sino in fondo, ma i suoi sostegni sono così distanti
uno dall’altro, che se scivola un piede... è finita: un bel salto
di 22 metri; Ma la nostra discesa avviene senza incidenti: l’ingegnere
avanti, gli altri dopo. Il fondo ci rivela una sorpresa: l'acqua che
zampilla da 5 tubi calandra, infissi, da quella... bassura ad altre
profondità varianti da 5 a 28 metri; intorno, altri fiotti uscenti
dai piedritti, o fori praticati sotto il marciapiede alla base del pozzo;
davanti a questo si apre la galleria, alimentata lungo il suo corso
da altri fori consimili.
Beviamo, laggiù un bicchiere della limpidissima e fresca acqua, che
in terra benefica sprigiona dalle sue viscere: ispezioniamo l’imbocco
della galleria, ascoltando le spiegazioni che ci fornisce l’ingegnere,
poi risaliamo, soddisfatti, per dire ai nostri concittadini, i quali ancora
non lo sapessero, donde viene, dove passa, com’è tutelata una
parte dell’acqua che essi bevono: forse la migliore di quanta ne posseggono
le città italiane.
Dall’archivio storico La Stampa – 28 agosto 1927
(1) Il curato Don Gioana Giovanni Battista
Nel lontano 1852 con la nascita dell'acquedotto
La prima fontana in città dedicata a Santa Barbara La storia dell'acqua, a Torino, s'inizia nel 1852 con la nascita del primo acquedotto. Prima le necessità idriche della ditta venivano soddisfatte con possi e cisterne, dove si raccoglieva l'acqua piovana o quella che arrivava dalle fonti in collina. Fu in quell'anno che il Comune fece costruire, sull'area attualmente occupata dalla caserma dei vigili del fuoco, un pozzo profondo dodici metri e del diametro di tre. L'acqua veniva sollevata con quattro pompe a stantuffo e incanalata in tubi di vetro (proprio vetro) fino a Palazzo di Città. Sul pozzo, poi, era stata costruita la fontana di Santa Barbara di cui si vedono ancora le tracce ai lati dell'ingresso della caserma, detta appunto «delle due fontane». La Società Acque Potabili ottenne, un anno dopo la sua fondazione, l'autorizzazione del Comune per collocare «sotto il suolo delle piazze, vie e siti pubblici, i tubi conduttori delle acque medesime». Nel 1859 in piazza Carlo Felice zampillò la prima fontana collegata all'acquedotto. Negli anni successivi nacquero gli altri impianti, a sussidiare quello di Sangano, sorto per primo. A Millefonti, alla Favorita di San Maurizio Canavese, a Scalenghe ed a Beinasco furono trivellati altri pozzi. Ma i servizio della Sap, privata, non riusciva a soddisfare il fabbisogno cittadino. Nel 1906 la fontana Sommeiller, di piazza Statuto, fu la prima a ricevere l'acqua da Venaria Reale, impianto municipale. In seguito si pose mano all'impresa più ambiziosa: condotta del Pian della Mussa. Il 24 giugno 1922 sempre in piazza Statuto ecco arrivare anche l'acqua dei monti. Altri pozzi minori furono realizzati in seguito, sempre in regima concorrenziale con la società privata fino a quando, negli anni Sessanta, cioè poco meno di vent'anni fa, la Società Acque Potabili fu assorbita da quella che divenne azienda speciale, l'Azienda Acquedotto Municipale, la cui sede, in corso XI febbraio, sorge a pochi metri dal luogo dove, due secoli prima, lungo la Dora, i primi cittadini diedero vita al primo embrione di servizio idrico cittadino.
StampaSera 24/01/1981
Pag 1 - 2
Maria Teresa Pasquero Andruetto