Ricerca di
Ezio Marchisio
Le bealere di Piossasco dal Medioevo ad oggi
L’acqua bene prezioso da difendere e tutelare. La Superiore, l’Inferiore
e la Rittana
Tutto ciò che avreste voluto sapere su questi corsi d’acqua ma non vi hanno mai raccontato. O quasi. Il lavoro contadino e l’economia agricola del passato e quella dei tempi nostri. Uno spicchio della storia di Piossasco visto con gli occhi del piccolo proprietario con i prati “sotto acqua” e con quelli della nobiltà decaduta della zona. Mulini (solo a Piossasco erano tre), “piste”, folloni, fucine per il ferro, da Trana alla zona di Via Riva Po. La nascita dei Consorzi e le liti per avere più acqua (o per toglierla ad altri). Rivalità ed alleanze, diffidenza tra i Comuni di Trana, Sangano, Rivalta, Bruino e Piossasco. Le bealere hanno ancora una loro utilità nell’epoca delle tecnologie avanzate? Un’occasione per parlare un po’ del “come eravamo”
di Ezio Marchisio
Come titolare questa ricerca? Storia delle bealere, storia
del sistema idrico e agricolo di Piossasco? Diciamo che questo lavoro riassume
in parte ciò che altri autori locali hanno già scritto nel tempo
(dal vicario di San Vito don Fornelli a Gian Franco Martinatto a Mario Catellino,
a Luciano Suppo. Le vicende sono state organizzate in ordine cronologico,
che è sempre il più rispettoso degli eventi togliendo “l’
troppo e il vano”. A ciò che già qualcuno conosceva ho
aggiunto una documentazione inedita tratta dall’archivio di Cesare Paschetta,
presidente della bealera Rittana (come lo era stato suo padre Giuseppe), e
dalla documentazione conservata dai tre Consorzi. Mi sono soffermato sui momenti
cruciali e sulle vicende che ho ritenuto più interessanti per la comunità
di Piossasco e per il suo territorio. Non ho allargato l’indagine ai
corsi d’acqua “gemelli” dei nostri per non disperdere in
cento rivoli l’acqua che giunge da Trana.
A chi può interessare questa storia? A chi vuole conoscere qualcosa
in più su Piossasco, a chi non s’è mai accorto dell’esistenza
delle tre bealere e delle loro numerose diramazioni che giungono fino alle
cascine più lontane: dalla Farnesa al Duis. La Superiore è soprattutto
un’opera di arguta ingegneria idraulica tardo medioevale che sfrutta
nel corso dei 10 chilometri del suo percorso il dislivello altimetrico medio
da Trana (372 slm) ai Castelli di Piossasco (304 slm) e oltre. Mi sono meravigliato
della conoscenza che ha del territorio il presidente della Rittana Cesare
Paschetta: a bordo della sua Panda, molto fuori strada, mi ha fatto scoprire
il corso della bealera più ”breve” fino alla Loia del Gallo,
passando per prati e campi, fossi e piste sterrate, a Piossasco, Bruino, Sangano
e Moranda di Trana.
Piossasco, ottobre 2019
Le bealere sono tre, più le diramazioni
Tre sono le bealere di Piossasco. Erano importanti nel paesaggio
e nell’economia agricola di un paese che contava meno di 4.000 abitanti:
la Superiore il cui corso inizia nel territorio di Trana, passa nella frazione
Gai e giunge fino a San Bernardino lungo la Viassa, passando sul fianco del
San Giorgio, a monte di via Mario Davide, a San Vito, appena a valle della
Villa Boneschi, quindi sotto i Castelli lungo la panoramica fino alla Martignona
dove va perdendosi. L’Inferiore scorre in pianura e passa nell’abitato,
è comunemente detta Sangonetto. Confluisce nel Chisola nella zona delle
frazioni Barboschi e Lupi. Infine la Rittana che nasce come derivazione dell’Inferiore
nel Comune di Bruino, e dopo un’estesa ansa attraversa via Rivalta,
Monterosa, Alfano, Torino e arriva alle frazioni Garola, Strania e Tetti Scaglia,
diramandosi ancora nella bealera del Duis (la cascina con l’igloo lungo
la Circonvallazione).
Questi tre corsi d’acqua, un tempo di vitale importanza per le colture
irrigue, hanno un’unica origine dal torrente Sangone nel territorio
di Trana dove, alla fine del ‘700, la Comunità di Piossasco acquistò
un lotto di terreno adiacente al Sangone dove sorgeva un modesto edificio
adibito a fucina per la lavorazione del ferro con un maglio azionato da una
ruota mossa dallo scorrere dell’acqua. Un’enclave piossaschese
per ribadire il diritto all’acqua per i mulini, le piste, l’irrigazione
e il bestiame.
Il Sangone nasce nei pressi del Colle della Roussa a circa 2.000 metri di
altezza e confluisce dopo 47 chilometri nel Po all’altezza del Palavela
appena a valle di Corso Unità d’Italia a Torino. Nel punto d’incontro
s’è formata un’isoletta di sabbia dove Cesare Pavese era
solito recarsi in barca con amici e fare il bagno. Il sito è citato
da Pavese in uno dei suoi racconti.
Un documento del 1748 racconta il paesaggio agricolo
Da un rilievo “Misura generale del territorio della
Consulta”) del 1784 composto di 265 pagine scritte a mano su pergamena
bollata da “soldi due” si ricava qual’ era il paesaggio
agricolo di Piossasco, composto da 7493 lotti. Oltre ai gerbidi e le “rocche”
(non coltivati), vi erano prati, orti, vigne, alteni (“autin”),
giardini, vergeri, castagneti, campi, boschi. Poi case e aie. Sindaco in quegli
anni era il Cav. Francesco Cruto. Il volume manoscritto è custodito
nell’archivio storico del Comune di Piossasco.
Le bealere di Piossasco hanno una loro storia secolare: storia di liti, dispute,
rivendicazioni, denunce e ricorsi legali. Mantenere e accrescere i diritti
all’acqua del Sangone per il territorio di Piossasco significava aumentare
il valore dei terreni, favoriva il miglioramento della loro coltura, accresceva
i frutti e “la ricchezza prima, base di ogni sviluppo economico e finanziario
di un popolo”: così sostenevano “Alcuni proprietari della
Valle del Sangone” nell’opuscolo del 1882.
Il Sangonetto nasce nel 1349 o nel 1492?
Il periodo d’origine delle bealere è ancora in discussione tra i ricercatori di storia locale. Trattasi di canali artificiali scavati nel tempo sotto il controllo prima dei Savoia, poi dei piccoli feudatari locali, dei grandi proprietari terrieri e infine dei contadini che verso la fine dell’800 si riunirono in consorzio.
Documento del 1348, conservato nell’Archivio storico del Comune di Piossasco in base al quale “era fatto lecito al Signor di Piossasco di derivare dal Sangone una bealera d’acqua.
Ad esempio. Sull’origine del Sangonetto o bealera Inferiore,
il corso d’acqua più importante e quasi perenne, le tesi sono
divergenti: da una parte si sostiene che il diritto all’acqua del Sangone
per i piossaschesi risalirebbe al 1349, dall’altra invece al 1492, data
più suggestiva e facile da ricordare perché è l’anno
della scoperta dell’America .
In un opuscolo edito nel 1882 a Torino dalla tipografia Roux e Favale dal
titolo “Di un consorzio fra comuni e privati utenti le acque della Valle
Sangone. Considerazioni e proposte” si legge che già con una
antica sentenza arbitrale tra i Signori di Piossasco e di Rivalta si era provveduto
all’assegnazione dei diritti all’acqua spettanti a Piossasco.
Nell’atto notarile del 7 gennaio 1349, ricevuto dal notaio Quirlo Barberis
di Avigliana si legge che “era fatto lecito al Signor di Piossasco di
derivare dal Sangone una bealera d’acqua da condursi per l’uso
dei molini e battitori di Piossasco” e che “tale bealera poteva
avere la larghezza di 10 piedi, ed in tempo di scarsità, poteva derivare
la terza parte dell’acqua dal Sangone” anche nelle epoche di massima
magra del torrente. Si tratta indubbiamente della Inferiore, ovvero del Sangonetto:
infatti sulle sue sponde sono sorti nel tempo tre mulini (Alberga in via Piave,
Ruffinatto in via Segheria e quello del Comune in via Riva Po) oltre alle
“piste” per macinare le noci e ricavarne l’olio, lavorare
la canapa, il tribio (“trbi” in dialetto) per fabbricare scope
e spazzole. Erano infatti numerose le ditte a Piossasco che lavoravano in
questo settore fino agli Anni ’50 dell’altro secolo, quasi tutte
appartenenti ai vari rami delle famiglie Fenoglio. Si ricordano ancora due
toponimi relativi alle “piste” (in fondo a via Segheria) e la
fucina (a ridosso dell’attuale cinema teatro, in via Riva Po-via del
Pellerino.
Il vicario di San Vito Giuseppe Fornelli, autore della “Storia civile
e religiosa di Piossasco” (Alzani, Pinerolo, 1965) individua nel 1492
l’origine del Sangonetto. Scrive che Piossasco “entrò in
trattative per avere da Trana una maggior quantità di acqua, obbligandosi
ad un canone annuo da pagarsi agli Orsini Conti di Orbassano e Consignori
o Feudatari di Trana. Il contratto porta la data del 10 giugno 1492”.
A ottobre di quell’anno Cristoforo Colombo scopriva l’America.
Una differenza di ben 143 anni. Quale può essere la vera datazione?
Si possono azzardare due ipotesi. Nel 1349 è dichiarata lecita la captazione
dell’acqua per dare origine al Sangonetto ma solo nel 1492 entra in
vigore il contratto. Oppure, congettura un po’ più attendibile,
le due date potrebbero non essere in contraddizione, nel senso che nel 1492
è accordata a Piossasco “una maggior quantità di acqua”
(come scrive il Fornelli), superiore a quella stabilita nel 1349. Se dunque
dal 1492 la quantità è maggiore, parrebbe lecito dedurre che
precedentemente la quantità d’acqua sia stata minore, ma già
corrente da Trana fino a Piossasco da 143 anni.
L’origine della bealera Superiore e Inferiore è nel territorio di Trana, frazione Moranda. Nella foto il ripartitore. Sulla destra ha inizio la Superiore, a sinistra l’Inferiore. Nell’altra foto la diramazione in tempo di secca.
Le numerose liti tra Piossasco e
Trana
Interviene nel 1788 Vittorio Amedeo III
Dal XV secolo al 1962 (quando avvenne l’ultimo episodio
di vandalismo conosciuto) furono numerose le liti fra “li terrieri”
di Piossasco e di Trana per l’uso (o l’abuso) dell’acqua
del Sangone. Poi arrivò nel 1852 la Società Acque Potabili che
“emungeva” l’acqua del Sangone per incanalarla verso Torino,
impoverendo la portata del torrente e delle bealere che da esso derivavano:
non solo quelle di Piossasco ma anche quelle di Rivalta e di Orbassano. Sovente
infatti i contadini di Trana in tempo di siccità rompevano o spostavano
a loro favore le dighe ancora in pietra. Ciò avveniva soprattutto dopo
che Piossasco il 29 aprile 1642 aveva acquistato un’altra parte dell’acqua
del torrente. Si giunse ai ferri corti nel 1788 (un anno prima della Rivoluzione
francese) quando la Comunità di Piossasco, in seguito “alle molte
opposizioni sollevate dal Comune di Trana per la costruzione della bocca di
presa e per la portata della deviazione di Piossasco” ricorse al Re
di Sardegna Vittorio Amedeo III, il quale il 23 maggio 1788 emanò “sovrana
concessione” con regie patenti.
Cinque giorni dopo Piossasco acquistava, per confermare concretamente il diritto
all’acqua, “con istromento Alliaudi” la fucina e i relativi
diritti all’acqua “di spettanza già del Conte Gromis”,
signore di Trana e proprietario del Castello del Drosso di Torino sud. Questa
fucina, tuttora esistente ma ormai cadente, era azionata dall’acqua
di un canale parallelo alla sponda del Sangone. Le rovine della fucina sono
ancora visibili anche se ormai è coperta da una folta vegetazione invasiva,
scendendo verso il Sangone all’altezza della curva di Trana, a destra,
poco prima del ponte.
La Fucina di Trana nel 1977
La fucina di Trana e il territorio circostante costituisce
tutt’oggi una piccola enclave piossaschese nel territorio di quel comune
ed è ancora di proprietà del Comune di Piossasco. Una traccia
della cultura del lavoro e della piccola economia di un tempo che si sta cancellando
di anno in anno.
Tranne qualche annuncio di tempo fa: ne faremo un museo delle contadinerie
con i fondi europei, coinvolgeremo i Comuni e la Comunità montana di
Giaveno e qualche articolo sui giornali, non si è andati oltre.
Secondo il Fornelli (Storia civile e religiosa di Piossasco), che afferma
di attingere dall’Archivio comunale, “la stipolazione della vendita
fatta dal signor Conte di Trana Gromis Carlo, alli Francesco Ollivero, Gioanni
Ferrero e Felice Nariga (…) da questi acquistata per conto della Comunità”
di Piossasco, avvenne nel dicembre del 1799.
La quantità media di acqua che Piossasco può derivare per l’attività
della fucina è di moduli 6,66, ovvero 666 litri al secondo necessari
per far girare due ruote (diametro 1,80 e 1,15) in legno e ferro che azionano
i magli.
La famiglia Rosso (con Angelo, Adolfo e Stefano fabbri fucinatori) ha gestito la fucina di Trana, proprietà del Comune di Piossasco, dal 1844 al 1978, anno della cessata attività. Nella fucina si lavoravano aratri, roncole, badili, picconi e falci.
Nelle due foto l’ultimo “fusinè” di Trana.
L’altra fucina esistente a Piossasco è in Via
del Pellerino.
Traeva la forza motrice da una breve derivazione del Sangonetto, l’acqua
era poi “restituita” poco più a valle. L’edificio,
come si vede dalla recente foto, è ormai fatiscente. Ora l’ex
fucina con la caratteristica torretta a terrazza si trova immersa e assediata
dai nuovi edifici residenziali costruiti lungo il suo sito.
La fucina fu edificata tra il 1812 e il 1840 dai conti Piossasco di Beinasco.
L’ex fucina di via del Pellerino
Nella pagina seguente un particolare in pietra della derivazione del Sangonetto
che scorre a filo dell’edificio. Ora l’alveo è sommerso
dal fogliame.
(Foto gennaio 2019)
La Società Acque Potabili di Torino
(ora Smat) “emunge” il Sangone
Agricoltori proprietari di terreni “sotto acqua”
nel tempo hanno difeso i loro diritti in ordine sparso o sotto tutela dell’ultima
nobiltà terriera (i Gromis di Trana, gli Orsini di Rivalta, i Seyssel
di Piossasco) che avevano gli stessi interessi della piccola proprietà
contadina cui spesso affittavano gli appezzamenti e sovente erano sindaci
o presenti in Comune come consiglieri o figure influenti nelle scelte della
comunità. Nasce quindi verso la fine dell’800 l’opportunità
e la convenienza di costituirsi in consorzio che non si basa più sul
prestigio della nobiltà spesso malfida e in decadenza (noblesse oblige)
che viveva a Torino, Roma o a Londra con i fattori o i campieri sul posto
che riscuotevano gli affitti e le decime, bensì su una figura giuridica
riconosciuta dalla legge, sia per diritti e sia per doveri.
L’idea del Consorzio si fa strada dopo che la “Società
anonima dell’acqua potabile di Torino senza avere la proprietà
di una sola sorgente, ha finito per assorbirle tutte, e per assorbire ancora
quant’acqua scorre nell’alveo del Sangone, nelle sue bealere e
nei fontanili della Valle (…) arrecando offese al diritto degli antichi
utenti”.
Il frontespizio della pubblicazione del 1882 “Di un consorzio tra Comuni e Privati utenti le acque della Valle del Sangone. Considerazioni e proposte”: in queste pagine si denunciò la rapina delle acque del Sangone a Trana da parte della Società Acque Potabili (ora Smat) per portarle a Torino tramite un acquedotto che faceva zampillare l’acqua in piazza Carlo Felice, davanti a Porta Nuova.
Il 20 luglio 1852, ancora ai tempi del Regno di Sardegna
regnante Carlo Alberto, si era costituita a Torino (Notaio Albasio) una Società
Anonima con lo scopo di portare a Torino le acque derivanti dall’allacciamento
delle sorgenti (ritenute sue ma senza averne alcun diritto) nella Val Sangone.
Il nome ufficiale depositato era “Società anonima per la condotta
d’acqua potabile in Torino”, quella che oggi è la Smat.
La Società non possedeva però alcuna sorgente e voleva realizzare
il progetto dell’ing. Ignazio Michela datato 4 giugno 1849, ai tempi
della Prima Guerra d’Indipendenza.
La Società per realizzare l’opera aveva promesso di assumere
alcuni impegni “ed aveva predisposto i mezzi onde prevenire o rimediare
i danni degli interessati. Ma la Società dopo essersi saputa introdurre
così destramente nella valle del Sangone, non seppe poi o non volle
accettare quegli impegni ai quali Ella aveva subordinato l’opera sua,
e compite le prime opere, respinta ogni conciliazione, sconfessato l’operato
del suo Direttore, disconosciute le promesse del suo ingegnere, toglieva l’acqua
a tutti, dava nulla a nessuno, e poneva di primo acchito all’asciutto
i territori di Sangano, Bruino e Rivalta”, scrivono i Proprietari, sottolineando
la spregiudicata operazione di colonialismo della Società contro gli
interessi consolidati da secoli dei valligiani e del contado.
Il progetto dell’ing. Ignazio Michela prevedeva di “formare un
cavo in direzione parallela all’asse del torrente da sinistra a destra,
emungendo con esso tutte le vene acquee che sotto la morena latistante scorrevano
ad alimentare i fontanili di sinistra ed il torrente Sangone”.
Era anche previsto un altro cavo attraverso la Valle in senso perpendicolare
“per raccogliere le acque di alcune fontane poste alla destra del Sangone
(…) per costituire un’opera di assorbimento o richiamo a quant’acqua
scorresse attraverso la valle”.
Gli oppositori più decisi al progetto erano i Comuni di Sangano, Bruino,
Rivalta e Piossasco che vedeva diminuire la quantità d’acqua
alla presa del ponte di Trana e di conseguenza l’acqua delle sue tre
bealere.
Il primo a cedere fu il sindaco di Sangano, il conte Lajolo di Cossano (che
viveva saltuariamente a Villa Concezione nel centro del paese), che l’11
dicembre 1862 rilasciava l’autorizzazione alla Società in cambio
di un piatto di fagioli: la società doveva garantire per cinque anni
l’acqua ai pozzi di Sangano e a pagare un indennizzo per i danni arrecati
ai privati dalle opere. “Così Sangano si adattava ad avere i
suoi campi ed i suoi pozzi gratuitamente asciutti alla scadenza dei cinque
anni”, scrivono con ironia i proprietari.
Una storia che ricorda “Fontamara” di Ignazio Silone, quando il
maggior proprietario terriero, che era anche podestà fascista di Pescina,
deviò il ruscello verso i suoi campi, lasciando ai “cafoni”
un rigagnolo d’acqua.
Con Bruino, sindaco Ramassotti, la Società adottò un’altra
strategia: escogitò il pagamento di antiche decime medioevali facendo
recapitare ai piccoli proprietari numerose citazioni di pagamento.
“I piccoli proprietari fatti sgomenti e dell’intentato generale
procedimento, e dal rumore che la Società, a mezzo dei suoi fidi artatamente
ne menava per il paese, indussero l’Amministrazione comunale a scendere
a patti colla Società la quale con tanta buona grazia rinunciando a
queste sue pretese decime si faceva pagare dal Municipio lire quattro mila
(…) e di più ne otteneva la sua formale rinuncia alle opposizioni
mosse ai lavori intrapresi sul suo territorio”.
Con il Comune di Rivalta iniziò un contenzioso durato 28 anni: caratterizzato
“da difficoltà di procedure, di competenza, da un gineprario
di eccezioni dilatorie” sollevate dalla Società.
Migliaia di ettari diventarono gerbidi e fu tolta l’acqua alla bealera
della Cascina Panealba.
Per assicurarsi l’acqua della derivazione di Piossasco, la Società,
da vero squalo, acquistò nel dicembre del 1877 da Chiriotti, dal Conte
Lajolo e dal Conte Piossasco di None tre dei quattro opifici esistenti sulla
bealera “così una volta padrona dell’acqua l’avrebbe
poi a suo talento e per i suoi usi saputa deviare” verso i canali che
raggiungevano Torino. Il quarto opificio fu invece comprato per conto del
Comune “da alcuni rispettabili proprietari di Piossasco, troppo amanti
del loro paese per permettere che siffatta copia d’acqua, precipua ricchezza
di quel territorio fosse con un colpo di mano esportata”, per dare da
bere a Torino “fornendo il servizio di farle bere a pagamento li scoli
delle ben concimate terre di Trana, o quell’acqua in cui il popolino
del Comune lava i suoi cenci e fa bucato”, scrivono con ironia i Proprietari.
Sul fatto che le acque del Sangone e delle sue derivazioni fossero pubbliche
e non un rivo privato dal quale “emungere” la quantità
d’acqua che si voleva, e non soggette alla rapina del più forte,
i Proprietari citano alcuni provvedimenti dei secoli passati.
Un atto del 23 marzo 1470 (rogito De Nona) considerava il Sangone un torrente
pubblico “sul quale si applicava il principio della demanialità
delle acque”.
Il 16 dicembre 1678 “venne pubblicato in Piemonte regolare Editto dichiarativo
della demanialità dei fiumi e torrenti, la dottrina e giurisprudenza
più costante hanno dato sempre a tale Editto una disposizione retroattiva
eziandio sulle ragioni private”.
Per Piossasco fa fede l’atto del 7 gennaio 1349 “che le dà
diritto al terzo dell’acqua scorrente nel Sangone all’epoca delle
sue massime magre”.
Dal 1724 vi sono una decina di Decisioni camerali e di sentenze del Senato
del Piemonte che ribadiscono la demanialità dei torrenti e dei fiumi.
Addirittura l’11 dicembre 1288 (ai tempi di Dante Alighieri) vi era
stata la presentazione di un laudo “col quale erasi assegnata all’Abate
di Rivalta una derivazione del Sangone”: sempre a dimostrazione che
l’acqua era pubblica e concessa per pubblica utilità. Idem negli
Atti del 5 dicembre 1333, 5 novembre 1348 e 20 settembre 1349 dove si sottolinea
che “i terrieri dell’Abate fossero investiti di un diritto sulle
acque del Sangone”. Ancora il 29 maggio 1817, due anni dopo la sconfitta
definitiva di Napoleone, si “proclamano regie e demaniali le acqua dei
fiumi e o torrenti e diedero rigorose disposizioni a tale riguardo”.
Da non dimenticare le Regie Patenti emanate il 23 maggio 1788 in cui si soddisfano
le esigenze di Rivalta e Piossasco.
Editti o non editti, la Società portò avanti i suoi piani prendendo
(ancora oggi) gran parte dell’acqua del Sangone da Trana a Torino “impipandosene”
(come direbbe il Manzoni) dell’ambiente, delle proteste e delle ragioni
degli abitanti di Trana, Sangano, Bruino, Rivalta e Piossasco.
“La prepotenza della Società
Acque potabili di Torino”
Commenta l’anonimo estensore della pubblicazione del
1882:”E’ veramente miserando spettacolo il confrontare il benessere
di cui godeva questo territorio, così importante per tradizioni storiche
e per popolazione, col languore e sterilità attuale delle sue terre
e colla ognora crescente miseria dei suoi coloni”. E ancora: ”
Il proprietario di una sorgente, a cui vuolsi paragonare una vena d’acqua
sotterranea, non può deviarla a danno di una popolazione che di essa
se ne serviva. Ed è ancora miserando spettacolo il vedere che mentre
da un lato la Società accresce annualmente i suoi lauti guadagni con
i benefizi di un’acqua emunta a danno” di questi Comuni. “Se
vi sono interessi sacri da tutelare, necessità imprescindibili a cui
soddisfare, quelle sono della popolazione del Sangone di fronte alla prepotenza
e agli eccessi della Società Acque Potabili”.
L’attuale Smat di Torino aveva fatto man bassa d’acqua godendo
dei poteri forti del capoluogo e spesso dell’ingenuità e delle
paure dei piccoli contadini proprietari di terreni sempre meno irrigui. E
anche della loro disorganizzazione. Quando tutti i particolari si riunirono
in Consorzi, superando un certo campanilismo e la diffidenza reciproca tra
i Comuni, la Società aveva già finito i lavori e da tempo convogliava
un terzo dell’acqua del Sangone a Torino, pur disponendo sul suo territorio
di tre fiumi a portata continua: il Po, la Dora e la Stura.
Come è presentato oggi l’acquedotto di Sangano
Una versione edulcorata e bucolica si trova su La Stampa
del 13 ottobre 2018 e sul suo sito internet. Non si cita ovviamente “la
prepotenza” della Società e contrabbanda l’opera faraonica
come “voluta dai Savoia” e non dalla Società che si era
costituita ad hoc in quegli anni per “emungere” l’acqua
del Sangone (e quella delle bealere collegate) per portarla a Torino in piazza
Carlo Felice, davanti a Porta Nuova.
Versioni più attendibili e meno elogiative si trovano in:
Carlo Bima, L’acqua a Torino, Jemma, Moncalieri 1970
Ricardi di Netro Tomaso, La costruzione dell’acquedotto di Torino (1831-1859)
ed il suo ideatore Ignazio Michela, in «Bollettino storico-bibliografico
subalpino», A. XCVI, n. 1, 1998, Torino, pp. 158-220.
Così il sito de “La Stampa” del 13 ottobre
2018 presenta in termini suggestivi l’acquedotto. Forse non molti sanno
che una parte non trascurabile della città di Torino beve, cucina,
lava e si lava grazie a un acquedotto situato proprio a Sangano.
Era il 1832 e una Torino sempre più popolosa (circa 150mila abitanti)
esigeva ogni mese che passava una razione di acqua superiore ai periodi precedenti.
La rete idrica storica non bastava più a soddisfare le richieste e,
per evitare concreti rischi di epidemie, la regina Maria Cristina, vedova
di re Carlo Felice di Savoia, deceduto l’anno prima, incaricò
l’ingegner Ignazio Michela di studiare una soluzione. Soluzione che
il Michela trovò proprio nelle falde acquifere della bassa Val Sangone
che vennero incanalate e portate fino a Torino.
Naturalmente, pur non esistendo ancora l’Italia, i lavori per la costruzione
dell’acquedotto furono fatti in tempi molto italici: ci volle infatti
oltre un quarto di secolo perché l’acqua valsangonese potesse
zampillare finalmente in Piazza Carlo Felice a Torino (con uno spruzzo alto
circa 25 metri, poi drasticamente e per ovvi motivi ridotto, come ci riferisce
l’edizione de La Gazzetta del Popolo datata 7 marzo 1859) e dissetare
una buona fetta di torinesi. Tempi italici ma efficienza piemontese, se è
vero che dal 1859 a oggi l’acquedotto albertino di Sangano (chiamato
così in onore di re Carlo Alberto) non ha mai subito alcun intervento
di restauro o consolidamento e pare non averne la necessità per almeno
un altro paio di secoli. Impresa riuscita soltanto agli acquedotti dell’antica
Roma che, in parte, funzionano ancora oggi dopo due millenni dalla loro costruzione.
Un unico cruccio: a inaugurare l’opera sarebbe dovuto intervenire anche
Camillo Benso, conte di Cavour (che di opere idriche se ne intendeva: si pensi
al canale Cavour), ma visto il periodo (1859), la questione dell’Unità
d’Italia ebbe la priorità assoluta su tutto il resto.
Oggi l’acquedotto sanganese, gestito dalla Smat, è stato integrato
da altre reti, ma continua a fornire acqua al capoluogo subalpino con una
media di 400 litri al secondo, ma con punte che superano i 650 litri e non
scendono mai al di sotto dei 100, anche in periodi di grave siccità.
L’acqua fornita, inoltre, è di una purezza estrema, come già
constatavano i chimici a metà del XIX secolo: “L’acqua
del Sangone è acqua potabile dolce, non selenitosa, con appena 19 milligrammi
di carbonato di calce, limpida e purissima e cuoce i legumi in un’ora
e mezza, mentre con quella della fontana di Santa Barbara, dei pozzi di Torino
e della Cossola ci vogliono due ore”. Sarebbe interessante leggere pure
oggi, sulle etichette delle acque minerali che beviamo, oltre agli esiti delle
analisi chimico- fisiche, anche quanto tempo impiegano a fare cuocere i fagioli…”.
Particolari dell’acquedotto Smat di Sangano (La Stampa, 13 ottobre 2018)
Un regolamento per le acque comunali irrigatorie del 1897
Forse sull’onda emotiva della presenza della Società
Acque Potabili di Torino, gli utenti delle tre bealere fanno approvare dal
Consiglio comunale il 19 luglio 1897, sindaco il Maggiore Cav. Francesco Cruto,
e vistare dal Prefetto di Torino Municchi, un regolamento che vincola i tre
Consorzi ma nello stesso tempo li tutela da possibili scorrerie di altre società
in cerca di acque potabili, da abusivismi vari e da discordie più o
meno latenti tra gli stessi utenti.
Si parte dal principio che “tutte le acque scorrenti nel territorio
di questo Comune ed attualmente adibite per l’irrigazione sono di proprietà
del Comune, salvi i diritti spettanti ai proprietari degli edifizi esistenti
lungo il Sangonetto e ad altri che abbiano titolo legittimo che attualmente
godono della irrigazione dei prati”.
Ancora: il Comune si riserva di “disporre delle acque in caso d’incendio
o per altra calamità o necessità pubblica, di mandare l’acqua
ai caseggiati e alle cascine per uso delle famiglie e del bestiame in caso
di siccità eccessiva, di concedere per uso industriale prese d’acqua
in modo però che non sia danneggiata l’irrigazione dei prati,
dopo una delibera favorevole del Consiglio comunale.”
Per le tre bealere vi saranno tre ruoli distinti per i pagamenti in proporzione
alle “giornate” di prato irriguo. Sono a carico degli utenti le
“purgature” dei bracci da effettuare entro marzo. Agli adacquatori
(nominati dal Consiglio comunale) “la mercede sarà di Lire 0,08
per ogni bagnatura di una giornata di prato, da pagarsi a fine anno”.
Quante bagnature? Ad aprile, maggio e settembre si procederà a due
bagnature; a giugno, luglio e agosto non si procederà ad alcuna bagnatura
senza ordine della Commissione direttiva” formata da 12 membri (quattro
per ogni bealera), il sindaco la presiede.
Particolarmente severe le pene per chi apre abusivamente bocchetti, sradica
alberi sulle sponde, asporta boscamenta e ferramenta e reca danno alle dighe:
fino a 50 lire di multa e gli arresti fino a 50 giorni.
Sottoscrivono questo regolamento il sindaco Cav. Cruto Francesco, il membro
anziano del Consiglio Brero Gaspare e il segretario comunale Vigliani Piero.
Vi fu un ricorso alla Giunta Provinciale Amministrativa di Torino di Attilio
Galleani e altri. Ricorso respinto nel gennaio del 1900 perché “non
censura le particolari disposizioni in esso contenute”. Cioè:
troppo vago e generico.
Un altro regolamento nel 1924
Sindaco è il Cav. Ernesto Baudino
E’ un testo unico, sempre edito dalla Tipografia A. Vinciguerra & Figli di Torino, Via Bellezia 10-12. Il titolo è: Regolamento per le Acque Comunali Irrigatorie. E’ edito dal Comune di Piossaasco. Sono aggiunti alcuni importanti particolari sfuggiti nel 1897. Si insiste ancora sulla necessità di vigilare sull’abusivismo e sulle modifiche alle sponde delle bealere. Il testo di 30 articoli entra in vigore il 5 Maggio 1924 ed è controfirmato dal sindaco Cav. Ernesto Baudino e dal Segretario Comunale F. Ferraris-Bottigli.
Nel 1914 i consorziati della Rittana si appellano al Consiglio comunale
La diminuizione della portata dell’acqua nelle tre
bealere di Piossasco (Superiore, Inferiore o Sangonetto, Rittana) in seguito
alla captazione della Società è notevole, tanto che il 20 febbraio
1914 i consorziati della Rittana scrivono una petizione al Consiglio Comunale
di Piossasco affinchè provveda ad una nuova divisione dell’acqua
per i tre canali con un nuovo riparto perché da quando la Società
Acque potabili “ha eseguito la conduttura dell’acqua potabile
a Torino (…) la bealera Rittana e Superiore soffrono un danno non avendo
più la quantità d’acqua loro spettante”. Sottolineano
come il vecchio riparto “funzionava ottimamente fino all’arrivo
della Società”.
Sono ben 71 gli scriventi, vi sono quasi tutti i cognomi storici di Piossasco,
l’ultimo firmatario è il conte Saverio Capris di Cigliè
residente a Torino con proprietà a Piossasco, soprattutto nella frazione
Garola. Lo precedono Alberga, Andreis, Baronetto, Benzi dott. Gaspare, Borgi,
Borgiattino, Brero, Bruno, Burdino, Carbonero, Carpinello, Cattanea, Cavaglià,
Chicco, Daghero, Filippa, Fiora, Garello, Garola, Gino, Grosso, Manzone, Maritano,
Martinatto, Massimino, Morello, Oberto, Paviolo, Piatti, Pognante, Richiero,
Smeriglio e Zoppetto.
I Consorzi irrigui della Superiore e della Rittana erano stati istituiti dal
Consiglio comunale nel 1844 e 1845. Sono soprattutto gli aderenti alla Rittana
(considerata spesso la Cenerentola delle tre) che scrivono che “essi
utenti sostengono le spese di manutenzione e di conservazione del canale che
dà l’acqua a tutto il territorio di Piossasco, dalla Diga del
Torrente Sangone in territorio di Trana fino al territorio di Piossasco e
quindi hanno diritto ad un equo trattamento. Fiduciosi che il presente verrà
preso in considerazione, ringraziamo”.
Non vi è documentazione sufficiente per affermare che la richiesta
sia stata presa in considerazione.
23 aprile 1924
Sangano e la mancanza d’acqua
Lettera a “La Stampa”
Altra protesta che non produsse alcun effetto
“Il paese di Sangano e dintorni, che nel passato godeva
abbondanza di acqua, forse troppa, perché alcune zone erano paludose,
si trovano in questo momento, specialmente nei periodi estivi, in assoluta
mancanza. Tale mancanza è dovuta alla Società Acque Potabili,
che per utilità pubblica riguardante la Città di Torino, ha
espropriato volenti o nolenti, i proprietari, una enorme zona di terreno assorbendone
l’acqua, che incanalata venne diretta a Torino. I contadini e per essi
i vecchi dirigenti del paese, non comprendendo le giuste ragioni, che una
grande città non può sacrificare un elemento indispensabile
per la collettività a vantaggio di pochi ostacolarono in ogni modo
l’attività della Società Acque Potabili. Io non voglio
entrare in merito a già superate questioni, anzi, do torto ai vecchi
dirigenti del paese. Ma ritengo che l’errore di essi non debba ricadere
eternamente su una popolazione onesta e laboriosa che oggi non domanda già
l’acqua per l’irrigazione dei campi e dei prati ma semplicemente
il quantitativo indispensabile del prezioso elemento per quelle stesse ragioni
di igiene mediante le quali in Società Acque Potabili s’è
basata per l’espropriazione del terreno. E’ vero che legalmente
il paese non ha più nessun diritto, avendo il Comune venduto ogni diritto
medesimo, ma moralmente la Società Acque Potabili, la città
di Torino, il Consiglio Provinciale, hanno il dovere di riesaminare la questione.”
Il presidente del Circolo San Giorgio, in Sangano,
dott. cap. Giuseppe Giusiana
La “questione” non fu riesaminata, né allora, né mai. Il fascismo da poco al potere (e fra qualche mese si trasformerà in dittatura) non si curava certo di queste richieste: il centralismo nelle decisioni era d’obbligo. Con tanti saluti all’allora sindaco di Sangano, il conte Lajolo, che vendette la ricchezza del suo Comune per quattro soldi.
1956, nuovi regolamenti e
statuti per le tre bealere
Domenica 13 maggio 1956 si riuniscono in Comune tutti gli
utenti delle tre bealere di Piossasco: Superiore, Inferiore-Sangonetto, Rittana.
Di persona o con delega, di fronte al notaio Cesare Deorsola poco più
di 500 cittadini di Piossasco costituiscono e aderiscono ai tre nuovi consorzi
irrigui, ne accettano lo Statuto e le regole.
I consorzi esistevano già dal 1844-1845, ma i nuovi tre documenti recepiscono
normative dell’ultimo secolo, costituiscono un vero e proprio censimento
delle proprietà agricole “sotto acqua” e, dal punto di
vista sociologico, ci rivelano una Piossasco con un’economia legata
alla terra e all’agricoltura della piccola proprietà contadina.
I consorzisti sono nella stragrande maggioranza agricoltori, le donne proprietarie
sono casalinghe. Qualche operaio, pochi pensionati e impiegati, cinque esercenti,
due mugnai, tre industriali, due insegnanti, un prataiolo (“praiè”)
e poi qualche benestante, una possidente e una studentessa entrambe del ramo
Seyssel di Garola ma residenti a Roma.
La Superiore conta 285 consorzisti, l’Inferiore 151 e la Rittana 78.
Se si tiene conto che Piossasco nel 1956 (prima dell’esplosione demografica
e dell’avvio dell’industrializzazione collegata alla Fiat di Rivalta)
contava circa 4.000 abitanti, ne consegue che una famiglia su 8 aveva terreni
in proprietà collegati al sistema irriguo delle tre bealere, ai loro
benefici e alla loro ricchezza. Nonché alle grane e alle liti che ne
sono scaturite (l’una contro l’altra, gruppi diversi e contrastanti
all’interno di uno stesso consorzio). I convenuti del 13 maggio non
erano tutti di Piossasco, molti risiedevano a Rivalta (per la Rittana), a
Cumiana, Piscina, Torino e anche a Roma.
Scorrendo i tre verbali della costituzione dei Consorzi “per tempo indefinito”
(tutti uguali, tranne l’elenco dei partecipanti) si legge che “al
Consorzio potranno aderire altri utenti anche in seguito. Il Consorzio è
costituito per ora tra gli intervenuti ma dovrà espandersi a tutte
le utenze del Canale Bealera dall’origine al termine e per tutte le
sue diramazioni “. La sede per i tre Consorzi è nel Comune.
Il custode pratarolo dovrà essere armato
Alcune norme tratte dai tre Statuti.
“Tutti gli utenti devono concorrere nelle spese di qualsiasi natura
in proporzione alla superficie irrigata. (…) Il Comune di Piossasco,
già titolare della legittima antica investitura può disporre
delle acque in qualunque tempo nei casi di incendi o di qualunque altra calamità
o necessità pubblica. Può mandare le acque ai caseggiati e alle
cascine per uso delle famiglia e del bestiame nei casi di siccità eccessive.
Può concedere per usi industriali impianti o prese d’acqua in
modo però che non sia danneggiata l’irrigazione delle praterie”.
Viene istituita l’assemblea generale dei consorzisti e un consiglio
d’amministrazione con un presidente, un vice e tre consiglieri. Il segretario
del Consorzio “sarà preferibilmente” il segretario comunale
retribuito “nella misura da accordarsi fra esso e il Cda”.
E’ prevista la figura del talponiere che “dovrà diligentemente
adoperarsi affinchè le praterie siano immuni dai guasti dei suddetti
animali”, oltre a quella del custode pratarolo che dovrà “ispezionare
i canali e le opere in genere, sorvegliandone la conservazione, vegliare durante
i periodi di irrigazione, custodire e vigilare sulla apertura e chiusura di
tutti i bocchetti, denunciare le infrazioni agli orari, agli usi d’acqua.
Durante l’intera campagna irrigatoria i custodi prataroli non potranno
svolgere nessun’altra attività. Dovrà essere autorizzato
ad armarsi durante esercizio delle sue funzioni”.
Il regolamento si conclude con i divieti e le disposizioni disciplinari. “E’
assolutamente vietato sradicare alberi, scavare fossi o buche nelle sponde
dei canali, manomettere, asportare legnami armature ferramente inserviente
a prese, bocchetti, dighe, aprire bocchetti, fare tagli sulle sponde, fare
diche che impedisca o intralci il libero corso della bealera”. E altro
ancora.
1917-1921: causa della Rittana contro il Comune di Piossasco
Mentre era ancora in corso la Prima guerra mondiale, a Piossasco
scoppia un’altra guerra – sempre per l’acqua delle bealere
- tra gli utenti della bealera Rittana e il Comune, nella persona del sindaco
Pietro Perrone (Pairone)
Erano i giorni che precedevano la disfatta di Caporetto, e il Comune era stato
trascinato in tribunale a Torino. Nella sentenza di primo grado vinse però
la causa, ma nella seconda fu dichiarato colpevole di aver eseguito lavori
alla diga del Caplè senza averne diritto e in modo difforme alle normative
che regolavano, diminuendo la quantità d’acqua per i terreni
della Rittana.
Furono portati in tribunale come testimoni coloro che avevano eseguito i lavori.
Questi deposero contro il Comune che li aveva pagati per quell’intervento,
affermando però che quelle opere si eseguivano ogni tanto per mantenere
efficiente la diga del Caplè che si trova non lontano dal rivo Tetto
Grosso che si congiunge con la Rittana. La diga del Caplè nel 1962
sarà il teatro di un sabotaggio e di un atto vandalico, che fini anche
sui giornali dell’epoca, da parte di alcuni consorzisti della Superiore
e della Inferiore che con il trattore demolirono il cuneo di cemento che era
il ripartitore delle acque.
Andiamo con ordine.
Informazioni e dichiarazioni sono tratte dalla “comparsa conclusionale”
alla corte d’Appello di Torino per bocca dell’avvocato dei consorzisti
Fausto Garola. La causa contro il Comune, in persona del sindaco Pietro Perrone
(errore di battitura, il cognome era Pairone), “convenuto e appellato”
e difeso dall’avvocato Amilcare Bubbio.
La denuncia era partita da Giacomo Garola (presidente della Rittana), dal
direttivo della bealera (Francesco Martinatto, Pietro Borgi, Giovanni Pognante,
Michele Paviolo, Claudio Brero) e dal Conte Zaverio Capris di Cigliè,
residente a Torino, che non intese mischiarsi con i contadini locali.
Il Procuratore avvocato Fausto Garola accertò che “da tempo antico,
e certamente da oltre trent’anni prima del 1917, nel sito detto Loia
del Caplè, di fronte al punto ove confluisce il rivo Tetto Grosso,
vi fu sempre una diga, che per la sua struttura e altezza dava luogo con continuo
deflusso di una considerevole quantità d’acqua del Sangonetto
a beneficio della Rittana”.
Nel 1917 e 1918 il Comune sopraelevò la diga di 30 centimetri, la rese
impermeabile con tavole, terra e fascine, abbassò il fondo della bealera.
“In conseguenza di tali innovazioni la Rittana rimase solo più
alimentata dal bocchetto del Sangone, superiore alla Loia del Caplè,
aperto nei giorni di samboira, corrispondenti ai giorni festivi (…)
Mancò agli utenti della Rittana persino l’acqua necessaria agli
usi domestici e all’abbeveraggio del bestiame”.
La decisione di eseguire certe riparazioni alla diga fu presa dal Consiglio
comunale il 1°ottobre 1916. “Ma sotto colore di riparare, il Comune
proponevasi di modificare la diga della Loia del Caplè rendendola impermeabile”.
I lavori iniziarono nel giugno del 1917 e subito partì una denuncia
diretta al pretore di Orbassano firmata dai contadini e dal Conte Capris di
Cigliè. Il Pretore diffidò il Comune dal proseguire i lavori
il 19 giugno perché “ab antiquo la diga aveva sempre avuto altezza
struttura tali da lasciar defluire una ragguardevole quantità d’acqua
a beneficio della Rittana”:
Il Comune impugnò questi rilievi ma il Tribunale li respinse con sentenza
del 10 novembre 1919. La Corte confermò questa sentenza con un’altra
del 14 luglio 1920. Ma il 23 febbraio 1921 il Tribunale assolse il Comune
e condannò i consorzisti a pagare le spese di giudizio.
Emerse che “al Comune spetta il governo del canale”. Già
con diverse delibere di Giunta (12 maggio 1892 aggiudicò dei lavori
alla Loia, idem il 19 maggio e una terza il 13 agosto. Eseguì dei lavori
per conto del Comune anche al Società Acque potabili di Torino per
465 lire.
“I lavori furono eseguiti di sorpresa
e colla massima fretta al mattino”
Nel corso delle udienze a Torino furono sentiti ben 17 testimoni.
Tra questi anche il parroco di San Francesco don Edoardo Bottalo. Tutti dissero
con sicurezza che i lavori furono eseguiti per conto del Comune da artigiani
e mastri di Piossasco. Leggiamone qualcuna.
Domenico Fiora ”Dichiaro di aver visto la costruzione di un tratto della
sponda sinistra in cemento, fatta nell’estate del 1917 dal capomastro
Cruto” (un discendente di Alessandro, l’inventore della lampadina
elettrica, ndr)”.
Emilio Carpinello: ”Vidi i due capimastro Cruto e Fornatto rivestire
di cemento la sponda. Le riparazioni alla Loia del Caplè sono sempre
state eseguite dal Comune”.
Nicola Garola: ”Ho sentito dire che il Comune ordinò l’esecuzione
di tali opere. Attesero alle medesime i capimastri Cruto e Fornatto, sotto
la direzione di certo Gili il quale non solo fece eseguire i lavori con massima
fretta, ma anche di sorpresa, e cioè al mattino prestissimo, per evitare
che gli utenti della Rittana insorgessero contro l’esecuzione di tali
lavori; il Gili era il presidente della bealera Inferiore”. Esisteva
già allora uno smaccato conflitto d’interesse. Meno acqua alla
Rittana, più acqua all’Inferiore di cui era presidente.
Giovanni Garola: ”Sentii accennare al capo mastro Cruto come colui che
lavorò attorno alla diga; sentii dire da certo Prunello (Pronello)
Giuseppe di Tommaso, che era stato il sindaco ad obbligare il mugnaio ad eseguire
i lavori alla diga in questione”.
Paolo Ruffino, mugnaio: ”Nel giugno e luglio 1917, per incarico dell’ing.
Garoglio e del capo mastro Fornatto, avevo trasportato cemento e tavole per
i lavori (…). Il prezzo del trasporto fu pagato dal Fornatto”.
Vito Fornatto depone per tredicesimo davanti al giudice: ”Nell’estate
del 1917, per ordine dell’Amministrazione Comunale di Piossasco eseguii
dei lavori di cemento battuto a partire dal bocchetto della presa della Rittana
(…): Per ordine dell’ingegnere dell’acqua potabile, circa
venti giorni dopo, riparai la diga Loia del Caplè con tavole nuove
e pietre fisse(…)”.
Michele Androvetto (Andruetto?), cantoniere comunale:” Ho lavorato parecchie
volte attorno alla Loia”.
Antonio Lanza, assessore:” E’ vero che, il 1° ottobre 1916,
il Comune deliberò di fare le opere (…) ma in seguito non si
diede esecuzione completa per inibizione del Pretore di Orbassano”.
Il teste ammette che è stato il Comune l’autore delle opere di
cui si contende.
Finalmente il parroco don Edoardo Bottalo che interviene “sul sentito
dire”, testimonianza un po’ evanescente: ”Ho sentito dire
che i lavori attorno alla diga del Caplè furono iniziati per ordine
dell’Amministrazione comunale, ed in seguito proseguiti per ordine dell’ingegnere
dell’acqua potabile”.
Il nesso che univa la Società Acque Potabili (quella che “emunge”
l’acqua del Sangonetto a Sangano per portarla a bere ai torinesi) con
i lavori iniziati e interrotti alla Loia era la proprietà di una fucina
trasformata in fabbrica di spazzole azionata con l’acqua. Con questa
proprietà la Società poteva intervenire nella gestione delle
bealere di Piossaasco.
Antonio Martinatto, assessore e presidente del consorzio della bealera Inferiore:
”Ogni qualvolta succedevano guasti nella diga questa veniva fatta riparare
dal Comune”. Al tempo i presidenti dei tre consorzi erano quasi tutti
assessori o consiglieri comunali: da dentro il Palazzo si controllava meglio
la situazione. Solo la Rittana ebbe sempre pochi santi in paradiso.
Un altro assessore, Domenico Bonetto, conferma quanto detto dal collega.
Francesco Oberto si dichiarò proprietario dell’antica fucina
della Società Acque Potabili, poi trasformata in una fabbrica di spazzole,
a valle della Loia del Caplè, che riceveva la forza motrice dalla bealera
Sangone (ovvero Sangonetto):”Per ordine dell’ingegnere dell’acqua
potabile partecipai anch’io alla esecuzione dei lavori. Erano con me
a lavorare certi Fornatto e Bombara. La Società doveva fornire l’acqua
alla mia fabbrica. Anche il mugnaio Paolo Ruffino prese parte ai lavori”.
Queste testimonianze confermano che i lavori li deliberò e li eseguì
(malgrado il divieto del Pretore di Orbassano) il Comune perché “appartiene
al Comune la proprietà, o per dir meglio, il diritto di uso delle acque,
colla facoltà di derivarle dal Sangone e condurle fino al rio Tetto
Grosso o Loia del Caplè. Le spese attinenti sono a carico, per metà
del Comune, e per metà dei proprietari degli edifici sottostanti a
codesta diga, fra cui lo stesso Comune pel suo molino, e vi è pure
la Società per un altro molino e per una fucina ora venduta a trasformata”,
così scrisse il giudice.
Altri testimoni: ”La diga era formata
da una pietraia da cui permeava l’acqua”
In una seconda tornata di testimoni il processo intese conoscere
a fondo come era la diga prima dei lavori contestati, soprattutto se avvenne
il rialzo del colmo della diga di 30 centimetri che privò gli utenti
della frazione Garola e dintorni dell’acqua, sia da bere, sia per il
bestiame, sia per l’irrigazione, tranne il sabato per la samboira.
Sfilano altri 14 testimoni, alcuni anziani come Gaspare Brero di 75 anni,
e una donna Teresa Chicco, 65 anni, che disse: ”Da circa 43 anni risiedo
nella frazione Garola ed ho sempre irrigato i miei fondi con l’acqua
defluente dalla diga Loia del Caplè, sebbene non abbia mai visto tale
diga, soltanto da due o tre anni l’acqua è stata pressochè
soppressa per essersi, come intesi dire, eseguite delle riparazioni alla Loia”.
Intervengono Domenico Fiora, Vincenzo Carbonero, Domenico Mondino, Vittorio
Gino, Michele Forneris, Nicola Garola, Giovanni Garola, Giovanni Fiora, Isidoro
Alberga.
La dichiarazione più completa e riassuntiva la rilasciò Emilio
Carpinello, 62 anni. Disse: ”Anticamente la diga era formata di una
pietraia che permetteva l’infiltrazione delle acque nella bealera Sangonetto,
alimentatrice a sua volta della Rittana. Data la struttura della diga, il
deflusso dell’acqua era continuo; attualmente la diga fu resa stabile
anche alzata (30 cm, ndr), ed abbassato il letto della bealera Sangone, per
cui l’acqua non può più filtrare attraverso la diga…
Coi nuovi lavori la diga fu resa impermeabile, e per conseguenza la Rittana
rimase soltanto più alimentata nei giorni di samboira (…). L’acqua
che prima serviva ai bisogni degli utenti della Rittana scorre ora a beneficio
dei territori dei Comuni inferiori”.
Scrisse il Procuratore avvocato Fausto Garola: ”Non si esclude che nel
1917 sia avvenuta una grave alterazione dell’anteriore stato di cose,
e sia poi mancata agli utenti della Rittana l’acqua, di cui prima avevano
sempre in misura sufficiente goduto”.
Fin dal 1784 (prima dello scoppio della Rivoluzione francese) il Comune di
Piossasco in “un ordinato” (verbale) del 20 luglio aveva dettato
le “norme per la manutenzione delle bealere, e la custodia e condotta
delle acque destinate all’irrigazione dei prati: tutt le dighe, per
le quali si diramano le bealere, non potranno formarsi altrimenti che con
pietre esistenti nel Sangone, senza atteppirle né otturarle con foglie
od altre cose consimili, ecc”. Era dunque antica pratica di costruire
le dighe con sole pietre, senza zolle (teppe) od altri materiali che le rendessero
impermeabili: l’acqua doveva sempre scorrere anche in minima quantità
verso le regioni inferiori del territorio. “L’acqua deve essere
distribuita secondo l’antico praticato, senza preferenza per alcuna
delle tre utenze delle bealere Superiore, Inferiore e Rittana, alle quali
spetta il mandarla in tutte le parti del territorio per irrigare i prati”.
“Alla Rittana è mancato
il beneficio dell’irrigazione”
Per portare acqua al proprio mulino (è il caso di
dirlo) e dimostrare tecnicamente che dal 1917 la Rittana aveva diminuito vistosamente
la propria portata i consorzisti affidarono all’ing. prof. Cesare Tommasina
fu Gaetano, prof. di Economia rurale ed Estimo al Regio Politecnico di Torino,
residente a Torino in via Pastrengo 18, l’incarico di relazionare sulle
condizioni del corso d’acqua. L’ing. Tommasina compì un
sopralluogo il 22 settembre 1919 lungo tutto il corso della Rittana, nei cascinali
di Garola e nelle praterie irrigate dalle bealere Inferiore e Superiore per
accertare la differenza delle coltivazioni, del fieno e la loro quantità
e qualità. Tommasina era accompagnato dal presidente della Rittana
Giacomo Garola fu Vito, dal Consiglio e dal Cav. Oreste Macciotta che rappresentava
il Conte Zaverio Capris di Cigliè.
A scanso di equivoci e per portarlo come prova in tribunale, il verbale del
sopralluogo di Tomassina fu asseverato con giuramento il 21 ottobre 1919 davanti
al Pretore di Torino.
Scrisse il Tomassina: ”Visitando le praterie del consorzio d’irrigazione
della Rittana, ho rilevato essere la cotenna erbosa generalmente riarsa ed
improduttiva, qua e là recenti germogli dovuti evidentemente alle ultime
piogge”.
“Ho notato che nella Rittana scorreva acqua in tenue quantità,
acqua che doveva defluire solo da poco tempo, poiché il lato della
bealera era invaso da erbacce alte di carattere non palustre: i presenti hanno
affermato che l’acqua era stata immessa solo da due giorni”. Sapendo
del sopralluogo il Comune aveva fatto aprire qualche bocchetta?
“Osservando le fienaglie accatastate nei cascinali, ho notato la scarsità
del raccolto del maggengo (…) e la pessima qualità dell’agostano
rappresentato da pochi steli pressochè insignificanti e senza dubbio
non appetibili dal bestiame”.
Tomassina cita lo scavo recente sul fondo della bealera e i cumuli di terreno
ancora giacenti su una sponda.
“Visitando le praterie delle bealere Superiore e Inferiore ho rilevato
che la cotenna erbosa è ivi rigogliosa e verdeggiante in ottime condizioni
di ripullulamento, malgrado i recenti tagli. Confrontando lo stato di questi
prati con quelli della Rittana, se ne deduce che per queste ultime il beneficio
dell’ irrigazione sia mancato quasi completamente (i testimoni affermano
che le bagnature quest’anno sono state solo due e incomplete, mentre
normalmente erano da sei a sette”.
I prati irrigati dalla Rittana nel 1917 erano estesi per 213 giornate piemontesi.
Una “giornata” equivaleva a 3810 mq.
Il diritto all’acqua era decaduto,
il Comune se ne accorge nel 1929,
e il Ministero risponde nel 1962
La proverbiale lentezza della burocrazia non si smentiva
nemmeno allora. Era trascorsa più di una generazione: dall’Italia
fascista e monarchica alla Repubblica democratica. Per rispondere alla domanda
del Comune di Piossasco del 24 giugno 1929 per ottenere la concessione delle
acque in via di sanatoria, la lumaca romana (Ministero dei Lavori pubblici
e delle Finanze) e torinese (Genio civile) hanno impiegato 33 anni.
Il fatto.
Tutti presi – podestà, commissari prefettizi, sindaci (Boch,
Andreis, Elia, Andruetto) dal problema della Rittana e dalla relativa causa
tra Consorzio e Sindaco di Piossasco, nessuno si era ricordato di inoltrare
domanda a Roma e a Torino per continuare a derivare l’acqua dal Sangone
a Trana per diramarla poi nelle tre bealere.
Sarà poi l’ex podestà fascista Luigi Boursier, eletto
sindaco per la Dc nel 1960, a firmare nell’ottobre del 1962 la concessione
dell’acqua in sanatoria. A volte la piccola storia torna sui suoi passi.
Nel mese di agosto 1962 vi era stato l’assalto con un trattore alla
diga della Loja del Caplè da parte di 17 giovani (e meno giovani) appartenenti
ai consorzi delle bealere Superiore e Inferiore. Boursier, riunendo in Comune
i colpevoli e i danneggiati, aveva promesso di agire “per ottenere la
concessione della massima quantità d’acqua possibile” dai
Ministeri e dal Genio Civile. Sollevata la questione si scoprì che
le bealere di Piossasco erano quasi abusive e non in regola.
La domanda del 1929 ai Ministeri di Roma del Comune di Piossasco chiedeva
“di derivare mediante la derivazione superiore detta Canale della fucina
di Trana (con presa subito a monte del ponte della strada provinciale Pinerolo-Susa
in località Roc) moduli massimi 10,80 e medi 7,56 per produrre sul
salto di m.2,80 la potenza nominale media di CV 28 per azionare una fucina
di proprietà del comune richiedente e per irrigare, dalle ore 12 del
sabato alle ore 24 della domenica nel periodo 23 marzo – 8 settembre,
alcuni ettari di prati siti a sinistra del canale nel territorio comunale
di Trana, con restituzione nel torrente Sangone a monte del ponte canale della
derivazione dei Laghi di Avigliana (…).”
Si trattava di irrigare 315 ettari della Superiore, 217 dell’ Inferiore,
311 del ramo della bealera della Cascina Fernesa e 82 della Rittana, oltre
ad avere una certa potenza per azionare il molino comunale di Piossasco di
Via Riva Po, che oggi non esiste più perché trasformato in sala
riunioni quando è stato realizzato il complesso del cinema-teatro-ristorante.
L’acqua non scorre più anche se è stato conservato il
canale di adduzione che faceva girare la ruota.
Il Decreto del Ministero riduce però la quantità d’acqua:
moduli massimi 7,50 e medi 6,66 “con l’intesa che in ogni caso
mai la portata derivata potrà eccedere il quaranta per cento della
portata del Sangone nel punto di presa”.
Per l’irrigazione l’acqua sarà usata dal 15 maggio al 15
settembre di ogni anno e nel restante periodo dell’anno per la produzione
di forza motrice restituendo le acque derivate nel torrente Chisola in tale
secondo periodo”.
La concessione parte dal 1° febbraio 1947 “trattandosi di antica
utenza che avrebbe avuto titolo al riconoscimento” con una durata trentennale.
Infatti nel 1977 il sindaco Leopoldo Bottari rinnovò il 31 gennaio
la concessione a nome dei tre consorzi.
I 33 anni intercorsi tra la domanda e la risposta sono giustificati dall’allora
ministro dei Lavori Pubblici Fiorentino Sullo (Dc) “dagli eventi bellici
intercorsi”.
Nel 1934 il regime fascistizza
i Consorzi: il capo è il podestà
Così come era obbligatorio essere iscritti al partito
fascista per insegnare, esercitare una qualsiasi professione o lavoro, far
parte di un ente, di un consiglio d’amministrazione, di una Società
operaia, anche i tre consorzi irrigui di Piossasco perdono la loro autonomia:
presidente e consiglio non saranno più eletti dai consorzisti ma designati
dal podestà fascista di turno. Così a Piossasco e nel resto
dell’Italia.
Il 25 giugno 1934 (Anno XII dell’Era Fascista) il commissario prefettizio
di Piossasco, il Signor Dott. Comm. Ettore Maiorino (?) e il segretario comunale
Sig. Andrea Baldanza approvano un nuovo regolamento del Canale di Piossasco,
ovvero delle tre bealere perché “la distribuzione delle acque
ad uso d’irrigazione è un fatto di sommo interesse per gli agricoltori
utenti delle stesse e solo un ente quale il Comune (fascista) può dare
a tutti pieno affidamento e che vi si provveda con criteri di assoluta giustizia
e imparzialità”.
Nella foto che segue è riprodotta la prima parte della delibera del Comune di Piossasco con il nuovo regolamento. Il documento è ancora scritto a mano e a volte vi sono difficoltà di lettura e di interpretazione.
Il regolamento riprende articoli, divieti e obblighi già
conosciuti in precedenti documenti e in alcuni bandi campestri ma introduce
l’autorità del fascismo nel libero dibattito tra i consorzi e
i consorzisti. Sarà il podestà o il commissario prefettizio
inviato dalla Prefettura di Torino a predisporre i bilanci entro l’11
novembre (San Martino) di ogni anno. Tra le spese a carico del Comune figura
“la manutenzione del canale fino al Tetto Grosso (Loya del Caplè)”.
Si cita l’Inferiore “che comprende la Bealera della Fernesa”.
Il podestà nomina ogni biennio una commissione consultiva di tre membri
per ciascuna bealera “scelti fra gli utenti della diramazione stessa
con il fiduciario locale dei Sindacati Fascisti dell’Agricoltura”.
Direttore delle bealere è il segretario comunale che “assiste
il Podestà durante le adunanze delle Commissioni e compila i relativi
verbali”. A lui vanno 1.600 lire ogni anno pagate dai consorzisti. Gli
adacquatori saranno cinque: due ciascuno per l’inferiore e la Superiore,
uno per la Rittana. “La mercede per l’adacquatore è stabilita
dal Podestà. Saranno scelti tra gli iscritti ai Sindacati Fascisti
dell’Agricoltura e residenti a Piossasco. Saranno pagati al termine
della irrigazione”. Giureranno nelle mani del Prefetto e saranno quindi
agenti a tutti gli effetti.
Il CLN e le bealere
Il 27 aprile 1945 avviene la Liberazione di Piossasco dai
nazifascisti. Il 30 aprile si insedia in Comune il CLN locale composto da
dieci membri (Pci, Dc, Psi, Pd’A, Pli) che, in attesa delle elezioni,
nomina il sindaco provvisorio nella persona di Giovanni Boch (Pci). E’
singolare che, nella marea di problemi e nella confusione amministrativa nella
fase del passaggio dalla dittatura alla libertà democratica, nella
seconda seduta del CLN del 9 maggio (la Giunta con gli assessori non c’è
ancora) si parli delle bealere di Piossasco. Cesare Lovera (Partito d’Azione)
poi nominato vicesindaco il 15 giugno seguente ponga sul tavolo delle discussione
la nomina dei nuovi “commissari” delle bealere, perché
quelli scelti dal podestà fascista o dal commissario prefettizio non
erano stati eletti dai consorziati. Ciò in virtù del regolamento
del 1934. In sostanza Cesare Lovera chiede le loro dimissioni perché
appartenenti al passato regime. In un linguaggio curiale che dice e non dice
il segretario comunale Pasquale Guerrera (che scrisse il proclama “Incipit
vita nova” la settimana precedente) riporta l’intervento di Lovera.
“Aperta la seduta il membro Lovera in riferimento alla nomina dei Commissari
alle bealere fa rilevare che i commissari suddetti non sono stati nominati
da questo comitato (Cln), ma esclusivamente ratificati, giacchè la
nomina è avvenuta da parte delle ex commissioni consultive del canale
– Del che conformemente affermano gli altri membri quivi convocati”.
Il 15 giugno si torna sull’argomento. In forma stringata si parla delle
“diga di Trana”. ”Viene quindi fatta la proposta per la
nomina a Commissario della diga di Trana del signor Alberga Narciso: proposta
che viene all’unanimità accettata e confermata”.
1956, nuovi regolamenti e statuti per le tre bealere
Domenica 13 maggio 1956 si riuniscono in Comune gli utenti
delle tre bealere di Piossasco: Superiore, Inferiore-Sangonetto, Rittana.
Di persona o con delega, di fronte al notaio Cesare Deorsola poco più
di 500 cittadini di Piossasco costituiscono e aderiscono ai tre nuovi consorzi
irrigui volontari, ne accettano lo Statuto e le regole.
I consorzi esistevano già dal 1844-1845, ma i nuovi tre documenti recepiscono
normative dell’ultimo secolo, costituiscono un vero e proprio censimento
delle proprietà agricole “sotto acqua” e, dal punto di
vista sociale, ci rivelano una Piossasco con un’economia legata alla
terra e all’agricoltura della piccola proprietà contadina. I
consorzisti sono nella stragrande maggioranza agricoltori, le donne proprietarie
sono casalinghe. Qualche operaio, pochi pensionati e impiegati, cinque esercenti,
due mugnai, tre industriali, due insegnanti, un prataiolo (“praiè”)
e poi qualche benestante, una possidente e una studentessa entrambe del ramo
Seyssel di Garola ma residenti a Roma.
La Superiore conta 285 consorzisti, l’Inferiore 151 e la Rittana 78.
Se si tiene conto che Piossasco nel 1956 (prima dell’esplosione demografica
e dell’avvio dell’industrializzazione) contava circa 4.000 abitanti,
ne consegue che una famiglia su 8 aveva terreni in proprietà collegati
al sistema irriguo delle tre bealere, ai loro benefici e alla loro ricchezza.
Nonché alle grane e alle liti che ne sono scaturite (l’una contro
l’altra, gruppi diversi e contrastanti all’interno di uno stesso
consorzio). I convenuti del 13 maggio non erano tutti di Piossasco, molti
risiedevano a Rivalta (per la Rittana), a Cumiana, Piscina, Torino e anche
a Roma.
Scorrendo i tre verbali della costituzione dei Consorzi “per tempo indefinito”
(tutti uguali, tranne l’elenco dei partecipanti) si legge che “al
Consorzio potranno aderire altri utenti anche in seguito. Il Consorzio è
costituito per ora tra gli intervenuti ma dovrà espandersi a tutte
le utenze del Canale Bealera dall’origine al termine e per tutte le
sue diramazioni “. La sede per i tre Consorzi è nel Comune.
Il custode pratarolo dovrà essere
armato nell’esercizio delle sue funzioni
Alcune norme tratte dai tre Statuti.
“Tutti gli utenti devono concorrere nelle spese di
qualsiasi natura in proporzione alla superficie irrigata. (…) Il Comune
di Piossasco, già titolare della legittima antica investitura può
disporre delle acque in qualunque tempo nei casi di incendi o di qualunque
altra calamità o necessità pubblica. Può mandare le acque
ai caseggiati e alle cascine per uso delle famiglia e del bestiame nei casi
di siccità eccessive. Può concedere per usi industriali impianti
o prese d’acqua in modo però che non sia danneggiata l’irrigazione
delle praterie”.
Viene istituita l’assemblea generale dei consorzisti e un consiglio
d’amministrazione con un presidente, un vice e tre consiglieri. Il segretario
del Consorzio “sarà preferibilmente” il segretario comunale
retribuito “nella misura da accordarsi fra esso e il Cda”.
E’ prevista la figura del talponiere che “dovrà diligentemente
adoperarsi affinchè le praterie siano immuni dai guasti dei suddetti
animali”, oltre a quella del custode pratarolo che dovrà “ispezionare
i canali e le opere in genere, sorvegliandone la conservazione, vegliare durante
i periodi di irrigazione, custodire e vigilare sulla apertura e chiusura di
tutti i bocchetti, denunciare le infrazioni agli orari, agli usi d’acqua.
Durante l’intera campagna irrigatoria i custodi prataroli non potranno
svolgere nessun’altra attività. Dovrà essere autorizzato
ad armarsi durante esercizio delle sue funzioni”.
Il regolamento si conclude con i divieti e le disposizioni disciplinari. “E’
assolutamente vietato sradicare alberi, scavare fossi o buche nelle sponde
dei canali, manomettere, asportare legnami armature ferramente inserviente
a prese, bocchetti, dighe, aprire bocchetti, fare tagli sulle sponde, fare
diche che impedisca o intralci il libero corso della bealera”. E altro
ancora.
1962: un atto vandalico alla diga
della Rittana riaccende le rivalità
Erano trascorsi alcuni anni di relativa tranquillità e di “pace armata” tra i Consorzi. La siccità dell’agosto di quell’anno fece riesplodere la contesa che questa volta non fu verbale ma parlarono i fatti. Come scrisse “La Gazzetta del Popolo” il 29 agosto, un gruppo di 17 aderenti agli altri due consorzi (Superiore e Inferiore) si recarono con un trattore nei campi verso la frazione Garola dove vi era (e vi è) la diga del Caplè e la fecero saltare per dare meno acqua alla Rittana e averne di più per i loro prati.
Ecco come si espresse il quotidiano torinese
La Gazzetta del Popolo nei titoli e nel testo il 29 agosto 1962:
La diramazione che origina la bealera Rittana, in territorio di Bruino. E’ questa la “Loia del Caplè” distrutta nel 1962 dai consorzisti (e dai loro figli) delle altre due bealere, la Superiore e l’Inferiore o Sangonetto
Grave atto di vandalismo nelle campagne di Piossasco
Fanno saltare una diga col trattore
per assicurarsi l’acqua d’irrigazione
Denunciati i 17 contadini autori della distruzione sul canale “Garola”.
La rivalità tra le due zone, che dura da oltre un secolo, acuita dalla
tremenda siccità
L’8 agosto scorso si presentava ai carabinieri di Orbassano
il signor Giuseppe Paschetta da Piossasco; egli è presidente della
diramazione canali per irrigazione e in questa veste denunciava gli ignoti
che durante la notte avevano divelto una diga lunga sette metri sul torrente
Rittana. L’atto vandalico era stato compiuto per impedire che l’acqua
raggiungesse la località “Garola” nella campagne di Piossasco,
e proseguisse invece lungo il canale inferiore per alimentare altre zone più
a valle, sempre nello stesso comune.
Sul luogo si recarono i carabinieri di Orbassano e constatavano che con l’aiuto
di un trattore erano stati smossi enormi macigni e travi che componevano la
diga tanto che questa risultava completamente distrutta. Dopo laboriose indagini,
il maresciallo Pietro Maffeo dei carabinieri di Orbassano indentificava e
rintracciava i colpevoli che sono 17 contadini tutti rei confessi. Questi
giustificarono il vandalismo compiuto dicendo che nella loro zona l’acqua
veniva immessa troppo di rado:
Intanto il sindaco di Piossasco autorizzava i contadini della frazione Garola
ad abbeverare i 5000 capi di bestiame con acqua potabile.
Dopo lunghi interrogatori hanno denunciato a piede libero alla Procura della
Repubblica i colpevoli che sono: Giovanni Valinotti di 57 anni; Guglielmo
Peretti di 54 anni; Angelo Grimaldi di 57 anni; Firmino Bonetto di 37 anni;
Luigi Succio di 56 anni; Oreste Castagno 20 anni; Giacomo Andreis 52 anni;
Tommaso Ramassotto 63 anni; Michele Siccardi 38 anni; Giovanni Caro 32 anni;
Federico Chiaberto 23 anni; Agostino Valè 49 anni; Virginio Spesso
52 anni; Domenico Gennero 53 anni; Luigi Girardi 20 anni; Chiaffredo Rolando
65 anni; Giuseppe Elia 18 anni.
Sembra che le liti tra i contadini delle due zone durino da almeno cent’anni:
durante questo secolo non è la prima volta che viene fatta saltare
la diga in quella località. Le divergenze, quindi, riguardano sempre
questioni d’irrigazione e forniture d’acqua. Questa volta però
i colpevoli sono stati identificati e denunciati alla Magistratura alla quale
spetta giudicare la gravità dell’episodio. I contadini incriminati
si giustificano con la necessità di lenire almeno in parte ai gravissimi
danni della siccità.
g.s.
Piossasco, agosto 1962, 17 contadini all’assalto della “Rittana”
Demoliscono col trattore una diga per avere più acqua
Ultimo atto della “guerra” per l’acqua per campi, prati e bestiame
L’Eco del Chisone 28 agosto 2018
PIOSSASCO – Sono stati 17 i contadini che nella notte
con un trattore hanno divelto la diga sulla bealera Rittana che forniva (e
fornisce) l’acqua alle cascine della frazione Garola di Piossasco. Il
vandalismo causò denunce e controdenunce, cause e contro cause, risollevò
antichi rancori sull’uso dell’acqua per irrigare e per il bestiame
(circa 500 capi). L’estate del 1962 era stata particolarmente colpita
dalla siccità. Il torrente Sangone era quasi in secca e alla presa
della Fucina di Trana per incanalare progressivamente l’acqua nelle
tre bealere di Piossasco (Superiore, Inferiore-Sangonetto, Rittana) l’acqua
scorreva con il contagocce.
Prati e campi erano da irrigare, il bestiame da abbeverare e nei i tre mulini
di Piossasco (Alberga “Tubia” di via Piave, Ruffinatto di via
Segheria e quello comunale di Riva Po) la ruota non girava. L’acqua
della “sanboira” (dal francese sans boir, senza bere), era quasi
insignificante. La sanboira comprendeva il periodo dal 15 maggio al 15 settembre,
da mezzogiorno del sabato a mezzogiorno di domenica (con alcune varianti),
durante il quale si toglieva l’acqua ai mulini per farla confluire solo
nelle bealere per “lo scopo d’irrigazione per i suoi utenti e
per l’uso domestico, l’abbeveraggio del bestiame dei numerosi
cascinali che tocca nel suo percorso.” Ai mulini per la produzione di
forza motrice l’acqua scorreva dal 16 settembre al 14 maggio. Così
scrisse il Genio Civile di Torino nel 1933. La Rittana che dal territorio
di Bruino scorre fino al Furno dove adesso c’è via Monterosa
per dirigersi alla frazione Garola è sempre stata considerata la meno
importante rispetto alle altre, tanto che in alcuni documenti non viene citata
ma compresa nell’Inferiore.
Esasperati dalla siccità 17 contadini utenti della Superiore e Inferiore
decidono nottetempo con un trattore di demolire la diga della Rittana per
avere più acqua per i loro due consorzi. Era martedì 7 agosto.
Gli autori dell’atto vandalico che toglieva l’acqua ad un vasto
territorio di Piossasco erano giovani e anziani: dai 18 anni di Giuseppe Elia
(figlio dell’ex sindaco Michele 1946-1956) ai due ventenni Oreste Castagno
e Luigi Girardi fino a Tommaso Ramassotto di 63.
Il giorno dopo il presidente del Consorzio Rittana Giuseppe Paschetta denuncia
il fatto ai Carabinieri di Orbassano e il comandante Pietro Maffeo indentificava
e rintracciava in pochi giorni nelle cascine i responsabili (“rei confessi”)
denunciandoli a piede libero all’autorità giudiziaria per aver
distrutto la diga in località Loia del Caplè, spostando massi
e travature per togliere l’acqua alla Rittana.
Alla denuncia di Paschetta contro i 17 “per danneggiamento di opere
idrauliche” si aggiunge quella della Superiore (avvocato Ostorero Mamel,
presidente Angelo Bonetto) contro la Rittana.
Infine: 5 consorziati dell’Inferiore (Guglielmo Peretti, Giovanni Valinotto,
Angelo Grimaldi, Luigi Succio, Luigi Castagno (padre di uno dei 17) denunciarono
Paschetta.
Insomma tutti contro tutti.
Chi erano i 17 contadini-vandali? I nomi sono pubblicati il 29 agosto dalla
Gazzetta del Popolo di Torino. Eccoli: Giacomo Andreis, Firmino Bonetto, Giovanni
Caro, Federico Chiaberto, Domenico Gennero, Angelo Grimaldi, Guglielmo Peretti,
Chiaffredo Rolando, Michele Siccardi, Virginio Spesso, Luigi Succio, Agostino
Valè, Giovanni Valinotti e i quattro già citati.
Il sindaco di allora Luigi Boursier (già podestà) convocò
il 21 ottobre in municipio i rappresentanti delle bealere per smorzare l’accesa
rivalità tra i consorziati “esprimendo il suo rammarico per gli
sviluppi che vanno prendendo i rapporti tra gli Amministratori dei tre canali,
invitando gli intervenuti anzi tutto ad agire con maggior reciproco spirito
di comprensione”.
Il sindaco chiederà al Ministero e al Genio civile la massima quantità
d’acqua possibile. Fu concessa? Probabilmente no.
La riunione è anche l’occasione “per decidere di predisporre
due piccoli catasti per ogni comprensorio di canale: uno riferito al trentennio
1854-1884, l’altro al trentennio 1922-1952 per poter rilevare i terreni
irrigui per vecchio diritto (1852-1884) allo scopo di stabilire la priorità
del diritto di irrigazione nei confronti di quegli altri terreni “detti
irrigui” e diventati tali per uso abusivo di acqua (1922-1952)”.
Nel corso dei decenni si verificarono molti allacciamenti abusivi. Le “giornate”
di terreno “sotto acqua” erano inizialmente 213, ma nel 1933 erano
già 811. Molti agricoltori avevano però deviato abusivamente
l’acqua e non pagavano le quote.
Davanti al sindaco e al segretario comunale Castagna gli intervenuti si dichiarano
disposti “a rimettere le cause davanti all’autorità giudiziaria”.
Pace quasi fatta.
Chi pagò le spese per la ricostruzione della diga alla Loia del Caplè?
Ritirate le denunce, spentosi il can can sollevato dalla Gazzetta, chi aveva
sfondato la diga la riparò senza clamore. Così come è
oggi.
Ezio Marchisio
Un’assemblea generale del 1984
con la partecipazione di 90 consorziati
Il 3 marzo 1984 i consorziati della Superiore si trovano
in Comune per modificare un articolo dello Statuto e per confermare il servizio
di tesoreria presso l’allora Cassa di Risparmio di Torino in piazza
XX Settembre. Intervengono in 90, una partecipazione abbastanza alta se si
pensa che nel 1956 gli aderenti erano 285.
Presiede il seggio elettorale il presidente Felice Andruetto, segretario Claudio
Garard, scrutatori Pierangela Balbo e Alessandro Pautasso. Su 90 votanti,
le schede bianche sono state 17 e i voti contrari 10. La tesoreria è
comunque affidata all’ex CRT fino al 1992.
Le bealere oggi
La Superiore
Detta anche in piemontese riva da munt. I consorzisti iscritti
a ruolo sono 570 ai quali si aggiungono i 60 dei “prati asciutti”.
Nel 1956, all’atto dell’approvazione dei tre nuovi Statuti, gli
aderenti erano 285. In sessant’anni sono più che raddoppiati:
l’utilità e il buon funzionamento dei consorzi quindi è
innegabile, anche nell’era della tecnologia applicata all’agricoltura,
dell’acqua potabile, delle pompe che le grandi cascine della pianura
hanno via via installato per bagnare in un giorno un’estensione di terreno
coltivata a granoturco inimmaginabile mezzo secolo fa. Senza sperare nei temporali
prima del 24 agosto, San Bartolomeo, (da cui il proverbio Se a pieu nen a
San Brtrumè, vaie a suffiè darè, ovvero se non piove
a San Bartolomeo vai a soffiargli dietro, cioè il raccolto è
perso a causa della siccità).
Il canone annuo di irrigazione è di 28 euro alla giornata piemontese
(3.810mq).
Il consorzio della Superiore (come quello dell’Inferiore-Sangonetto
e della Rittana) è un consorzio “volontario” che, per citare
un esempio, ha le stesse norme del regolamento dell’assemblea di un
condominio. Al momento della costituzione del consorzio i proprietari del
fondo (o i loro avi) hanno accettato queste regole che sono vincolanti. Anche
se i terreni con il tempo sono stati edificati e non necessitano più
dell’irrigazione della bealera perché il prato, trasformato in
giardino e cemento, non esiste più ed è irrigato dall’acqua
potabile, i proprietari continuano a pagare 28 euro ogni giornata o parte
di essa.
Esempi di questa impressionante trasformazione del territorio (che un giorno
si ribellerà alla mano dell’uomo perché è venuta
a mancare una vastissima area di assorbimento dell’acqua piovana stagionale
o dei temporali devastanti o dell’acqua che scende dalle pendici del
San Giorgio) sono la collina sotto i Castelli, la tortuosa edificazione del
cosiddetto “Villaggio del sole” o a tutta l’area del comprensorio
di via Manzoni di un’unica proprietà (Villaggio Pineta) che era
denominata “Vigna granda” dove furono edificati a partire dai
primi Anni ’60 una cinquantina di edifici, fino alla zona di via Oberdan,
Galvani, Battisti, Einaudi, Antonelli, Ferrari, Matteotti, Mario Davide, Prarosto,
Peschiera e ai prati del Mulino comunale. Per citarne alcuni.
Così come il proprietario di un alloggio in un condominio, pur lasciandolo
vuoto e non abitandovi, deve pagare comunque le spese condominiali e una quota
per il riscaldamento.
Così è per i terreni “sotto acqua” iscritti al consorzio
come “irrigui” anche se non lo sono più e il consorzio
non li cancella se non in casi rarissimi di comprovata impossibilità
di uso dell’acqua. La domanda per uscire dal Consorzio viene esaminata
dal Consiglio d’Amministrazione. Ma spesso viene rigettata.
Esiste ancora la figura dell’adacquatore (“praiè”
o “aivur” in dialetto piemontese) anche se non gira per i prati
armato, come ai tempi del fascismo. Anzi è difficile trovare questo
conoscitore del territorio che nei periodi di irrigazione, giorno e notte,
sorveglia l’arrivo dell’acqua e controlla i tempi in riferimento
alla estensione del lotto o di vari lotti di terreno attigui.
Nel 1978 non si trovò più l’adacquatore, in un periodo
di grande siccità. Come scrive la Gazzetta del Popolo del 13 agosto
1978 (Vedi in allegato).
Il Consiglio d’Amministrazione viene eletto ogni cinque anni dai consorzisti.
A sua volta elegge il presidente e vicepresidente. In questi anni presidente
della Superiore è Roberto Elia, vice Giuseppe Chiaberto, segretario
il geom. Claudio Gerard Gravier, già tecnico comunale. Presidente e
consiglieri non percepiscono alcun compenso, salvo il pagamento regolarmente
fatturato delle ore impiegate per lo spurgo dei canali e il noleggio dei trattori.
La Superiore ha un bilancio annuo che varia da 18.000 a 22.000 euro. Con questa
cifra occorre provvedere alla manutenzione del corso d’acqua da Trana
(frazione Moranda) a Piossasco: un percorso di circa 10 km. Altra spesa fissa
sono i compensi annui per il segretario (840 euro) e per l’adacquatore
(6.000 più Iva).
L’Inferiore –Sangonetto
Il canone annuo è di 18,08 euro per “giornata”
piemontese, ovvero 3.810 mq. Meno della Superiore, un po’ più
della Rittana.
Il comprensorio del consorzio è di 688 giornate piemontesi e di 83
tavole, ovvero 262 ettari e 42 ca. Gli utenti sono 182. In questo quinquennio
il presidente è Aldo Valinotto, vice Claudio Castagno, membro anziano
Roberto Elia. Nel Consiglio d’Amministrazione vi sono anche Roberto
Bergoglio, Piero Canavesio, Cesare Barberis. Queste cariche sono a titolo
gratuito. Dal 2005 il segretario è il geom. Franco Borgiattino al quale
vanno 700 euro annui. Dal 1977 al 2004 le funzioni di segretario sono state
svolte dal geom. Lorenzo Morero, anche lui dell’Ufficio tecnico comunale.
Gli adacquatori per l’annata agraria 2018 sono Claudio Castagno, al
quale spettano 2.200 euro, Roberto Elia (1400) e Sergio Bergoglio (1350).
Il bilancio 2018 ammonta a 12.500 euro, di cui 565 per rimborsi spese e 6.800
per la manutenzione della bealera e dei canali.
Nella Superiore non vi sono “prati asciutti”.
Il Sangonetto ha alimentato fino ad alcuni decenni fa i tre mulini posti lungo
il suo corso. In via Piave, in via Segheria e in via Riva Po.
La derivazione del molino comunale ora "Centro polifunzionale" è
stata chiusa alla "barcunera" (di fronte a via Nazario Sauro.) In
via Riva Po nel parco Baden Powell è stato però realizzato un
impianto di sollevamento con pompe in un pozzo, per cui per uso didattico
si può attivare il canale dove ci sono le ruote dell'ex mulino. Sino
ad oggi la riattivazione anche solo temporanea non è mai avvenuta.
L’esterno del mulino comunale in via Riva Po durante i lavori i ristrutturazione di una quindicina d’anni fa
L’interno del mulino comunale oggi, dopo il restauro. Sono state conservate le macine
Così si presentava il mulino comunale ancora agli
inizi del 2000: in abbandono e in disfacimento, tanto che minacciava di crllo
e la via Riva Po che passava sotto la tettoria fu chiusa al traffico
La ristrutturazione, iniziata alcuni anni dopo, ha trasformato l’edificio
del mulino in un bar e in un elegante ristorante che occupa oggi il volume
della tettoia (a sinistra). Nell’interno del mulino sono state conservate
le macine. Di fronte vi era una porcilaia (del Comune e data fino agli anni
‘60 in gestione ad un privato) che, demolita, è diventata il
cinema-teatro. Più a valle è stato costruito l’edificio
detto “Sala onda”. Il progetto complessivo, su finanziamenti della
Unione Europea, è stato realizzato dall’ architetto Luca Barbero
e dall’ ing. Gian Carlo Aimetti entrambi di Pinerolo.
Il complesso del mulino, bar, ristorante e cinema-teatro come si presenta oggi.
La Rittana
Detta anche in piemontese arian-a. Il suo nome deriva, probabilmente,
dal fatto che, dove si origina in territorio di Bruino, il suo corso prende
a destra (ritta) per dirigersi verso il Furno, Garola e la cascina del Duis.
Altra ipotesi vuole che il nome derivi invece da rittano, dal dialetto piemontese
per indicare un fosso incassato, spesso invaso dalla vegetazione, dove scorre
un torrente, tipico delle Langhe. Ne parla anche Beppe Fenoglio in un suo
racconto:”…ora il rittano stava livellandosi ai prati soprastanti…”.
Il canone annuo è di 13 euro a “giornata”, meno della metà
della Superiore e circa un terzo rispetto all’Inferiore. Gli utenti
sono 96. La superficie del consorzio è di 221 giornate e 54 tavole,
corrispondenti a poco più di 84 ettari. Nel 1917 le “giornate”
erano 213. Il presidente è Cesare Paschetta da più di venti
anni. In precedenza la carica era di suo padre Giuseppe fin dalla fine degli
Anni ’50. Vice è Angelo Davì, membro anziano Ermanno Borgiattino.
Il Cd’A dura in carica cinque anni ed è composto oltre che dai
tre utenti citati anche da Bruno Cavaglià e Michele Coletto. Anche
qui cariche puramente onorarie. Il segretario è il geom. Franco Borgiattino
dal 1977, quando l’Amministrazione comunale (sindaco Alessandro Martinatto)
decise di affidare dal punto di vista tecnico i tre Consorzi a tre geometri
dell’UTC: Gerard (Superiore), Lorenzo Morero (Inferiore) e Borgiattino
(Rittana) che assunse in seguito la responsabilità dell’Inferiore.
In precedenza il segretario dei tre consorzi era il segretario comunale che
in quegli anni si fermava al massimo un anno: provenendo da altre regioni
italiane era quindi poco avvezzo alle problematiche dei prataroli e dei talponieri.
Enrico Paschetta è l’adacquatore, segretario Borgiattino.
Il bilancio 2018 quadra sui 2.280 euro, di cui 1.800 per i rimborsi spese
e il resto per la manutenzione della bealera.
La concessione per prelevare l’acqua dal Sangone a Trana, alla Loia del Gallo scadrà il 31 gennaio del 2027. Nella tabella vi sono i periodi dei prelievi e la loro quantità per uso energetico e agricolo-irriguo.
La nuova concessione N° 14662 del 19.02.2013 ha diversificato i prelievi ed ha revocato la presa di forza motrice sita a monte del ponte di Trana che alimentava la fucina di Trana, ma in compenso è stato concesso l'uso civile ed energetico per Piossasco di l/s. 250, per i mesi non irrigui.
I territori delle tre bealere
e loro diramazioni
Nella prima cartina è indicata la Loia del Gallo a
Trana, il ripartitore in frazione Moranda (Trana) che dà origine alla
Superiore e all’Inferiore. Nelle vicinanze di questi percorsi d’acqua
scorrono altri corsi e canali che hanno la loro presa a Trana a monte del
ponte sulla strada statale 589 a fianco della quale passa il Canale dei Laghi
di Avigliana. I due consorzi di Piossasco sono vicini al “Consorzio
Argini e Praterie” di Trana. Vi è la presa della bealera di Sangano,
della bealera dei Cavalieri che passa nel territorio di Rivalta e va al confine
con Piossasco lungo la recinzione dell’ex stabilimento Fiat, parallela
per un certo tratto in frazione Garola alla Rittana.
Un reticolo abbastanza complesso come si deduce dalla cartina sottostante.
Nella cartina successiva compare il territorio lungo il quale scorre la Superiore, la presa del Rio Battitori Loja del Caplè, la presa della Rittana che si dirama poi nel Ribrocco.
Quadro riassuntivo dei territori irrigati dalle tre bealere di Piossasco.
Càmpiti in grigio chiaro sono i prati della Superiore, in rosa quelli
dell’Inferiore che si divide a sua volta in bealera dei Brentatori,
della Farnesa, Gora del Rosso e altri rii minori.
In azzurro i terreni della Rittana che giunge fino a Tetti Scaglia oltre la
circonvallazione e che assume verso la fine del suo percorso il nome di Bealera
del Duis.
La presa della bealera della cascina Farnesa è ubicata
presso la zona "Viulè” dove c'è il parco giochi e
preleva l'acqua dal Sangonetto (ovvero dall’Inferiore). E' una bealera
autonoma, come autonoma è la bealera delle cascine del Duis. Non sono
pertanto comprese nei Consorzi irrigui di Piossasco, ma i suoi utilizzatori
sono contitolari della concessione di derivazione, unitamente al Comune e
ai Consorzi.
Per essere precisi l’utente della bealera della Farnesa è l'Azienda
Agricola "Valinotto ss”, mentre gli utenti della bealera del Duis
sono Sergio Scarafia, Antonio Scarafia, Cavaglià Bruno e Daniele.
Piccolo dizionario delle bealere
Scrivendo questo riassunto sulla storia delle bealere di Piossasco (ma anche di altre) ci si imbatte in una serie di sostantivi che riguardano i lavori e i lavoratori addetti all’irrigazione, alla struttura dei corsi d’acqua, ai diritti e ai doveri di chi aderendo ad un consorzio era chiamato a rispettare.
Aivur, adacquatore in italiano. Vedi pratarolo
“Barcunera”: era la derivazione
dal Sangonetto del canale che portava l’acqua al mulino comunale di
Via Riva Po. L’impianto in pietra era all’altezza di Via Nazario
Sauro poco dopo il ponte. L’alveo del canale, la cui acqua scorreva
parallela al Sangonetto fino al mulino, è stato ricoperto ai tempi
dell’Amministrazione Oliviero. La barcunera di via Sauro è stata
modificata, su progetto dell’Isesco di Torino, quando è stata
realizzata la fognatura nera nel centro storico. Il canale è stato
intubato e fu realizzato il nuovo sbarramento con paratoia nell’alveo
del Sangonetto. Successivamente durante i lavori di sistemazione delle sponde
del Sangonetto iniziando da via San Rocco (progetto dell’architetto
“verde” Modena) lo sbarramento con paratoia è stato eliminato,
in quanto presso il Centro polifunzionale del Mulino era stata realizzata
una stazione di sollevamento dell’acqua per far girare la ruota del
mulino, rimasta a secco, a scopo dimostrativo e didattico per le scuole. Cosa
mai avvenuta da una quindicina d’anni. Fatto sta che invece di due corsi
d’acqua paralleli nel centro della città ora si ha il Sangonetto
e una striscia di terreno incolta quasi a gerbido adatta per le passeggiate
sormontata da un ponticello. Resta testimone della presenza dell’ex
canale del mulino un piccolo e stretto ponte a U rovesciata sotto via Pinerolo,
a pochi metri dal ponte Nuovo.
La struttura in pietra lavorata a mano della “barcunera” (nella
foto) è andata persa.
Nella parte cerchiata in rosso, la barcunera di via Nazario Sauro come si presentava in una cartolina del 1904
L’alveo del canale (o bealera del mulino comunale) malauguratamente ricoperto come si presenta oggi. Il canale aveva un accesso in discesa da Via Pinerolo per raggiungere alcune postazioni per le casalinghe che al lunedì si recavano per lavare i panni battendoli su un asse di legno con due pioli o gambe . Un’altra postazione realizzata in cemento era all’inizio di via Riva Po quasi all’angolo con Via Peschiera.
L’alveo ricoperto del canale del mulino comunale a lato di Via Nazario Sauro come si presenta oggi.
Ma non vi era solo questa barcunera. Una era dove la Superiore si divideva dal Sangonetto e un’altra in via Piave, al Ponte Borgiattino. In questi casi la barcunera aveva il compito di alleggerire la portata del corso d’acqua nel periodo delle piogge o dei violenti temporali quando si formava una zona allagata sulla quale - secondo alcuni - si poteva anche andare in barca. Da cui il nome barcunera di non comprovata origine etimologica.
Bocchetto, apertura di una sponda della bealera per far defluire l’acqua nel terreno di proprietà. Era vietato (e lo è tutt’oggi) aprire bocchetti abusivamente senza pagare un canone annuo al Consorzio. Soprattutto lungo la Rittana vi sono forme di piccolo abusivismo con piccole pompe immerse nel letto per bagnare gli orti che nel tempo sono sorti lungo le sponde della bealera.
Sanboira
La “sanboira” (dal francese sans boir, senza bere) comprendeva
il periodo dal 15 maggio al 15 settembre, da mezzogiorno del sabato a mezzogiorno
di domenica (con alcune varianti), durante il quale si toglieva l’acqua
ai mulini per farla confluire solo nelle bealere per “lo scopo d’irrigazione
per i suoi utenti e per l’uso domestico, l’abbeveraggio del bestiame
dei numerosi cascinali che tocca nel suo percorso.” Ai mulini e alle
fucine per la produzione di forza motrice l’acqua scorreva dal 16 settembre
al 14 maggio.
Roida
Oggi si chiamerebbe “giornata ecologica”. Un tempo la roida (etimologia
incerta) era il lavoro quasi obbligatorio che gli abitanti di un paese, soprattutto
i contadini, erano chiamati a svolgere in un giorno convenuto per la pulizia
dei corsi d’acqua, delle bealere e delle rive. Interessante il manifestino
(in foto) del sindaco del Cln di Villar Pellice (To) che per bocca del mansiere
Samuele Baridon invita gli abitanti di una zona del paese per il giorno 27
giugno 1945 a partecipare ai lavori di pulizia muniti di badile, zappa e zappone.
Chi si assentava doveva pagare una “comandata” (multa) di Lire
150 per ogni giorno di lavoro. Si noti che nel volantino prestampato vi è
ancora la dicitura “Il podestà” quasi cancellata da un
timbro con “Il Sindaco”. Siamo a due mesi appena dalla Liberazione
e la modulistica era ancora quella fascista.
Questo è l’avviso del mansiere di Villar Pellice:
Pratarolo (o custode pratarolo, praiè,
aivur)
Il pratarolo aveva l’incarico di controllare l’irrigazione dei
prati dei consorzi e di segnalare eventuali lavori di manutenzione lungo il
corso delle bealere oltre a individuare eventuali bocchetti abusivi, “ficche”
o sbarramenti non autorizzati. Durante il regime fascista doveva essere iscritto
al Fascio ed era armato durante lo svolgimento delle sue mansioni.
Talponiere, si tratta di una figura scomparsa
del tutto nel mondo contadino con l’arrivo dei concimi chimici. Il talponiere
era incaricato di tendere sotto terra delle piccole trappole in ferro nel
cunicolo dove passava la talpa. La trappola (“bers” o “bes”
in piemontese) scattava e soffocava il piccolo roditore. La talpa scavando
provocava danni al terreno e lo smuoveva in superficie soprattutto nel seminato
alzando piccole montagnole di terra. Il talponiere scuoiava la talpa, toglieva
le interiora, tagliava le zampette e inchiodava la pelle nera su un asse ad
essiccare. La pelliccia nera e vellutata era poi venduta a stracciaroli che
passavano periodicamente nelle cascine a raccoglierla (con quella dei conigli)
per venderla alle concerie. Oggi le talpe sono allontanate dai grandi giardini
con piccoli strumenti a ultrasuoni
Che le talpe un tempo fossero diffuse nei campi lo dimostra la presenza di
un toponimo relativo ad una cascina detta “Trapunè”, sulla
destra della Provinciale per Volvera, tutte sulla linea delle grandi cascine
di Piossasco: il Trapunè, l’Abate, il Priore, la Palazzina e
la Fernesa.
Per saperne di più………
AA.VV: “Di un consorzio fra Comuni e Privati utenti le acque della valle del Sangone. Considerazioni e proposte”, Torino, Tipografia Roux e Favale, 1882.
G. Fornelli: “Bealere e canali” da “Storia civile e religiosa di Piossasco”, Ed. Alzani, Pinerolo, 1965
L. Suppo: “Vita e tradizioni di Piossasco”, Ed. Alzani, Pinerolo, 1980
Autori vari, “Il nostro Sangone”, Ed.Lapis settembre 1992, Piossasco.
Gazzetta del Popolo, 29.8.1962, “Fanno saltare la diga per assicurarsi l’acqua d’irrigazione” di g.s.
Gazzetta del Popolo, 18 agosto 1978: “Chi vuol fare l’adacquatore?” di Ezio Marchisio
Stampa sera, 26.3.1992, “Storia avventurosa del rio Sangonetto”, di a.au.
L’Eco mese, agosto-settembre 1992 “Le piste del Sangonetto”, di Ezio Marchisio.
Giuseppe Massa - Maria Teresa Pasquero Andruetto, Storia di Sangano e della sua gente, Lazzaretti Editore
l’Eco del Chisone, 29.8.2018, “Demoliscono una diga con il trattore per avere più acqua”, di Ezio Marchisio.
La Stampa, 13.10.2018, “La cattedrale dell’acqua nelle viscere della terra”, di Andrea Parodi.
Rassegna stampa
l’Eco del Chisone, Aldo Peinetti
l’Eco del Chisone, Luca Cerutti, 2003
l’Eco del Chisone, Ezio Marchisio, 18 agosto 1978
“Chi vuole fare l’adacquatore?”
La Stampa, Andrea Parodi, 13 ottobre 2018
l’Eco Mese, agosto-settembre 1992, Ezio Marchisio
l’Eco Mese, agosto–settembre 1992
l’Eco Mese, agosto–settembre 1992
Esasperati dalla siccità 17 contadini utenti della
Superiore e Inferiore decidono nottetempo con un trattore di demolire la diga
della Rittana per avere più acqua per i loro due consorzi. Era martedì
7 agosto. Gli autori dell’atto vandalico che toglieva l’acqua
ad un vasto territorio di Piossasco erano giovani e anziani: dai 18 anni di
Giuseppe Elia (figlio dell’ex sindaco Michele 1946-1956) ai due ventenni
Oreste Castagno e Luigi Girardi fino a Tommaso Ramassotto di 63.
Il giorno dopo il presidente del Consorzio Rittana Giuseppe Paschetta denuncia
il fatto ai Carabinieri di Orbassano e il comandante Pietro Maffeo indentificava
e rintracciava in pochi giorni nelle cascine i responsabili (“rei confessi”)
denunciandoli a piede libero all’autorità giudiziaria per aver
distrutto la diga in località Loia del Caplè, spostando massi
e travature per togliere l’acqua alla Rittana.
Alla denuncia di Paschetta contro i 17 “per danneggiamento di opere
idrauliche” si aggiunge quella della Superiore (avvocato Ostorero Mamel,
presidente Angelo Bonetto) contro la Rittana.
Infine: 5 consorziati dell’Inferiore (Guglielmo Peretti, Giovanni Valinotto,
Angelo Grimaldi, Luigi Succio, Luigi Castagno (padre di uno dei 17) denunciarono
Paschetta.
Insomma tutti contro tutti.
Chi erano i 17 contadini-vandali? I nomi sono pubblicati il 29 agosto dalla
Gazzetta del Popolo di Torino. Eccoli: Giacomo Andreis, Firmino Bonetto, Giovanni
Caro, Federico Chiaberto, Domenico Gennero, Angelo Grimaldi, Guglielmo Peretti,
Chiaffredo Rolando, Michele Siccardi, Virginio Spesso, Luigi Succio, Agostino
Valè, Giovanni Valinotti e i quattro già citati.
Il sindaco di allora Luigi Boursier (già podestà) convocò
il 21 ottobre in municipio i rappresentanti delle bealere per smorzare l’accesa
rivalità tra i consorziati “esprimendo il suo rammarico per gli
sviluppi che vanno prendendo i rapporti tra gli Amministratori dei tre canali,
invitando gli intervenuti anzi tutto ad agire con maggior reciproco spirito
di comprensione”.
Il sindaco chiederà al Ministero e al Genio civile la massima quantità
d’acqua possibile. Fu concessa? Probabilmente no.
La riunione è anche l’occasione “per decidere di predisporre
due piccoli catasti per ogni comprensorio di canale: uno riferito al trentennio
1854-1884, l’altro al trentennio 1922-1952 per poter rilevare i terreni
irrigui per vecchio diritto (1852-1884) allo scopo di stabilire la priorità
del diritto di irrigazione nei confronti di quegli altri terreni “detti
irrigui” e diventati tali per uso abusivo di acqua (1922-1952)”.
Nel corso dei decenni si verificarono molti allacciamenti abusivi. Le “giornate”
di terreno “sotto acqua” erano inizialmente 213, ma nel 1933 erano
già 811. Molti agricoltori avevano deviato abusivamente l’acqua
e non pagavano le quote.
Davanti al sindaco e al segretario comunale Castagna gli intervenuti si dichiarano
disposti “a rimettere le cause davanti all’autorità giudiziaria”.
Pace quasi fatta.
Chi pagò le spese per la ricostruzione della diga alla Loia del Caplè?
Ritirate le denunce, spentosi il can can sollevato dalla Gazzetta, chi aveva
sfondato la diga la riparò senza clamore. Così come è
oggi.
Ezio Marchisio
L’Eco del Chisone, Ezio Marchisio, 29 agosto 2018
Un documento del 1748
La presenza dell’acqua o la possibilità di accedere
facilmente ad un corso d’acqua per l’irrigazione, l’allevamento
e l’abbeveraggio del bestiame è sempre stata fin dai secoli passati
un elemento che favoriva l’agricoltura e la presenza dei mulini e delle
attività connesse, si direbbe oggi dell’indotto. Un prato irriguo
permetteva di raccogliere una maggior quantità di fieno per gli animali
anche tre volte all’anno: maggengo, agostano e terzolo. In caso di vendita
quei terreni “sotto acqua” che producevano una maggior quantità
di foraggio avevano un valore superiore rispetto agli altri che fruivano solo
delle piogge stagionali.
La provincia di Torino, con quella di Cuneo, si caratterizzò fin dalla
metà del ‘700 per la presenza di una diffusa rete e di una vasta
superfice irrigua, tanto che l’agronomo e viaggiatore inglese Arthur
Young, attento osservatore delle tecniche agricole, nel corso di un suo soggiorno
in Piemonte “loderà i prati irrigui (…) che sono la gloria
del Piemonte”, come riporta Alessandro Barbero nella sua “Storia
del Piemonte”, Einaudi. E aggiunge che l’acqua è il vero
segreto dell’agricoltura piemontese e “il prezzo della terra dipende
dall’acqua di cui si può disporre. Si misura l’acqua con
la stessa cura che se fosse vino”. Ancora. Agli inizi dell’Ottocento
un funzionario napoleonico sostenne “che l’arte dell’irrigazione
è portata ad un grado di perfezione più alto che in qualsiasi
altra parte dell’Impero”. Il Piemonte era stato allora annesso
alla Francia.
Maria Teresa Pasquero Andruetto