Ricerca di Ezio Marchisio

A.N.P.I. Piossasco

Sezione Mario Davide

Piossasco 1943 - 1946

 

La ripresa del dopoguerra

L’imposta di famiglia

L’unica entrata per il Comune era costituita allora dalla riscossione dell’imposta di famiglia. Una circolare dell’allora ministro delle Finanze Mauro Scoccimarro (Pci) invitava il CLN a rivedere i ruoli «affinché effettivamente ogni contribuente corrispondesse al Comune in rapporto all’attuale reddito». L’imposta risaliva ancora agli accertamenti del 1939. Con questo provvedimento si intendeva colpire gli illeciti arricchimenti verificatesi durante la guerra.
Su questa scelta nascono i primi dissidi all’interno del CLN. Pci, Psi e Pd’A avrebbero voluto procedere ad una severa tassazione dei redditi, frenavano la Dc e il Pli.
Piossasco al censimento del 1936 contava 3.572 abitanti.

La borsa nera

La mancanza di generi alimentari e il loro razionamento fu uno dei problemi del CLN e di Boch.
Il grano venduto all’ammasso era pagato 110 lire al quintale, alla borsa nera invece raggiungeva la somma di 22.000 lire. Nella seduta del CLN del 5 maggio «il membro Mario Pautasso (Psi) sostiene la tesi che si debba procedere alla chiusura di tutti i forni esistenti presso i privati onde obbligarli a far fare la confezione del pane dai locali panettieri affinché tutta la popolazione in questo breve periodo che ci separa dalla prossima nuova raccolta granaria possa mangiare un unico tipo di pane senza distinzione di sorta fra contadini e gli altri ceti della popolazione».
Sempre nella stessa delibera: «Per quanto si riferisce alla salatura del pane di invitare ogni panettiere di far fare un plebiscito ai propri clienti onde sapere chi desidera il pane da salare a lire 4 al kg e chi vuole il pane salato (impastato con acqua salata proveniente da alcuni pozzi salmastri, ndr) a lire 6 il Kg». I panettieri in Piossasco nel 1945 erano 8 con un uso mensile dichiarato di 485 Kg. di farina.

Il Governo Militare Alleato emana il 12 luglio 1945 disposizioni sulla vendita della carne e del latte nel tentativo di porre un freno all’aumento incontrollato dei prezzi e di ridurre gli effetti della borsa nera per quanto riguarda il bestiame bovino e il latte. Si stabilisce un prezzo per i vari tipi di carne e per il latte il cui prezzo al produttore (oggi si dice alla stalla) con un tenore di grasso del 3,2% è fissato a 9 lire al litro. I bovini destinati alla macellazione sono divisi in cinque gruppi con prezzi minimi e massimi al chilo:

vitelli da latte da 44 a 30 L./Kg
vitelloni, giovenche, manzi/e da 38 a 30 L/Kg
buoi da 32,40 a 22,80 L/Kg
vacche da 30 a 20,40 L/Kg
tori da 32,40 a 28,40 L/Kg

 

Scrive nel manifesto il Colonnello Robert P. Marshall, commissario regionale: «Chiunque non osservi il presente ordine o comunque trasgredisca le relative disposizioni sarà a giudizio di un Tribunale Militare Alleato, passibile di quellalegittima pena che il Tribunale stesso riterrà di applicare».

Nello stesso provvedimento del 5 maggio si accerta che i debiti del Comune assommano a 49.328,75 lire. Per i ricoveri ospedalieri dei cittadini piossaschesi occorre pagare 6.000 lire circa, il geom. Riccardo Morello aspetta dal Comune 23.439,95 lire; la contessa Seyssel d’Aix della tenuta “La Strania” ha un credito di 21.056 lire per aver fornito legna da ardere alle scuole; 4.800,35 al Comune di Torino; 14.790 all’ospedale Amedeo di Savoia per i colpiti da febbri tifoidi.
L’11maggio la Giunta CLN constata però che «nonostante la più ampia azione conciliativa e persuasiva adottata dal CLN e personalmente dal sindaco Boch verso gli inadempienti al conferimento ammasso cereali, ben pochi agricoltori hanno provveduto a quanto di loro dovere». Guido Billotti (Dc) fa presente «la necessità di passare immediatamente ad azione
coercitiva nei confronti dei non adempienti, pubblicando all’Albo Pretorio i nomi perché tutta la cittadinanza ne prenda visione, prelevare loro i capi bovini, denunciarli a S.E. il Prefetto».

Carne solo per i malati gravi

Anche per la carne si pone la necessità di un più rigido tesseramento.
La Giunta CLN sottolinea «la straordinaria facilità colla quale i medici locali rilasciano ai loro ammalati buoni supplementari». Si ravvisa allora la necessità che «i sanitari rilascino tali buoni esclusivamente agli affetti da tubercolosi, diabete e casi eccezionali. I buoni mensili non devono superare il numero di 25 per ogni sanitario».
L’8 maggio il CLN stabilisce di «requisire settimanalmente i capi bovini necessari per la distribuzione di carne alla popolazione civile» e «il grasso che di volta in volta viene ricavato dalla macellazione dei bovini sia raccolto e conservato onde poterlo distribuire alla popolazione civile in ragione di 25 gr. pro-capite».

Le sorelle Pierina e Angela Oberto nella macelleria del fratello Santino di via Palestro.
Il cartello indicava la quantità di carne razionata che si otteneva settimanalmente con la "tessera" annonaria.

Gli sfollati da Torino

Uno dei problemi dei Comuni della Cintura era costituito fin dall’estate del 1940 dall’arrivo massiccio di famiglie da Torino sfollate per evitare i bombardamenti degli Alleati. Si calcola che, su 3.513 abitanti, vi fossero circa 3.000 sfollati con un notevole pendolarismo da e per Torino di chi lavorava nel capoluogo e aveva avuto la casa distrutta o temeva di soccombere sotto le bombe che periodicamente di notte colpivano i quartieri dove vi erano fabbriche, stazioni e infrastrutture di carattere sociale. La popolazione di Piossasco era quasi raddoppiata. Gli sfollati trovarono ricovero provvisorio anche in una sola camera. Numeri ufficiali non ve ne sono: occorre rifarsi alla popolazione residente nelle due parrocchie di Piossasco: secondo i due Bollettini a San Vito vi erano 1.200 abitanti e nel territorio di San Francesco 2.313.
Secondo uno studio condotto dagli allievi del liceo “Pascal” di Giaveno nel 1982 a Piossasco nel novembre 1942 vi erano 3.709 residenti di cui 2.379 sfollati: un aumento della popolazione del 64,1%. Moltissimi sfollati si spostavano ogni giorno per lavoro a Torino, con la “corriera”, con il trenino da Orbassano o da Bruino o in bicicletta. I numeri non concordano, resta però l’entità degli arrivi e l’aumento dei generi di prima necessità (pane, farina, latte e una volta al mese la carne) necessari per tutti gli abitanti
Dopo la Liberazione progressivamente queste famiglie ritornarono a Torino o nei dintorni conservando spesso ricordi e amicizie con le famiglie di Piossasco che avevano affittato loro un piccolo spazio.
Per gli studenti torinesi residenti temporaneamente a Piossasco si tenta dal 1940 di aprire una scuola superiore regolare parificata autorizzata ad insegnare le materie delle medie e delle superiori ad una ventina di giovani studenti che rischiavano di perdere l’anno. Ma l’idea non si concretizza nonostante gli sforzi e l’impegno dei signori Sertorio, Segalin, Schaeffer di San Vito e della maestra Ester Germena, segretaria del fascio femminile. Si rimedia facendo venire un sacerdote da Torino e si prestano alle lezioni alcune professoresse anche loro sfollate. Nel marzo 1943 la casa madre torinese delle suore della SS. Trinità è rasa al suolo da un bombardamento alleato.
Le madri si spostano a Piossasco e aprono una scuola media religiosa parificata nella villa del Cav. Sertorio perché all’elementare Umberto I non c’è posto. Non mancava il catechismo per i figli degli sfollati con lezioni di un’ora ogni giorno e gli esami finali sostenuti davanti al Vicario.

Militari del Sud sbandati
sfollati alle Prese di Sangano

A dimostrazione di quanto fossero numerosi gli sfollati nella nostra zona (circa 3.000 solo a Piossasco su una popolazione di 3.503 abitanti) va citata la loro presenza anche nella frazione di montagna delle Prese di Sangano che dista qualche centinaio di metri dalle Prese di Piossasco. Erano probabilmente soldati del regio esercito italiano che si trovavano nel Nord Italia o nel torinese nei giorni seguenti l’8 settembre 1943: inparte sfollati, in parte si sono avvicinati alle formazioni partigiane della zona di Giaveno, della Val Sangone e della Val Chisone. Le due borgate erano infatti un punto di passaggio e a volte di ritrovo dei partigiani. Nel Diario del partigiano piossaschese Mario Davide si parla infatti delle due frazioni. I giovani lavoravano nei campi e nei boschi presso alcune famiglie che li ospitavano: un primo esempio di accoglienza e fraternizzazione di cui si parla molto oggi ma si mette poco in pratica.
Il primo se ne andò già nel 1944, gli altri tre di cui si ha la documentazione lasciarono le Prese nel maggio del 1945. La loro foto e le semplici parole di ringraziamento sono state conservate dalla famiglia ospitante: Andruetto-Dovis.
Stefano Maria Nicoletti, nato il 3 giugno 1921 a San Pietro in Guarano (Cosenza), diplomato insegnante elementare, iscritto a Lingue all’Università Orientale di Napoli, prestò servizio militare a Bologna e a Pola in Croazia, allora italiana. Dopo l’8 settembre 1943 fu deportato dai nazisti in un lager in Germania. L’11 novembre 1943 tornò in Italia per far parte dell’esercito della Repubblica sociale di Salò. Nella primavera del 1944 fu comandante del presidio di Orbassano. Scontento di come tedeschi e fascisti si comportavano con la popolazione civile si avvicinò al movimento partigiano della Val Sangone dopo aver ritrovato, dai tempi di Bologna, il comandante Giulio Nicoletta, calabrese di Crotone e suo amico. L’incontro con Nicoletta e successivamente con il comandante Sergio De Vitis di Frossasco ma abruzzese d’origine, lo indussero a disertare l’esercito della RSI con altri suoi commilitoni. In questo “passaggio” fu aiutato e presentato a De Vitis dal vice parroco di Orbassano don Ettore Gaia, definito in seguito “cappellano dei partigiani”. Il 17 giugno 1944 lasciò Orbassano per la Val Sangone. Il 22 giugno raggiunse con altri suoi compagni De Vitis in montagna.
Scrisse nel suo diario Maria De Vitis, sorella di Sergio:” Nicoletti fu partigiano solo per tre giorni, ma morì da eroe”. Il 26 giugno il tenente Nicoletti cadde infatti ucciso dai tedeschi nel corso dell’assalto dei partigiani alla polveriera di Sangano. Con lui lo stesso De Vitis e altri cinque partigiani. Il nome di Nicoletti è scolpito nella pietra del cippo collocato sul Sentiero De Vitis a Sangano.
Sul tenente Nicoletti ha scritto un’ampia e documentata biografia Igino Iuliano, storico locale di San Pietro in Guarano. Le documentazione è reperibile dal sindaco del paese calabro.
Stefano da Pantelleria (Trapani) lasciò la famiglia Andruetto lunedì 3 gennaio 1944, dando come ricordo una sua foto da civile.E’ probabile che questo “Stefano da Pantelleria” sia il Nicoletti con un’altra identità, ma le date della sua permanenza alle Prese non collimano, anche se le foto da civile e da militare presentano una certa somiglianza. Nicoletti non ha nulla a che vedere con Pantelleria. Infatti Gaetano Busetta, ufficiale dello Stato civile del Comune di Pantelleria informa che nel 1921 nell’isola era nato un solo bambino di nome Stefano Nicolosi “del quale non possiamo confermare alcun nesso con Stefano Nicoletti”.
Resta la curiosità di conoscere il perché della dicitura “Stefano da Pantelleria” per una famiglia che probabilmente non aveva mai sentito nominare quell’isola. Forse per antifrasi, per esagerazione, essendo Pantelleria è una delle isole più lontane dalla costa italiana. E soprattutto dalle Prese di Sangano. Nicoletti aveva una cultura classica ed era iscritto a Lingue all’Università di Napoli. Le figure retoriche le conosceva bene.
Donato Falcone se ne va dalle Prese mercoledì 30 maggio 1945 scrivendo: ”Lascio il mio Ricordo lasciandovi i più cari saluti a tutti. Falcone Donato. Arrivederci. Lascio questa mia con molto piacere delle due tote (signorina in dialetto piemontese, ndr) vicine Elia –Rosina. Arrivederci affezionatissimi saluti e auguri”.
Piero Amico scrive su un biglietto:”Ricordo alla Borgata Prese di venti mesi trascorsi con armonia”.
Alfredo Lorentini. Di questo soldato si sa poco, nè si conosce la sua origine. Di lui è conservata una fotografia di gruppo che lo ritrae (forse nel 1945) alle Prese di Sangano dove fu ospite della famiglia Andruetto con Donato Falcone. Con lui (il primo a sinistra) alcuni componenti della famiglia Andruetto. L’ultimo a destra è Donato Falcone.
Non si hanno testimonianze di sfollati e di militari alle Prese di Piossasco, anche se non è da escludere la loro presenza.

 

Stefano Maria Nicoletti (S. Pietro in Guarano (Cs) 1921 – Polveriera di Sangano 1944)
Stefano Maria Nicoletti, nella foto lasciata alla famiglia che l’ha ospitato alle Prese di Sangano

 

Ricordo alla Borgata Prese
di venti mesi trascorsi con armonia
Piero Amico

 

Lascio questa mia con molto piacere delle
due tote vicine Elia Giai Merlera - Rosina Ruffino arrivederci affezionatissimi saluti e auguri
Falcone Donato 30 maggio 1945

 

Prese di Sangano, da sinistra Alfredo Lorentini, Maria Andruetto, Renato Ruffino
Elia Giai Merlera, Sergio Andruetto, Esterina Dovis e Donato Falcone

 

Piazze e vie nuove

Ad agosto ‘45 la Giunta del sindaco Boch provvede a cancellare alcune tracce del regime fascista: sono cambiate le denominazioni di vie e piazze: Piazza Regina Elena (moglie di Vittorio Emanuele III, figlia del re del Montenegro, cui era stata titolata Piazza San Vito), torna all’antica denominazione con grande soddisfazione del Vicario Fornelli, che plaude all’iniziativa dalle pagine del bollettino, in questi anni l’unica fonte di piccole notizie sulla vita sociale ed amministrativa (e spesso politica) di Piossasco.
Scrive il Fornelli già a giugno 1945, sempre molto attento alle vicende del territorio della sua parrocchia, intesa quasi come feudo ecclesiastico a se stante: «Qualcuno ha espresso un’idea che condividiamo perfettamente e che abbiamo il piacere di far conoscere alle autorità e ai parrocchiani, ed è questa: se anche a Piossasco, nella vita nuova che si è iniziata, si procederà al cambiamento al nome di alcune Vie e Piazze, sarebbe opportuno che l’attuale piazza Regina Elena diventasse Piazza San Vito. Sarà questa una giusta aspirazione popolare, che non mancherà di essere rispettata, in omaggio alla sincera democrazia». Ad agosto il suo desiderio viene esaudito dal sindaco comunista.
Via Ruata Superiore, la via storica di Piossasco a monte dell’abitato con un nome d’origine tardo latina (ruga-strada) è dedicata al partigiano Mario Davide che abitava all’altezza del numero civico 28, ucciso dai nazifascisti a Forno di Coazze in alta Val Sangone il 10 maggio 1944. Così Piazza Italo Balbo (il Quadrumviro ferrarese della Marcia su Roma, fascista, squadrista, aviatore e trasvolatore scomparso nei cieli libici di Tobruch, nel 1940) assume il nome di piazza Fratelli Ugo e Remo Baudino: la piazza era stata titolata al “Maresciallo dell’aria” il 22 ottobre 1940. Mentre via Carso diventa via Aldo Piatti.
Si legge nella motivazione: «Vie e piazze che ricordano nomi di nostri gloriosi patrioti militanti nelle file partigiane durante il periodo nazi-fascista e gloriosamente immolatisi per la causa della libertà e della rinascita della nostra patria».
Nella riunione della Giunta del 9 ottobre 1945 il Cln propose di cancellare Piazza Fiume (che ricordava l’”Impresa” quasi piratesca dei legionari di D’Annunzio nel
1919-1920) e di titolarla all’alpino piossaschese Saverio Marcante che fu catturato nel 1943 sul fronte greco dai nazisti e deportato in Germania dove morì il 4 aprile 1944 di stenti, fame e malattia in un lager per soldati internati. La proposta non ebbe seguito e non vi è più traccia nelle delibere seguenti. Rimase Piazza Fiume che oggi è condivisa con il piossaschese Michele Gallino (1925-1944) ucciso dai nazifascisti nella frazione Provonda di Giaveno il 28 novembre 1944.
Resterà fino agli anni ’80 la ridicola scritta “Roma doma” in via Pinerolo, tra il ponte sul Sangonetto e via Cruto, e “Camminare, costruire e se necessario combattere e vincere”, visibile ancora oggi in via Pinerolo sul retro dell’ex Casa Silvani.
Occorrerà aspettare gli Anni ’60 per avere via Martiri della Libertà e la fine degli Anni ’70 per via XXV Aprile”, via Vittoria Nenni, via Giovanni Boch e le piazze Partigiani e Michele Gallino. La scuola media titolata a Ferruccio Parri, (1890-1981), capo partigiano, membro del CLN Alta Italia e primo presidente del Consiglio dell’Italia liberata da nazifascisti, fu costruita nel 1981.

 

La stazione di Piossasco poi casa del Fascio e Dopolavoro:
si affacciava in piazza Italo Balbo, poi denominata piazza fratelli Baudino

La stazione di Piossasco in via Pinerolo con un piccolo treno merci in arrivo
In altro all'altezza del tetto è visibile uno dei castelli di Piossasco

Il Parco della Rimembranza per i caduti piossaschesi nella prima guerra mondiale e nelle guerre d'Africa. Si trovava a ridosso della stazione ferroviaria (Torino-Piossasco-Cumiana-Pinerolo) tra Via Trieste e Via Aldo Piatti. Sulla sinistra l'ex stazione, al centro la futura via Trieste. Visibile la colonna spezzata, i paletti in ferro con le targhette dei nomi dei caduti. Nel 1946-1947 il Parco fu trasferito in via Nino Costa davanti al cimitero con l'aggiunta dei cippi dei caduti nella seconda guerra mondiale e dei partigiani. L'area era stata precedentemente acquistata dal Comune dalla ditta SAMT dell'ing. Zorzoli, con un impegno d'acquisto stipulato nell'aprile del 1945, un paio di settimane prima della caduta del fascismo repubblichino e della Liberazione.

 

Piccoli e nuovi problemi

L’Ente comunale di assistenza che forniva alle famiglie povere piccolissime somme di denaro, secondo gli assessori Giovanni Bertolotti e Mario Pautasso, «dovrebbe istituire una mensa per la distribuzione della minestra».
Macellazione clandestina: Boch sostiene (delibera del 26 giugno 1945) «che in questo Comune vi siano ancora delle persone che contrariamente agli ordini in vigore macellino e vendano clandestinamente tali carni».
Ecologia del Dopoguerra: inquinamento prodotto dal Feltrificio Subalpino di proprietà di Enrico Vagnone di Torino. La fabbrica di feltri che si trovava in via Pinerolo angolo via Trento, fu chiusa a metà degli Anni ’70 e trasferita al Bivio di Cumiana. A luglio la Giunta comunale «ritiene urgente provvedere per eliminare il fetore regnante nei dintorni del Feltrificio Subalpino». Si diffida quindi la direzione «affinché qualsiasi scarico dello stabilimento non sia riversato nel Sangonetto né mediante condutture, né mediante trasporto con botte […] onde non inquinare la poca acqua che attualmente è indispensabile all’abbeveraggio del bestiame».
A ottobre, con la ripresa delle scuole elementari, il maestro Luigi Losano richiede la cancelleria per le classi dell’Umberto I. La Giunta approva «depennando il superfluo tenendo presente di fare la massima economia possibile in considerazione dei prezzi sbalorditivi che hanno preso tali articoli e che gravano sul bilancio comunale in forma decisiva». Il maestro Losano è stato l’unico superstite dell’eccidio di Cumiana del 3 aprile 1944, perché è riuscito a dire in tedesco al comandante del plotone d’esecuzione: «Non sono di Cumiana».
Abolire il mercato domenicale: è questa la richiesta di metà novembre dei commercianti fissi «onde maggiormente incrementare il mercato del giovedì». Gli ambulanti e alcuni altri cittadini sono del parere opposto e chiedono che restino i due mercati. Si tiene una riunione nel cinema teatro comunale il 16 novembre. Il sindaco Boch invita i presenti a mettere per scritto pubblicamente le loro opinioni. Intervengono Renato Balbo, Pasquale Chialvo, Erminia Gallino in Re, Mariuccia Fiora. Annota il segretario comunale: «Dall’interrogatorio di tutti i commercianti presenti all’adunanza risulta che hanno punti a loro vantaggio i commercianti fissi che richiedono un solo mercato». Il mercato della domenica sarà poi abolito, dopo aver consultato la Prefettura, il 29 dicembre perché era «solo una consuetudine formatasi in questi ultimi tempi e manifestamente illegale».

Nella delibera del Cln del 15 maggio 1945 sono elencati i panettieri con forno di Piossasco e il loro fabbisogno giornaliero di farina:
Calza kg 34
Gallo G. kg 26
Gallo M. kg 90
Lanza Emilio kg 100
Martinatto Michele kg 100
Mondino kg 30
Mosso kg 63
Vaudagna kg 72

La motocicletta del veterinario
l’auto del dottor Alfano
e quattro cavalli in arrivo

Durante i mesi della Resistenza alcuni artigiani e patrioti avevano requisito per ordine dei superiori alcune automobili (rarissime per i tempi) e motociclette. Ma anche dei cavalli da tiro e da lavoro. La moglie del dottor Silvio Silvani, medico condotto di Piossasco e Bruino, si lamentò in una lettera al figlio Gustavo del sequestro dell’auto del marito (restituita dopo il 25 Aprile un po’ malconcia) costretto a visitare i suoi pazienti in bicicletta fino a Bruino e anche qualche volta a Cumiana.
Al veterinario comunale Alfredo Mallè (spesso in camicia nera) era stata presa la moto da un piossaschese di nome Ezio Bruno. Se ne parla nella Giunta del 15 maggio. Strano: di questo Ezio Bruno non c’è traccia all’anagrafe di Piossasco!
“Il signor Bruno Ezio, già militante nelle file patriottiche, detiene tutt’oggi a casa sua la motocicletta del sanitario Dottor Mallè Alfredo –veterinario comunale- ed essendo cessati i tempi di emergenza che autorizzavano il prelievo di macchine private, deve subito ritornare la macchina prelevata al predetto sanitario salvo a comprovare a questo CLN, mediante documento rilasciato dal Comando di Piazza di Torino che deve ancora trattenere la motocicletta”. Ezio Bruno viene avvisato con una lettera del sindaco Boch.
Il 22 maggio il veicolo viene già restituito a Mallè. Per velocizzare i tempi il membro del CLN Guido Billotti (Dc) si era recato personalmente dai “comandanti delle formazioni patriottiche Fausone e Prof. Usseglio onde definire con esattezza tale questione”.
Del caso era stato consultato anche il Comandante di Divisione Adolfo Serafino (4°btg. - Corpo Volontari della Libertà) di Pinerolo che aveva messo per scritto il suo “Sì” alla restituzione.
Il prof. Guido Usseglio Mattiet di Giaveno, comandante partigiano in Val Sangone (nome di battaglia 696, dal prefisso telefonico dell’ospedale Molinette di Torino dove lavorava e dove fu poi primario) durante l’incontro con Billotti gli aveva detto che alle sedute della Giunta CLN potevano partecipare anche i partigiani locali.
E’ scritto in delibera: ”Secondo i consigli ricevuti dal Comandante Prof. Usseglio alle sedute del CLN che normalmente si svolgono la sera del martedì e venerdì possono intervenire anche i partigiani locali e far qualsiasi obbiezione in merito. I convenuti approvano la suddetta proposta e rilevano che, mentre le osservazioni che avvengono in sede di adunanza sono tutte legittime, qualsiasi mormorazione fatta contro il CLN fuori delle adunanze deve considerarsi arbitraria e sollevata esclusivamente da persone amanti del perturbamento della pubblica Amministrazione”.
Nelle delibere seguenti non sono però citati eventuali partigiani locali presenti alle riunioni del CLN.
Al dottor Francesco Alfano, Ufficiale sanitario, non fu requisita dai partigiani la vettura ma ancora a fine maggio ’45 non poteva usarla ed era ancora nella rimessa di Via Cruto. Mancanza di carburante? I motivi non sono specificati. Alfano viene ricevuto dalla Giunta CLN il 29 maggio. Verbalizza l’incontro il segretario comunale Guerrera.
“Viene ammesso all’udienza il dottor Alfano il quale invita cortesemente il CLN locale a volersi interessare presso i competenti uffici della Provincia onde possa avere un’autorizzazione a circolare con la propria autovettura e nello stesso tempo rappresenta l’opportunità che pure sia richiesta l’autorizzazione per la circolazione di una vettura ad uso noleggio da adibirsi esclusivamente al trasporto degli ammalati gravi”.
Alfano coglie poi l’occasione di chiedere al CLN “di poter assistere all’ospedale San Giacomo eventuali suoi clienti che intendessero farsi ricoverare all’ospedale predetto a pagamento come viene fatto negli ospedali e cliniche di Torino a pagamento dove è lasciata ampia facoltà ai degenti di farsi curare dai loro medici abituali”.
Il CLN assicura Alfano “che tali suoi desideri troveranno l’appoggio del CLN locale in riferimento alle attuali disposizioni di legge e norme in vigore”.
Non solo motociclette e auto ma anche cavalli requisiti durante la Resistenza stanno tornando a Piossasco.
“Pregasi voler incaricare il locale CLN per il ritiro a Chivasso (…) numero due equini assegnati a Piossasco per consegnarli ad agricoltori maggiormente danneggiati da requisizione quadrupedi. Necessita provvedere”: così ha deciso un non meglio identificato Ufficio Zootecnia. I due cavalli sono assegnati dal sindaco Boch all’azienda Fratelli Peretti e l’altro a Canalis Giovanni Marcello “i quali ne restano esclusivamente depositari e non proprietari e rispondono di questi quadrupedi direttamente all’Autorità Militare o che per essa”.
Qualche giorno dopo il Comando FF.AA. della Piazza di Torino scrive al sindaco Boch avvisandolo dell’arrivo di altri due cavalli: uno assegnato all’azienda agricola Fratelli Lorenzo e Bartolomeo Marchisio della Cascina Fernesa “per la grande estensione delle giornate da coltivare” (allora erano 125 in un unico appezzamento, ndr) e l’altro al signor Germena Arturo “la cui famiglia è stata gravemente provata durante un bombardamento aereo dello scorso mese di luglio 1944”.

Rinasce la vita politica

Dal Vicario si parla della Democrazia Cristiana

Nel luglio 1945 il Vicario di San Vito tiene per giovani e adulti tre conferenze che definisce «adunanze», al sabato alle 21.15 cui possono partecipare «tutti gli uomini della parrocchia».
Scrive il Fornelli: «Nei due mesi passati, in alcune adunanze, si è parlato agli uomini e alle donne di Democrazia. Naturalmente si è parlato di democrazia Cristiana, cioè di quella che sola è vera democrazia secondo i principi cristiani del Vangelo. […] Questo è certamente il migliore di tutti i partiti, il più consono ai sentimenti del popolo cristiano di Piossasco». E prosegue. « É chiaro che i nostri parrocchiani non possono aderire né al comunismo né al socialismo, i quali hanno per programma di togliere a tutti la proprietà dei beni per darla allo stato».
Domenica 19 agosto a San Vito si organizza una giornata per ricordare i morti della guerra appena finita. Sono invitati gli ex militari, i partigiani, i reduci dalla prigionia in Germania e dai fronti. Messa cantata con esequie solenni in suffragio dei caduti e dei partigiani.

Si organizza il Partito comunista

Dopo il 25 luglio 1943 (caduta di Mussolini), si tengono a Piossasco e a Orbassano, le prime riunioni clandestine di chi si riconosce nel Pci. Riportiamo alcune testimonianze di due piossaschesi che nel 1982 erano stati intervistati dagli studenti del liceo “Pascal” di Giaveno che avevano condotto una ricerca su “Guerra e Resistenza in Val Sangone”. Gli studenti avevano diviso i fascisti in alcune categorie in base alle testimonianze raccolte: i fascisti onesti, fascisti prevaricatori, fascistoni, fanatici. «Per ogni centro della Val Sangone sono pochi i nomi che vengono indicati come veri antifascisti, sono però nomi circondati da profondo rispetto e ammirazione».
Luigi Garello, partigiano di Piossasco, esponente del CLN: «Dopo il 25 luglio 1943 cominciarono ad organizzarsi i partiti. A Piossasco vi furono le prime riunioni: mi ricordo la prima riunione pubblica alla quale io partecipai come Partito comunista. Era un’assemblea cui partecipavano tutti quelli che la pensavano così: una parte si era già iscritta durante il periodo clandestino, un’altra si era poi iscritta in quel periodo lì. La cosa era libera e così ci organizzammo anche se i partiti non erano ancora riconosciuti legalmente».
Giuseppe Piatti (Notu), della Giunta del sindaco Boch: «È stata una bella cosa la guerra partigiana, una cosa spontanea, una guerra sentita proprio. Non è che andasse per interesse, andava per ideologia, per combattere i fascisti, per combattere una dittatura che era insopportabile».
Le riunioni clandestine avvenivano a Orbassano da Luigi Maddalena, un impiegato alla RIV di via Nizza a Torino che fungeva un po’ da coordinatore delle brigate partigiane Garibaldi del torinese. Lavorando a Torino non destava sospetti nei fascisti e nei tedeschi il suo continuo via vai tra Orbassano e Torino. Iscritti e simpatizzanti provenivano da Coazze, Giaveno, Trana, Reano, Sangano, Villarbasse, Rivalta, Piossasco, Cumiana, Volvera e None. Dicono Luigi Garello e Giuseppe Piatti che parteciparono alle riunioni: «Gli antifascisti si portavano le bocce e poi andavano lungo la strada del cimitero di Orbassano e fingendo di giocare a bocce prendevano accordi. L’ultima riunione da Maddalena avvenne nel febbraio del ‘45».

 

Si forma la Giunta municipale

In seguito ad una circolare (12615 Div. Gab.) del 24 agosto 1945 il sindaco e il CLN devono provvedere alla nomina della Giunta Comunale Provvisoria in attesa delle elezioni amministrative che saranno fissate il 31 marzo 1946. Il CLN esce parzialmente di scena e alcuni suoi esponenti entrano in Giunta. Ritornano gli assessori. La formazione del CLN e della Giunta, al contrario di quanto in genere si crede, non fu contestuale. Così a Piossasco, ma anche in molti altri Comuni per alcuni dei quali vi fu una vera e propria ingiunzione del Prefetto e del Ministero dell’Interno a formare la Giunta. Quella di Piossasco era così costituita nella sua prima versione: Giovanni Boch (Pci), sindaco; Cesare Lovera (Pd’A), vicesindaco, farmacista; Mario Pautasso (Psi), assessore; Michele Elia (Dc), assessore; Giovanni Bertolotti (Pd’a), assessore supplente; Sante Lazzeris (Pli), assessore supplente.
Vi è dunque una certa osmosi tra CLN e Giunta, indice che i ruoli (politico del CLN, amministrativo della Giunta) non erano ancora ben definiti.

Il 24 novembre in seguito alle dimissioni del vicesindaco Cesare Lovera, viene effettuato un rimpasto nella Giunta. Boch resta sindaco, Michele Elia (Dc) è vicesindaco; Michele Ramassotto (Psi) membro, Giovanni Bertolotti (Pd’a) membro; Giuseppe Piatti (Pci) membro; Sante Lazzeris (Pli) supplente e Antonio Borgi (Pci) supplente. Sono spariti gli assessori e compaiono i «membri».

É significativo che le dimissioni del vicesindaco Lovera, rappresentante del Pd’A siano comunicate il 24 novembre 1945, lo stesso giorno delle dimissioni quasi “indotte” di Ferruccio Parri da presidente del Consiglio dei ministri. Da tempo il Governo dell’ex comandante partigiano Parri nato a Pinerolo (Dc, Pci, Psi, Pli. Pd’A, Pdl) era considerato una formula superata e troppo legata al cosiddetto “vento del nord” in una Roma legata alla grande burocrazia, all’aristocrazia nera, al Vaticano, all’esercito, alla monarchia e ad un impianto ammnistrativo ancora di stampo fascista e scarsamente filo resistenziale. Forse Lovera, che poi lascerà Piossasco per Torino, capì che che il Pd’A non aveva più spazio come partito d’opinione e poco strutturato sul territorio nazionale, anche se nel movimento di Liberazione dal nazifascismo aveva avuto un ruolo non secondario collegato alle formazioni di “Giustizia e Libertà”.

“C’è il pericolo che la falce si sgiunga dal martello”

In un periodo, ad un mese circa dalla Liberazione, in cui era difficile capire come comportarsi ed agire in modo corretto ma efficace, i CLN locali si trovarono ad un convegno al Teatro Carignano di Torino il 24 maggio. Le informazioni erano rarissime, spesso confuse e contraddittorie, per lo più giungevano dalla Prefettura i cui vertici erano stati “defascistizzati” (Prefetto il socialista Passoni, Questore Agosti del Pd’A) ma quasi tutto l’apparato era ancora in camicia nera o l’aveva appena cambiata più per convenienza che per convinzione. Sentire quelli che erano gli orientamenti prevalenti che il CLN di Torino e della Provincia indicavano era più che mai opportuno. Al convegno al Carignano intervenne il sindaco di Torino Giovanni Roveda (Pci).
Per il CLN di Piossasco partecipò il vice sindaco Cesare Lovera che relazionò poi in Giunta con un i intervento scritto su foglio di carta bollata. La giunta approvò.
Scrisse il vice sindaco Lovera:”I CLN di base dovrebbero essere formati da un membro per Partito e funzionano per questioni politiche integrandosi in Giunta con i rappresentanti delle organizzazioni di massa nel trattare questioni amministrative”. Lovera preannuncia che uno speciale corpo di ispettori, che ha sede a Torino a Palazzo Cisterna di via Maria Vittoria visiteranno i vari CLN.
“Il sindaco Roveda annuncia il pericolo che la falce si sgiunga dal martello sostenendo che i contadini non hanno colpa perché abbandonati alla deriva dal passato regime (fascista)”. Alcuni contadini presenti dicono che “collaboreranno purchè si venga loro incontro con la distribuzione di concimi e di macchinari agricoli, si riveda i prezzi del grano e del bestiame perché con i prezzi attuali (i contadini) non sono in grado di comprarsi il vestiario. Chiedono che prima di svestire loro della camicia si tolga prima la pelliccia al ricco signore. Roveda elogia ed auspica che i comitati dei contadini sorgano ovunque perché i contadini sappiano difendere i loro interessi e partecipare all’amministrazione comunale”.
Quindi Roveda “incita i paesi agricoli ad aiutare la città con contributi in natura”.
Problema casa e sfollati: i CLN locali dovranno far pervenire ogni mese l’elenco dei vani che si rendono liberi per il ritorno degli sfollati a Torino e per dare una sistemazione, in vista del prossimo inverno, a quelle famiglie che hanno avuto la casa distrutta dai bombardamenti.
Nei giorni precedenti il CLN di Piossasco aveva su iniziativa del sindaco ordinato la requisizione presso la Villa Lajolo a San Vito di camere “il cui proprietario ha a disposizione gran numero di locali per sistemare famiglie partigiane residenti in questo comune ed attualmente sprovviste di alloggio”. Viene istituito un apposito registro sul quale sono annotati gli sfollati che si presentano in Municipio per ottenere il visto per traslocare i loro mobili da Piossasco a Torino “onde avere un elenco dei locali che man mano vanno rendendosi liberi”. Secondo un calcolo del Vicario di San Vito (già citato) a Piossasco su 3513 abitanti vi erano circa 3000 sfollati.
Quindi “si provvede all’ ordinanza nei confronti di Villa Lajolo e si avvisano i proprietari di Villa Carlotta (Avvocato Alzona), di Villa Meinardi (Dottor Meinardi) e di Villa Podio (Eredi Podio) di tenere i locali disponibili a disposizione di questo CLN”.
In coda al convegno torinese si parla dell’epurazione. Secondo Lovera “il CLN regionale non dà esaurienti schiarimenti e spiegazioni sia anche perché l’ordinanza degli Alleati n. 35 limita la materia di procedura a soli tre articoli: statali – parastatali e ditte di interesse pubblico, vi sono quindi ambiguità (su) cui il CLN è perplesso ed in questi casi è necessario perché l’epurazione si faccia e giustamente (che) il popolo esprima il suo giudizio attraverso la denuncia documentata che è necessaria, perché altrimenti non si può procedere”.
Sulla riunione al Carignano l’edizione piemontese de “l’Unità” riferisce in un dettagliato articolo (non firmato) su sette colonne più una foto. Dopo il 25 Aprile i quotidiani avevano solo due pagine per mancanza di carta e a Torino vi era solo “l’Unità” perchè La Stampa e la Gazzetta del popolo, compromesse con il fascismo e convinte collaborazioniste con i nazisti erano state chiuse temporaneamente dal CLN.
Citiamo dall’articolo.
Il professor Franco Antonicelli (Pli) coordinava l’incontro. Con lui sul palco vi era il sindaco di Torino Giovanni Roveda (Pci), il prof. Paolo Greco (Pli), l‘avv. Amedeo Ugolini (Pci), il dottor Alessandro Galante Garrone (Pd’Az), il dottor Giorgio Montalenti (Psi), l’avv. Eugenio Libois (Dc).
Roveda affronta il rapporto tra città e campagna, tra operai e contadini, della borsa nera, della mancanza di alloggi, del ritorno degli sfollati in termini sostanzialmente simili a quelli descritti da Lovera.
Si cerca anche di fare chiarezza tra le competenze, i rapporti e i ruoli tra i vari CLN locali e provinciali, i CLN comunali, le Commissioni interne delle fabbriche e i comitati di agitazione. Nel pomeriggio il tema centrale è l’epurazione e l’attività del Tribunale militare che commina condanne a morte ai fascisti dagli inizi di maggio. Sull’argomento il CLN provinciale dà alcune indicazioni alquanto vaghe, citate nella relazione di Lovera, anche se confortate dagli interventi del giovane professor Alessandro Galante Garrone (1909-2003) che diventerà un eminente costituzionalista, storico, scrittore, magistrato e considerato uno dei padri fondatori della Repubblica.

Alessandro Galante Garrone a metà anni '40

Che nella Giunta del sindaco Boch (Pci) e nel Cln locale non tutto filasse d’amore e d’accordo lo si può dedurre anche dalle dimissioni (poi rientrate) dello stesso Boch ai primi di dicembre 1945. Si stanno allontanando e divaricando due gruppi politici all’interno della Giunta e del Cln locale: da una parte la Dc e il Pli e dall’altra il Pci, il Psi e il Pd’A. Sono questi ultimi partiti, colonne della Resistenza, sono stati poi rifiutati dagli elettori alle Comunali del marzo del 1946. La loro autoinvestitura nell’Aprile del 1945, al momento del passaggio dalla dittatura al futuro sistema democratico, fu sconfessata dagli elettori.
Il Pd’A sparì a Piossasco come presenza politica. Giovanni Bertolotti fu l’ultimo rappresentante nel Cln. Nella Giunta comunale Lovera non fu nemmeno sostituito.
A conferma che il Pd’A a livello nazionale aveva perso la sua funzione fu il deludente risultato delle elezioni per la Costituente del 2 giugno 1946. Il partito di Parri raggiunse appena l’1,5% dei voti con 7 eletti.

Ritocchi anche nel CLN. Al 13 dicembre risultava così costituito: Eligio Andruetto (Pci); Guglielmo Davide (Psi); Felice Carpinello (Dc); Giovanni Bertolotti; Ignazio Gino (Fronte rurale); Giovanni Cattanea (Ex Internati); Felice Dezani (Anpi); Vittorio Montaldo (Fronte rurale). Assente il rappresentante del Pli.
Il nuovo CLN «dopo ampie discussioni» delibera di nominare la sua Giunta che risulta così formata: Michele Elia (Dc), Giuseppe Piatti (Pci), Michele Ramassotto (Psi), Battista Andreis (Dc), detto “Batistot”, futuro sindaco dopo le elezioni amministrative del marzo 1946. Membri supplenti: Francesco Sibona (Psi) e Angelo Dezani (Pci).

“Comizio” nel teatro comunale

Il 24 ottobre la Giunta e il CLN indicono «un pubblico comizio» nella sala del teatro comunale (ora sede dell’Ufficio tecnico). Ordine del giorno: prezzo del latte e del burro, ricostruzione dei ponti distrutti dai tedeschi in ritirata. La «dettagliata relazione introduttiva è presentata dal prof. Valentino Carpinello (Pci) su quanto è stata fatto dalla Giunta e dal CLN nel mese in corso per la fornitura di latte e burro. Carpinello espone un progetto per la fornitura a partire dal 1° novembre. Elia sviluppa maggiormente l’argomento. Dopo di che il sindaco Boch invita la cittadinanza - uno per volta - a prendere la parola per esporre i propri punti di vista».
Nel verbale, redatto dal segretario Guerrera, di questa piccola consultazione popolare si legge: «Parlano in proposito diversi cittadini (operai e agricoltori) fra cui particolarmente da segnalare: Luigi Benedetto, Cornelio Bruno, Felice Lovera, Bruno Pautasso, Casimiro Paviolo, Giovanni Valinotti i quali espongono idee e progetti per una migliore risoluzione dei problemi. Viene eletta una commissione di operai e agricoltori incaricati dello studio del progetto onde riferisca alla Giunta Comunale e al CLN. La commissione è così composta: Luigi Benedetto, Eligio Andruetto, Enrico Confalonieri operai; Virgilio Spesso, Silvio Bruno, e Alfonso Camandone agricoltori».

Valentino Carpinello, consigliere comunale Pci dal 1946 al 1951. Carpinello era nato a Piossasco nel 1914. Si è poi trasferito a Novi Ligure (Al) dove ha insegnato ed è stato preside di scuola media. Iscritto al Pci dal 1945 uscì dal partito negli anni ’50 al tempo della “Questione di Tito”, quando il leader jugoslavo era stato “condannato” politicamente da Mosca perché poco allineato alle posizioni del Cremlino, perseguendo poco per volta una sua politica di autonomia politica dall’Urss. Negli Anni ’60 sarà di nuovo consigliere comunale, ma a Novi Ligure per il Psdi.

Il cinema-teatro comunale di Piossasco si trovava al pian terreno del municipio dove adesso vi sono gli uffici dell'Urp. Aveva la galleria e la platea e si accedeva dalla piazza del Comune. Il pubblico qui riprodotto era convenuto per assistere ai festeggiamenti per la nomina a Cavaliere dell'ex sindaco Dc Michele Elia. Era il 25 novembre 1956.

Tra il pubblico molti hanno riconosciuto in galleria, in alto a sinistra, il signor Marta, la maestra Giorda Margherita e la figlia del signor Marta. In platea molti esponenti dell Dc piossaschese di allora. (Foto archivio Teresa Elia Mola)

Altra prospettiva della galleria: in piedi in alto a destra spicca Mario Ghivarello, guardia comunale. (Foto archivio Teresa Elia Mola)

 

«Il ponte vecchio lo costruiscano i fascisti coi loro denari»

Altro argomento del “comizio” del 24 ottobre:la ricostruzione del ponte sul Sangonetto in piazza Fiume. Il vice sindaco Cesare Lovera (Pd’A) «fa presente che causa la situazione finanziaria del Comune sarebbe stato impossibile procedere alla costruzione del ponte dandolo in appalto a ditte private, per cui la Giunta municipale si è trovata nella dura ma imprescindibile necessità di ricorrere alla prestazione gratuita della manodopera locale, ricorrendo esclusivamente all’acquisto del materiale strettamente indispensabile».
La direzione dei lavori fu affidata al geometra Walter Cruto (discendente dell’inventore della lampadina elettrica) e i lavori furono eseguiti dai Cruto stessi, impresari edili. Il vice sindaco Cesare Lovera «invita la popolazione tutta a collaborare coll’Amministrazione onde tale realizzazione sia presto un fatto compiuto, e fa presente la necessità di non dare ascolto a voci tendenziose messe in circolazione da soliti elementi trovanti a ridire in ogni atto o cosa della civica amministrazione».
Aggiunge Guerrera: «Alcuni cittadini rivolgono interpellanze perché si proceda alla costruzione del ponte coll’obbligare gli appartenenti al disciolto Partito Fascista e con i loro denari».
Il ponte fu inaugurato il 17 marzo 1946, due settimane prima delle elezioni comunali. Il progetto fu offerto gratuitamente dal geometra Sterratrice.
«Come siamo stati uniti tutti in quest’opera di utilità comune, così lo saremo sempre quando si tratterà di procurare e difendere il bene del nostro paese e del nostro popolo. Il nuovo ponte sarà dunque il simbolo della nostra unità fraterna», annota il parroco Gianolio presente all’inaugurazione, per benedire l’opera che diventa il simbolo di una ritrovata «unità fraterna».

 

Il ponte vecchio come era stato ristrutturato nel 1946
Nel corso di una pubblica assemblea nell'ottobre del 1945 molti piossaschesi chiesero al sindaco Giovanni Boch che il ponte fosse ricostruito dai fascisti con i loro denari

 

Dimissioni di Boch, poi rientrate.
Nuovo CLN locale, nuova Giunta

Il sindaco ai primi di dicembre si dimette. Tre sono i motivi che si possono ricavare dalle delibere di quel periodo. Il sindaco desiderava collocare una lapide ricordo intestata al Comune di Piossasco all’ossario di Forno di Coazze, nelle vicinanze del luogo dove era stato ucciso dai nazi fascisti il partigiano Mario Davide. Proposta non accettata. Quindi i problemi sollevati dalla ricostruzione del “Ponte vecchio” in piazza Fiume. Infine la gestione delle imposte di consumo suscitano accese polemiche, ma secondo la Giunta si tratta solo di «dicerie del popolo». Il CLN riconferma la fiducia a Boch fino alle elezioni comunali del marzo 1946.
Nel frattempo si apportano alcuni ritocchi alla composizione del CLN locale e alla Giunta guidata da Boch.
A metà dicembre 1945 il CLN di Piossasco risultava così costituito: Eligio Andruetto (Pci), Guglielmo Davide (Psi), Felice Carpinello (Dc), Giovanni Bertolotti (Pd’A), Ignazio Gino (Fronte rurale), Giovanni Cattanea (rappresentante Ex Internati), Felice Dezani (Anpi), Vittorio Montaldo (Fronte rurale).
La seconda Giunta di Boch era formata da Michele Elia (Dc), Giuseppe Piatti (Pci), Michele Ramassotto (Psi), Giovanni Battista Andreis detto Batistot (Dc), Francesco Sibona (Psi), Angelo Dezani (segretario della sezione della Società operaia di mutuo soccorso, Pci).

 

Giovanni Battista Andreis (Dc), sindaco dal 7 aprile 1946 al 2 marzo 1947


Accuse al segretario comunale
Guerrera lascia, arriva Arbia

Il 1946 inizia con «gravi accuse» rivolte al segretario comunale Guerrera, quel funzionario che aveva stilato la prima delibera dopo la Liberazione : «Incipit vita nova». La Questura invia a gennaio al sindaco Boch una lettera ricevuta da un anonimo nella quale «si formulano gravi accuse al segretario Guerrera». Lo stesso fa rilevare alla Giunta che tutti i mandati di pagamento sono però regolari. Decisione della Giunta:«Esaminati i precedenti mandati, ne riscontra la perfetta regolarità […] e constata che sono prive di qualsiasi verità certe insinuazioni di elementi irresponsabili locali abituati solo e sempre a malignare sull’operato di questo o di quello amministratore». Sindaco e assessori dispongono di sporgere querela al Procuratore di Stato di Torino «perché questi continui scrittori di lettere anonime siano una buona volta serviti a dovere». Guerrera non rimarrà comunque ancora molto a Piossasco: il 16 marzo 1946 arriva un nuovo segretario comunale: Giovanni Battista Arbia, il primo roccanovese giunto a Piossasco dove negli anni seguenti, chiamati e aiutati da Arbia, arriveranno via via moltissimi lucani che formeranno a Piossasco una folta comunità di 498 persone.
(Dati del 2015).

Arbia era però nato a Filadelfia negli Stati Uniti (21 gennaio 1911) dove i genitori erano immigrati a fine ‘800. La sua nascita fu però trascritta nel Comune di Castronuovo Sant’Andrea. Arbia venne in Piemonte e si sposò a Valprato Soana con Matilde Ranieri nel 1939. In seguito ad una faida interna alla Dc e ad una crisi della Giunta Dc di Giuseppe Andruetto si trasferì a Ceres nel 1959. Morì nel 1972. É sepolto a Piossasco.

 

Fotografia scattata durante il pranzo per festeggiare il conferimento del titolo di cavaliere all'ex sindaco Elia il luogo è l'ex ristorante Pagoda di via Pinerolo 142.
In alto a destra, in piedi, il segretario comunale Giovanni Battista Arbia, primo roccanovese giunto a Piossasco , che succedette a Pasquale Guerrera. Accanto a lui di profilo Alverio Camisasso della parrocchia di San Francesco, in primo piano, seduto al tavolo, il dott. Francesco Alfano ufficiale sanitario di Piossasco, accanto , di spalle in piedi, l'allora sindaco Giuseppe Andruetto.

 

Lista dei fascisti per i CC

Il 13 luglio si fanno vivi i «Regi Carabinieri di Orbassano» che chiedono al sindaco Boch «di stilare l’elenco di ex gerarchi fascisti e di coloro che come fascisti hanno ricoperto cariche pubbliche e svolto attività politica dal 28 ottobre 1922 in poi». L’elenco non è però allegato alla delibera della Giunta CLN.

Fascisti a Piossasco

Esiste una rara e sporadica documentazione sui piossaschesi che furono a capo del Fascio locale e ricoprirono cariche politiche di un certo rilievo durante il regime. Ma a volte viene in aiuto il Bollettino dei Vicario.
Non è rintracciabile la lettera del Cln dell’estate del 1945 in risposta alla domanda dei Carabinieri di Orbassano che chiedevano l’elenco dei fascisti più in vista per procedere ad un’eventuale epurazione.
Il più conosciuto fu senz’altro il podestà Luigi Boursier. Oltre che nelle delibere del Comune, Boursier è citato anche in un volantino della “Musica e del Dopolavoro” in occasione della festa patronale della Madonna del Carmine del 17 luglio 1938 – Anno XVI rivolto “Agli illustrissimi signori presidenti Boursier geom. Luigi podestà e a Fenoglio Michele segretario del Fascio”.
Si tratta della tradizionale dedica alla Beata Vergine del Carmine che si pubblicava ogni anno. La Banda musicale di Piossasco cercava di captare la benevolenza delle due maggiori autorità perché il Fascio di Piossasco nel 1927 aveva già costretto le due bande allora esistenti ad unificarsi, bon gré o mal gré. Sembra che uno dei due complessi fosse timidamente antifascista e l’altro più vicino alla retorica mussoliniana. L’Alta Italia e la Piossaschese “finirono per politicizzarsi più per effetto dello schieramento politico dei loro protettori che per un’effettiva adesione dei musicanti all’uno o all’altro partito (fascista e socialista, ndr). Così l’Alta Italia diventa la “banda fascista”. Lo scrive Daniele Jallà in “La Musica. Storia di una banda e dei suoi musicanti”, 1980.

Festa Patronale della Beata Vergine del Carmine

La locandina, grondante di vuota retorica, con la preghiera alla Vergine così recita:
“In nome della Donna cui denominazione mai fu data più bella si rinnovi in ogni cuore, nel giorno sacrato, l’inno augurale delle imprese di amore e di gioia.
Qual’ è la pace che la melodia effonde se l’anima ride o piange, tal è l’offerta dell’Armonia, bianca messaggera significatrice delle più forti opere.
I voti e le preghiere della riconoscenza rispondono alle attenzioni dei beneficanti. Voti e preghiere perché negli animi sempre gioisca libero il Mondo.
La Musica del Dopolavoro”
Nell’ottobre del 1933, in occasione dell’inaugurazione sotto il portico del municipio di una lapide dedicata ad Alessandro Cruto è stato pubblicato l’elenco del Comitato d’onore costituito per i festeggiamenti. Si trovano molti nomi di docenti dell’Università non solo di Torino e di studiosi di “elettrotecnica”. Poi in ordine gerarchico le autorità locali, sia istituzionali, sia fasciste che comunque coincidevano quasi sempre.
In ordine d’importanza:
il comm. Rag. Pietro Bruno podestà di Piossasco e segretario politico
Andrea Baldanza, segretario comunale
Fenoglio C.M. Aldo, comandante del Fascio (che alcuni piossaschesi chiamavano Panuc, con la c finale di ciliegia)
Lantelme Eugenio, maestro e presidente Opera Nazionale Balilla di Piossasco
Mallè dott. Alfredo, presidente Associazione Combattenti di Piossasco.
Seguono, nel lungo elenco, alcuni piossaschesi presidenti di associazioni e sodalizi che molto probabilmente fascisti convinti non erano ma che avevano accettato la carica (simbolica e senza compensi) un po’ per spirito di servizio e un po’ per quieto vivere.
Tra questi:
Giovanni Balbo, conciliatore di Piossasco
Renato Balbo, fiduciario dei commercianti
Bessone cav. Uff. Giuseppe, Presidente Congregazione di Carità
Giovanni Botttallo, fiduciario sindacato dell’agricoltura
Costanzo Carbonero, presidente Società Mutuo Soccorso “A.Cruto”
Crescio dott. Attilio, farmacista di Piossasco
Cruto geom. Valter, capogruppo associazione nazionale alpini
Franceschini maestro Carlo, fiduciario sindacato industria di Piossaasco
Frigeris Anselmo, fiduciario degli agricoltori di Piossasco
Massimo Costanzo, presidente società mutua piossaschese
Valfrè Isidoro, presidente Società Operaia di Piossasco

Due sicuramente non vestirono la camicia nera fascista, pur ricoprendo una posizione pubblica di prestigio (per i tempi): Francesco Alfano, ufficiale sanitario, e Silvio Silvani, medico condotto di Piossasco e Bruino.
Per Alfano vi è una foto eloquente. Nel 1931, il giorno della visita del Principe Umberto di Savoia e della consorte Maria Josè del Belgio a Piossasco all’allora Ospedale San Giacomo vi sono gli invitati di riguardo, quasi tutti i camicia nera e fez. Il dottor Alfano, in primo piano, spicca per la sua camicia bianca.
Idem per il Vicario di San Vito don Fornelli e il parroco di San Francesco Carlo Gianoglio.
Nel gennaio del 1938, sempre il Vicario, scrive che in occasione della Befana fascista si sono recati all’asilo di San Vito a portare le caramelle ai bambini “la segretaria dei Fasci femminili con il gerarca dott. Mallè” che era stato promosso da presidente dell’Associazione combattenti a “gerarca”. Alfredo Mallè, veterinario, torna di nuovo alle cronache nell’estate del 1945 quando, non più in camicia nera, si rivolge al sindaco del Cln di Piossasco per riavere la sua motoretta che i partigiani gli avevano sequestrato. "La moto gli fu restituita qualche giorno dopo. La teneva un piossaschese che però non risultava essere stato mai iscritto all'anagrafe di Piossasco".

Nel settembre del 1942 il Vicario cita nel suo bollettino Renzo Paviolo, segretario politico del Fascio di Piossasco, e la maestra Ester Germena, segretaria del Fascio femminile.
Qualche mese dopo, sempre il Fornelli, riferisce che “Il nostro segretario politico, sig. Nicolò Doglio, aveva rivolto l’invito a tutte le associazioni fasciste, in cui si diceva che dopo l’inaugurazione della lapide a ricordo della fondazione dell’Impero, si sarebbe composto un corteo per recarsi nella chiesa parrocchiale di San Vito, ove a cura del Fascio si sarebbe celebrata una Messa solenne in ringraziamento e di esaltazione dell’eroico sacrificio dei gloriosi Caduti per la Rivoluzione Fascista”.

Quattro omicidi senza assassini e senza indagini

Sono ben quattro gli omicidi avvenuti a Piossasco nel 1944 e nel 1945. Uno ancora dopo il 25 Aprile, a guerra appena conclusa ma quando circolavano ancora molte armi. Omicidi con fini diversi, modalità di esecuzione differenti. Vendette, rapimenti, regolamenti di conti durante il fascismo repubblichino e l’occupazione nazista. Vittime: tre uomini e una donna. L’esecuzione è avvenuta in due frazioni di Piossasco, l’altra in centro a Piossasco. Quattro omicidi di cui nessuno fino ad oggi ha mai parlato, tranne un rapido e un po’ anonimo accenno nel libro “Storia civile e religiosa di Piossasco” del vicario don Fornelli.
Per tutti questi fatti non c’è stata alcuna indagine e non si è mai venuti a capo degli autori o degli eventuali mandanti che, peraltro, non sono mai stati ricercati. Si conoscono supposizioni e ricordi di persone che oggi hanno quasi 80 anni e che avevano sentito parlare in famiglia dei delitti in termini vaghi e spesso lacunosi. In un caso non è certa neppure l’identità della vittima alla quale è stato falsificato il nome, il cognome e l’origine.
In ordine cronologico i delitti sono stati questi: 12 luglio 1944, alle Prese di Piossasco, sono uccisi i coniugi Pancrazio Luigi Garello e Clementina Usseglio-Nanot.
25 novembre 1944 (data presunta). Viene ucciso Dante Martinotti nella frazione Allivellatori di Piossasco. Il corpo è dissepolto (dai famigliari?) il 27 giugno 1944.
10 giugno 1945. È ritrovato il corpo di Angelo Donatone in via Pinerolo angolo via Alfieri, allora Via Volvera. Alla vittima è data (da chi?) una falsa identità. Oppure aveva egli stesso documenti falsi.
Che i morti ammazzati fossero fascisti o antifascisti o collocati su una incerta linea d’ombra è difficile dirlo.
Certo era fascista Cesare Mondino, gerarca a livello provinciale che si nascose in un fienile dopo il 25 luglio 1943 (caduta di Mussolini) e di nuovo dopo il 25 Aprile.
In un cono d’ombra si può collocare Aldo Zorzoli, dirigente industriale, che si destreggiò tra fascisti, tedeschi e partigiani perché nella sua fabbrica di Piossasco si producevano pezzi per una pistola usata dai nazisti. Difficile tracciare una linea netta che separa l’adesione convinta al fascismo, anche a quello più feroce della Repubblica di Salò, dalla necessità di non esporsi per mantenere il posto di lavoro e di non avere rogne con i fascisti e i nazisti.

 

Allivellatori di Piossasco, il luogo dove nei pressi di uno stagno fu sepolto provvisoriamente Dante Martinotti.

 

Marito e moglie uccisi alle Prese

“Nel mese di luglio successe alle Prese un fatto tragico: una notte i coniugi Garello Pancrazio e Clementina furono svegliati, condotti fuori della stanza e vennero uccisi con un colpo di pistola alla nuca. Chi abbia ordinato la loro morte e perché non si è mai saputo. Anche questo fu uno di quei tanti fatti tragici che succedevano durante la guerra”: così scriveva il vicario Giuseppe Fornelli nella sua “Storia civile e religiosa di Piossasco” edita a Pinerolo da Alzani nel 1965, a 21 anni dal fatto accaduto mercoledì 12 luglio 1944, verso le ore 23,30 circa, nella casa posta in Regione Prese 1.
La denuncia di morte di Pancrazio Garello e della moglie Clementina Usseglio Nanot, nata a Giaveno il 9 giugno 1911, figlia di Vincenzo e di Giovanna Maria Gilli, non fu inoltrata al Comune dai Carabinieri di Orbassano, ma da Antonio, fratello di Pancrazio.
Fatto insolito.
I funerali si tennero nella chiesa di San Vito a spese del Comune. Marito e moglie lasciarono due figli di 9 e 11 anni. Il primo entrò appena fu maggiorenne nella Legione straniera e morì disperso in Indocina non facendo più ritorno a Piossasco; il secondo seguì gli studi professionali dai Giuseppini di Pinerolo, lavorò poi in una cascina di proprietà di quell’ente e abitò a Pinerolo nella zona della Tabona.
In quegli anni alle Prese di Piossasco, vicinissime alle Prese di Sangano, vi erano tre grandi gruppi famigliari: i Garello, i Ruffino e i Dovis, gli abitanti erano una quarantina e l’ultima famiglia lasciò la borgata montana nel settembre del 1961.
Una signora che scese a Sangano nel 1954 ricorda in un’intervista del 18 gennaio 2018 ciò che sentiva dire in famiglia:”Io ero una bambina e di certe cose non se ne parlava tanto, soprattutto con i bambini. I miei sono ricordi che emergono a distanza di più di 70 anni. Avevo percepito che ad uccidere i Garello erano stati due partigiani provenienti da Provonda, una frazione di Giaveno: non conoscevano bene le Prese, infatti furono accompagnati da una terza persona e chiesero dove abitava Clementina. Uscì anche il marito che scongiurò i due di non ucciderla perché aveva due figli piccoli”.
Questa è la tesi (non supportata da alcuna prova né da alcuna indagine) che vorrebbe i partigiani autori del duplice omicidio che apparentemente non ha un movente.
Altra ipotesi: sono stati i nazifascisti che li avrebbero uccisi a freddo perché la famiglia di lei aiutava i partigiani di Giaveno. E’ singolare però che i tedeschi si fossero avventurati di notte in una montagna che non conoscevano. Stragi e rappresaglie le compivano di giorno, spesso davanti alla popolazione inerme.
Ultima ipotesi, quasi tratta da un romanzo di guerra.
Gli Alleati anglo americani effettuavano periodicamente dei lanci notturni dagli aerei di casse con armi, vestiario e denaro per aiutare le formazioni partigiane con le quali preventivamente erano concordate le zone di atterraggio in pianura, il giorno e l’ora. Uno di questi lanci di denaro sbagliò bersaglio, e il piccolo paracadute atterrò in montagna e le banconote non furano raccolte dai partigiani.
Clementina forse vide il luogo dell’atterraggio e ne parlò al mercato di Giaveno. Qualcuno la udì e riferì quelle parole ai partigiani he salirono alle Prese per chiedere spiegazioni che i Garello non vollero o non seppero fornire. Di un lancio fallito si parlò a lungo sottovoce nel Dopoguerra, ma la zona “fortunata” era quella del Pavero, nella zona di San Bernardino.
L’ipotesi di un aviolancio non è quindi del tutto fuori luogo. Nella zona tra None e Scalenghe vi era un gruppo di resistenti filo americani guidati dal nonese Michele Ghio (poi sindaco nel Dopoguerra) che in collegamento con l’ufficiale britannico Patrick o’ Reagan (“Pat”) riceveva istruzioni sull’arrivo dei lanci direttamente da Radio Londra attraverso la frase rituale “Domani Marisa verrà a trovarvi”. Questo sistema è ben documentato da Valter Careglio e Gian Vittorio Avondo in “Sentieri di guerra in pianura”, Neos Edizioni, 2013.
La zona tra Pinerolo e Piossasco costituì nel 1944 e fino all’aprile 1945 lo spazio per numerosi lanci da parte di aerei degli Alleati, soprattutto Usa e Gb, a favore dei gruppi partigiani operanti nella zona montana tra Pinerolo, appunto, Cantalupa, Frossasco, Cumiana e Piossasco. Non tutti i lanci andarono a buon fine. Avvenne anche un disastro aereo la sera del 13 ottobre 1944 sulle montagne di Cantalupa, al Freydour. Un velivolo Liberator HK 239 della Royal Air Force, durante un’operazione di rifornimento di aiuti ai partigiani, si schiantò sulla via del ritorno contro la parete del monte. Morirono otto aviatori: sette americani (T.D. Fotheringham, E.H.A. Clift, G. Tennison, D.W. Bishop, D.R. Wellon, S.E. Lockton e J. Bucks) e un australiano (C.W.Lawton). La strumentazione di bordo per l’orientamento non era ancora molto sofisticata e i piloti provenienti da altri paesi poco conoscevano il territorio che sorvolavano di notte a quota relativamente bassa.
Nel 1994 in vetta al monte Freydur (1451 m) fu posto dall'Amministrazione comunale di Cantalupa un monumento chiamato "Ali come vele", realizzato in acciaio dallo scultore Michele Privileggi. Periodicamente l’Anpi e il Cai di Cumiana organizzano in ottobre una “camminata partigiana” sul luogo dell’incidente.

 

Il funerale dei coniugi Garello all'uscita della chiesa di San Vito

La casa di Pancrazio e Clementina Garello alle Prese inferiori

 

I fascisti locali prima e dopo la Liberazione

Dante Martinotti, direttore e co-proprietario del Feltrificio di via Piave fu trovato morto per cause mai accertate in una casa di Allivellatori (frazione di Piossasco) dove era tenuto prigioniero da un gruppo di partigiani. La morte sarebbe avvenuta il 25 novembre 1944 in un’ora imprecisata in località Allivellatori. L’atto di morte è però stilato dal segretario comunale Pasquale Guerrera il 27 giugno 1945 alle ore 17.20 nella Casa Comunale, sette mesi dopo la sua morte. La denuncia arriva dal maresciallo dei Carabinieri di Orbassano Mario Morgillo. La data del 25 novembre è quindi «presunta». Dante Martinotti aveva quarantacinque anni, era residente a Torino, di professione industriale ed era nato a Casale Monferrato dal fu Vincenzo e dalla fu Emanuelli Rosa. Era il marito di Felicina Vaglio.
Vi sarebbe un antefatto che secondo alcuni spiegherebbe il rapimento.
Il proprietario dell'ex ristorante “Cannone d’oro” di via Pinerolo 71-73 Aventino Fiora a volte ospitava di notte i partigiani per le loro riunioni nel suo locale. Martinotti, figura di spicco tra i fascisti locali della Repubblica di Salò, richiamato alle armi e ben inserito nel Distretto militare di Torino, avrebbe parlato con i fascisti di Torino degli incontri al “Cannone d’oro”. Questi, nottetempo, hanno incendiato la casa di Fiora di via Pinerolo angolo via Peschiera. Alcune settimane dopo l’incendio Martinotti fu preso prigioniero una sera da un gruppo di partigiani armati mentre era dal barbiere Fenoglio di via Roma, vicino all’ala del mercato. La brigata era guidata da un partigiano detto “il gazzosiere” perché da civile vendeva le gazzose. Martinotti fu portato in una casa della frazione Allivellatori. Durante un rastrellamento dei tedeschi che intendevano liberarlo, e comunque nel corso di un’azione di guerra, Martinotti sarebbe morto in circostanze mai chiarite, mentre scappava. Fu provvisoriamente sepolto vicino ad una peschiera di Allivellatori (detta “di Massimo”), che esiste tuttora anche se interrata e invasa dai canneti. La sepoltura provvisoria spiegherebbe l’arco di tempo di quasi sette mesi dalla morte presunta (25 novembre 1944) alla data della denuncia ufficiale di morte (27 giugno 1945).
Un gerarca di rilievo era stato Cesare Mondino, considerato il “numero 2” nel torinese dopo il federale Piero Gazzotti. Si diceva che per potergli parlare occorresse prenotarsi e fare ore di anticamera. A Torino era dirigente in una fabbrica: dopo il 25 luglio 1943 (caduta di Mussolini) gli operai lo asserragliarono e fu sottratto a stento al linciaggio. Riparò a Piossasco e si nascose in casa di amici.
Passato lo spavento del 25 luglio ’43, Mondino entrò a far parte della Repubblica fascista di Salò come gerarca. A fine aprile ’45, caduta la RSI, fu nuovamente nascosto nella stessa casa per evitare rappresaglie. Poi di Mondino si perdono le tracce. Nel maggio-giugno ’45 furono molti i gerarchi e gli ex podestà locali che si nascosero nei pagliai e nei fienili delle cascine, ma anche nel centro dei paesi della zona, in attesa di tempi migliori per loro e dell’approvazione dell’amnistia voluta a livello nazionale dal ministro della Giustizia Palmiro Togliatti (Pci).
I 70 anni trascorsi dai fatti impediscono di approfondire i “perché” della loro vita: tutti gli attori del tempo sono scomparsi e con loro la memoria, gli atti ufficiali negli ultimi tempi del fascismo dicono il meno possibile. Queste ed altre persone erano davvero spie e collaboratori con il nemico tedesco? O non c’era anche un elemento di casualità, come spesso avviene nei momenti epocali della storia, anche quella piccola di un paese come Piossasco?
Su una linea grigia si può collocare Aldo Zorzoli, dirigente industriale, che si destreggiò tra fascisti, tedeschi e partigiani perché nella sua fabbrica di Piossasco si producevano pezzi per una pistola usata dai nazisti.
Chi era stato fascista riconosciuto e convinto si ritirò in buon ordine nel periodo tra luglio e settembre del 1943 e non compare nell’arco di tempo preso in esame.

 

L'ex ristorante “Cannone d’oro” in via Pinerolo angolo via Peschiera. Il locale fu parzialmente distrutto da un incendio doloso appiccato dai fascisti venuti da Torino perché a volte di notte vi si riunivano i partigiani della zona per prendere accordi.

 

Il “Caso Zorzoli”.

Aldo Zorzoli era il proprietario della fabbrica SAMT in via Pinerolo angolo via Aldo Piatti. La ditta fu poi di proprietà del cav. Manzone ed assunse quindi il nome di FRAP. Di Zorzoli parla Orazio Verde, classe 1920, comandante partigiano in Val Sangone, dirigente industriale, di Alessandria. La testimonianza è stata raccolta da Gianni Oliva nel 1987 e si trova in “La Resistenza alle porte di Torino” dello stesso Oliva. Eccola. Siamo probabilmente nell’autunno del 1944.
«A Piossasco c’era un certo Aldo Zorzoli, industriale, titolare di un’officina meccanica. Venni a conoscenza che egli iniziava la fabbricazione delle pistole-mitra Tz. Decisi di prelevarlo, assieme al suo “bravaccio” di cui non ricordo il nome, e di portarlo in montagna per interrogarlo con maggior comodo. Arrivati a Cumiana ci accorgemmo che il paese era pieno di fascisti: io non me la sentivo di fucilare i due catturati, perché la loro colpevolezza, al momento, era solo voce di popolo, anche se dopo risultò ben fondata. Così fui costretto a lasciarli andare ed essi si salvarono».
Di Zorzoli si ricorda anche Beppe Colombaro, fratello minore del partigiano Albino. In un’intervista del dicembre 2015 ha detto: «Un certo Zorzoli, parlando il tedesco, faceva il mediatore tra i piossaschesi e i tedeschi; tantissimi ricorrevano a lui e molti furono salvati...».
Dopo il 1945, crollata la produzione di parti per le armi, la fabbrica di Zorzoli, che possedeva una bella villa con un sinuoso viale d’accesso in via Cesare Battisti, chiuse l’azienda che riprese l’attività un anno e mezzo dopo con il cav. Manzone.

Due gli stabilimenti della SAMT uno a Torino e l’altro a Piossasco
ma di Zorzoli non c’è più traccia

Dato per ucciso dai partigiani dalla signora Hedda Silvani in una lettera al figlio Gustavo, di Aldo Zorzoli si parla nel corso della Giunta del CLN a metà maggio 1945 quando il segretario comunale Guerrera legge una lettera della SAMT pervenuta al CLN per conoscenza ed inviata anche al CLN di Borgo San Paolo di Torino. Che Zorzoli sia in predicato per essere epurato lo dice il CLN di fabbrica della SAMT di Torino ma dove in quei giorni Zorzoli sia nascosto non è dato sapere.
La SAMT aveva dunque due stabilimenti, uno a Torino in via Bra 9 e un’officina a Piossasco in via Pinerolo anche se la sede legale era a Torino in Via Monginevro 89.
Giovanni Coraglia, Domenica Morello e Agostino Ramella scrivono al sindaco di Piossasco:
“Si informa cotesto C.L.N. che il signor Aldo Zorzoli, Amministratore unico della Soc. An. Meccanica Torinese (…) si è assentato dal suo posto di lavoro senza lasciare un legale rappresentante della Società.
A tale scopo di non interrompere l’attività dell’azienda ed in modo da poter assicurare il lavoro a tutta la maestranza si è resa necessaria la formazione, in seno alla ditta stessa, di un comitato di fabbrica formato dai seguenti dipendenti. Trivelli Dottor Ing. Franco amministratore
Tardi Francesco direttore tecnico
Morello Domenica capo officina
Coraglia Giovanni capo reparto
Lazzeroni Ademo operatore
Ramella Agostino operaio
Quanto sopra sino a che il Comitato Nazionale di Epurazione non avrà preso le disposizioni del caso nei riguardi del signor Aldo Zorzoli in parola per ciò che concerne la sua attività”.
Zorzoli era nato a Torino il 19 luglio 1919, dal giugno del 1938 risiedeva a Piossasco in via Magenta 11. A febbraio del 1942 torna ad abitare a Torino.
Su Zorzoli e sulla SAMT all’interno della Giunta vi sono posizioni diverse su eventuali decisioni da prendere.
Guido Billotti (Dc) ritiene che il Comitato di fabbrica non abbia veste giuridica per decidere, “ma che invece gli operai della ditta debbano procedere alla nomina di un Consiglio d’amministrazione nominato direttamente da loro e pertanto di sospendere ogni decisione in attesa di mettersi in contatto col CLN di Borgo San Paolo e cogli operai della ditta”.
Si associa Giovanni Bertolotti (Pd’Az) “il quale asserisce che ogni decisione al riguardo deve essere adottata dal CLN di Borgo San Paolo, giacchè il Cln di Piossasco ha ricevuto tale comunicazione SAMT esclusivamente per conoscenza”.
Cesare Lovera (Pd’Az), Mario Pautasso (Psi) e Sante Lazzeris (Pli) “espongono la tesi che subito si debba procedere alla nomina di un rappresentante comunale in seno al comitato di fabbrica per la tutela degli interessi di questo comune”. Il sindaco Boch parla “della salvaguardia degli interessi del Comune e degli operai occupati nel predetto stabilimento” ma una decisione sarà presa solo nei giorni seguenti.
Il 22 maggio infatti si torna sull’argomento. E’ stata consegnata al sindaco Boch una lettera da parte di un dipendente della SAMT di Piossasco (Pautasso).
“SAMT. – Alla Camera del Lavoro – Sezione Metallurgici, Corso Galileo Ferraris 12 – Torino
e p.c.
Al CLN di Piossasco

“Si comunica a questo ufficio che in data 18 maggio 1945 a mezzo di votazioni di tutte le maestranze della S.A. Meccanica Torinese, presente il CLN di fabbrica, è stata formata la Commissione di fabbrica risultata composta dai seguenti membri:
socialista Fiora Giovanni aggiustatore democ. Crist. Garello Aldo addetto macchine comunista Remondino Maura impiegata
La Commissione di fabbrica”.
Quindi “l’operaio Pautasso chiede che da parte del CLN sia rilasciata una dichiarazione con la quale si riconosce il CLN di fabbrica nominato dagli operai della SAMT. Tale richiesta viene accettata (e) gli viene consegnata la suddetta dichiarazione”.
A metà maggio, dunque, si ventilava l’ipotesi dell’epurazione per Zorzoli che, però, era irreperibile. All’Istoreto (Istituto Storia della Resistenza di Torino) nei due faldoni con la documentazione sulle epurazioni risulta in un lungo elenco (aperto di Vittorio Valletta e da Giovanni Agnelli senior della Fiat) che Zorzoli della SAMT nel giugno del 1945 era stato demandato dall’apposito CLN torinese al processo per epurazione.
Quindi i dipendenti SAMT dell’officina di Torino che scrivono al Comune di Piossasco erano ben informati.
Zorzoli è ricercato. Ma fino ad agosto non si sa nulla. Si hanno notizie di lui dal quotidiano “La Nuova Stampa” dell’11 agosto 1945, pagina 2, ritornato in edicola da poco più di una settimana. Su due colonne titola:

L’inventore della pistola T.Z.45
denunciato alla Corte di Assise

Aldo Zorzoli riforniva di armi i fascisti e i tedeschi – Seviziatore di partigiani

Nel testo si scopre che era fuggito a Milano e che da un amico si era fatto consegnare per 200.000 lire una tessera da partigiano in bianco sulla quale aveva scritto il falso cognome di Ferraio.

La Nuova Stampa, 11 agosto 1945, pag.2

Leggiamo l’articolo, dove si parla della sua famosa pistola che vendeva ai fascisti ad un prezzo e ai nazisti ad un altro.
“E’ stato arrestato e denunciato alla Corte d’Assise straordinaria il noto industriale torinese Aldo Zorzoli fu Giovanni, di 35 anni, abitante in via Mombarcaro 8. Tecnico esperto e fascista ferventissimo, egli creò uno speciale tipo di “pistola-mitra”, la TZ 45, che mise subito a disposizione delle forze armate nazifasciste, vendendola ai repubblicani a lire 5000 e ai tedeschi per 2950. Migliaia di “pistole-mitra” uscirono dall’officina di Zorzoli il quale incassava a tutto piano banconote, senza curarsi che la sua invenzione fosse particolarmente usata contro i partigiani. A poco a poco divenne amico dei più famigerati briganti neri: Cesare Mondino (che era di Piossasco, ndr), Spirito Novena (che nel Pinerolese e nel Bargese con la sua banda nera uccise 195 persone, tra partigiani e civili. Fu condannato a morte, poi all’ergastolo e nel 1960 girava già libero per Torino, ndr) e De Chiffre (specializzato in incursioni notturne contro civili e partigiani, condannato alla fucilazione alla schiena, poi all’ergastolo, quindi a dieci anni e nel 1950 amnistiato, ndr).
Queste secondo “La nuova stampa” le amicizie di Zorzoli.
L’articolo prosegue.
“Con De Chiffre poi strinse rapporti fraterni. Da lui si faceva sempre scortare a Como presso gli alti comandi tedeschi: e la sua macchina era irta di canne di armi automatiche tanto paventava un incontro con i patrioti. Fu insieme al De Chiffre ch’egli un giorno catturò appunto un giovane volontario della libertà: e, accusandolo d’immaginari furti, lo sottopose a percosse e sevizie.
Dopo il 25 Aprile lo Zorzoli, atterrito, riparò a Milano dove, da certo Buffalino, si fece cedere, per 200.000 lire, una tessera partigiana in bianco che riempì poi col falso nome di Farraio. Nonostante questo egli, nei giorni scorsi, è stato riconosciuto, smascherato e spedito in carcere. Insieme a lui è stato deferito, a piede libero, il suo collaboratore, ing. Carlo Alba, ex ufficiale dell’Aeronautica repubblicana”.
Di Zorzoli scrivono anche Razeto e Gasparini in “1945. Il giorno dopo la Liberazione”, Castelvecchi editore, 2015.
La pistola-mitraglietta, disegnata dallo stesso Zorzoli, fu prodotta in circa 7.000 esemplari non solo a Piossasco e a Torino ma anche in una fabbrica d’armi di Brescia. Dopo la Liberazione finì la produzione anche se molti esemplari rimasero sul mercato clandestino gestito dai fascisti. E’ singolare e preoccupante che tra le armi usate dalle Brigate rosse nell’ agguato ad Aldo Moro e nell’uccisione della sua scorta (17 marzo 1978) vi fosse una pistola mitraglietta TZ45 di Zorzoli.

La sigla T.Z.45 deriva dal nome dei due progettisti, Tonon e Zorzoli, e dall’anno in cui entra in produzione, anche se altri siti specializzati in armi da guerra sostengono sia l’autunno del 1944.
Iniziata nelle ultime settimane del 1944, l'intera produzione della TZ-45 fu assorbita dalle forze armate fasciste della Repubblica Sociale Italiana, mentre la sua distribuzione fu disposta inizialmente solo ai soli corpi speciali (come, ad esempio, la famigerata e filo nazista Xª Flottiglia MAS) ma fu poi generalizzata a tutte le unità combattenti, in particolare a quelle impegnate nella lotta antipartigiana. È possibile che alcuni esemplari di quest'arma siano stati impiegati dai nazisti tedeschi nel territorio della repubblica di Salò (Nord Italia).
Un esemplare di quest'arma fu utilizzato dalle Brigate Rosse nel marzo 1978 per compiere l'agguato di Via Fani a Roma contro Aldo Moro. Verosimilmente, si trattava di un’arma di preda bellica, occultata in qualche deposito clandestino nel Nord Italia. Il mitra TZ-45 è stato utilizzato dal brigatista Prospero Gallinari per sparare contro i tre agenti della scorta di Moro presenti sulla seconda auto. Il brigatista raccontò al processo che il mitra di Zorzoli si era inceppato ed egli continuò l'azione criminale sparando con la sua pistola contro gli agenti di scorta.

La pistola-mitraglietta disegnata e prodotta dalla SAMT di Zorzoli a Piossasco, Torino e Brescia in circa 7.000 esemplari
Deferito dal CLN per l’epurazione e denunciato alla Corte d’Assise, di Zorzoli non si hanno più notizie. Secondo il sito www.laltraverita.it (che cura il ricordo dei fascisti caduti durante la Repubblica di Salò), Zorzoli non fu condannato e il suo processo non andò oltre l’istruttoria e la pratica fu chiusa. Occorrerebbe una ricerca accurata presso l’Archivio di Stato.
Una traccia di Zorzoli si trova in un breve articolo sui fallimenti a Torino su “La Stampa” del 25 ottobre 1956.
“Società An. SAMT (Società Anonima Meccanica Torinese), in persona amministratore unico Aldo Zorzoli, con stabilimento in Piossasco: sent. 24 ottobre; giudice dott. Caccia; curat: Turletti dott. Aldo; verif. 29 novembre.-“
Ma la SAMT è ormai una sigla vuota perché è stata assorbita dalla FRAP che produce parti per auto per l’indotto della Fiat.

 

L’epurazione e le prime condanne a morte
dei “delinquenti fascisti”

Visionando alla Civica di Torino i microfilm del maggio 1945 de “l’Unità” (per non allargare troppo nel tempo il raggio d’indagine) si ha un quadro dettagliato dei processi che avvengono in maggio in Torino con imputati della provincia e del capoluogo.
Il 5 maggio 1945 il Tribunale del popolo di Torino emette 8 condanne a morte contro altrettanti criminali fascisti torinesi. La sede del tribunale era a Torino in via Cavour 8.
Sono condannati a morte: Salvatore Di Perno della famigerata “X Flottiglia Mas”; Guido Casetti delle Brigate nere; Carmelino Ruzza del RAP (ovvero Reparto Anti Partigiani), Riccardo Paolini (RAP), Elio Fabris (RAP), Giuseppe Felenzer, Orazio Cortese (RAP) e Calogero Panto.
Ergastolo per Vittorio Mantovani della GNR (Guardia Nazionale Repbblichina); ventidue anni di reclusione a Carlo Dalboni.
Garofalo Vincenzo (GNR), assolto per insufficienza di prove. Domenico Furegato rinviato per supplemento di istruttoria.
Nelle scuole di Torino e Provincia furono epurati e sospesi temporaneamente dal grado e dall’ufficio (non dallo stipendio) in attesa che venisse precisata la situazione di ciascuno, i dirigenti delle scuole elementari e degli istituti medi e superiori che prestarono giuramento alla Repubblica sociale italiana di Salò.
L’epurazione interessò anche i vertici di enti e settori della vita pubblica, associativa, bancaria e dei servizi. Ne dà notizia “l’Unità” del 12 maggio. Dal 30 aprile all’11 maggio fu interessata dall’epurazione la direzione compartimentale delle ferrovie, la Banca d’Italia, l’amministrazione finanziaria provinciale, l’Istituto Case popolari, l’Italgas, le Officine Viberti nella persona di Candido Viberti, le Aviolinee italiane, la Fiat Grandi Motori, Istituto nazionale della previdenza sociale, la Banca commerciale italiana, la Cartiera Burgo, il Consiglio provinciale dell’economia corporativa, l’Agenzia Telegrammi ed Espressi, l’Incet, i Vigili del fuoco, la Riv di Villar Perosa nella persona dell’ing. Pietro Bertolone, l’Impresa Mannoni Giovanni, l’Istituto agrario Bonafous di Chieri di proprietà del Comune di Torino, l’associazione dei macellai. Fu epurato anche Francesco Pastonchi, allievo di Arturo Graf, poeta e cantore del regime fascista, fine dicitore salottiero, che insegnava letteratura italiana all’Università di Torino ma non era laureato. Ci pensò Mussolini nel 1935 a conferirgli d’ufficio la laurea “per chiara fama”.
(l’Unità 6 maggio 1945)
Il 9 maggio 1945 il Tribunale militare di guerra condanna a morte altri dodici fascisti. Queste le sentenze solo nei primi giorni di maggio. Le sentenze di morte furono
quasi tutte eseguite, le condanne all’ergastolo o a decine d’anni di carcere furono con l’Amnistia del ministro della Giustizia Palmiro Togliatti (Pci) progressivamente ridotte e spesso cancellate.

«Zorzoli si crede sia stato ucciso.
Martinotti ucciso dai partigiani»

Ancora nella sua lunga lettera, “Gustavino caro…”, scritta con inchiostro verde, la signora Silvani illustra al figlio le traversie e la morte di amici di famiglia o conoscenti, alcuni dei quali non residenti a Piossasco e quindi di difficile identificazione a distanza di 72 anni.
«Fiorio è stato preso e non si sa dove sia. Anche il padre era stato arrestato e poi rilasciato. L’ebreo Rino è morto. Il dottor Nazario che era fuggito dalla prigionia e che lavorava a Torre Pellice è stato fucilato dai Tedeschi. Zorzoli si crede sia stato ucciso. Maestri e Bernabò S. sono stati in carcere molti mesi e sono usciti dopo la fine della Repubblica (di Salò, ndr), Martinotti è stato ucciso dai partigiani e così il Nino, nipote della Sig. Cruto. Pare che abbiano anche fucilato Leonardo Olivero e che Ninelupo (?), Pierino e la madre siano ricercati. A Torino poi c’è stata una feroce giustizia di popolo. Qui (a Piossasco, ndr) si sono accontentati di mettere falce e martello rosso a chi era con loro e nero ai fascisti (noi l’abbiamo rosso). Ma non hanno fatto nulla tranne ruberie e qualche sopruso».
«A Torino è quattro mesi che non vado perché mancando le corriere bisogna fare molto a piedi e poi con la caduta del ponte la casa resta più scomoda. Abbiamo avuto un inverno tremendo per il freddo e papà poverino ha fatto tutto in bicicletta perché prendevano (requisivano, ndr) la macchina. Ce l’avevano presa una volta che hanno rovinata tutta la carrozzeria portandola in montagna. Ma poi io ho scritto al capo partigiano che ce l’ha fatta rendere. I Tedeschi ci hanno requisito una camera due volte, ma sono stati poco e si sono comportati civilmente. Una volta volevano incendiare Orbassano e Piossasco e papà con altri sono andati a Torino al Comando e sono riusciti a calmarli».
Seguono alcuni ragguagli su Giancarlo Pajetta che nel dopoguerra era l’esponente piemontese del Pci più conosciuto a Torino. «Pajetta è a Roma per il partito comunista, Giuliano è prigioniero in Germania e il fratello più giovane partigiano morì in uno scontro con i Tedeschi SS». Quindi un accenno al sindaco Pci, Giovanni Boch, in carica dalla fine di aprile 1945: «È sindaco Boch con una Giunta un po’ stramba. Ma il sindaco è di molto buon senso ed è aiutato da Alfredo Oberto […]. E’ con noi molto gentile».
Aggiunge in un’altra lettera del 22 maggio 1945 la signora Silvani: "Abbiamo sindaco Boch il quale ha tali sentimenti e tale educazione da farci augurare che possa servire di modello a tutti. Peccato che sia comunista, o meglio si dica comunista, perché il suo modo di operare e di agire è del migliore, questo gentiluomo che ama l’ordine, il lavoro, la disciplina, la famiglia eccetera”.
In un altro passaggio la signora si lamenta della mancanza dei giornali quotidiani a Piossasco. Scrive: ”Anche qua è una fioritura di giornali, ed ora che Sisto (Valfrè, il giornalaio che aveva l’edicola sotto l’Ala all’angolo con Piazza XX Settembre, ndr) va a prenderli a Torino prende quello che vuole e porta (a Piossasco) quello che fa piacere a lui. La vita è molto cara ed era una vera repubblica (Sociale fascista di Salò, ndr), perché tutti facevano borsa nera e non avevano più nessun comando. I repubblichini, così li chiamavano, commettevano tutti i soprusi”.

 

La casa del dott. Silvio Silvani in via Pinerolo angolo via Nazario Sauro. Silvani è stato medico condotto di Piossasco e Bruino. Sul cancello la moglie Hedda Ferri.

 

Morte misteriosa di un pugliese sfollato

Il 10 giugno 1945, all’1,30 viene rinvenuto il corpo di Angelo Donatone, del fu Gaetano e di madre ignota. Donatone aveva 50 anni, era residente a Torino e sfollato a Piossasco, impiegato, vedovo di Maria Foglianisi. Era nato a Gioia del Colle (Bari). Il corpo era abbandonato nella scarpata di fronte alle case di Via Pinerolo, angolo con l’attuale via Alfieri (al tempo via Volvera) di proprietà dei Cruto e Carbonero. Il Donatone fu presumibilmente lasciato scivolare dall’angolo dove esiste ancora oggi una grossa pietra segnaletica. La denuncia arrivò dai Regi Carabinieri di Orbassano, dal maresciallo comandante Mario Mongillo l’11 giugno e fu trascritta negli Atti di morte dal segretario comunale Pasquale Guerrera.
Nel documento non si parla delle cause della morte della vittima né, tanto meno, della sua collocazione politica. Nessuno ha mai sollevato questo caso, ricordato nebulosamente da alcuni anziani (allora ragazzi), rimasto sepolto negli Atti di morte del Comune di Piossasco.
La morte di Donatone, che non fu seppellito a Piossasco, fu dovuta ad un malore, ad una spiata, ad una vendetta, ad un regolamento di conti? Era un antifascista o un fascista? Aveva con sé documenti falsi? Fu ucciso in località Ponte Nuovo (come scrivono i Carabinieri di Orbassano) o altrove e poi portato a Piossasco, dove era sfollato?
Allo Stato civile di Gioia del Colle dicono che il cognome Donatone è ancora oggi abbastanza diffuso, ma le ricerche dell’Ufficio pugliese non hanno dato risultati positivi circa l’identificazione più precisa del loro (?) concittadino. Non solo. Dice la dott.ssa Donata Vitto, ufficiale dello Stato civile di Gioia del Colle: «Siamo spiacenti, ma del sig. Donatone Angelo non abbiamo traccia, né atto di nascita né trascrizione di morte».
Perché allo Stato civile di Piossasco il Donatone risulta essere nato a Gioia del Colle? Al corpo rinvenuto in via Pinerolo fu dato un nome di comodo per sviare eventuali indagini sugli assassini e per non svelarne l’identità che poteva compromettere e tirare in ballo qualcuno? Aveva documenti falsi?
Che vi sia qualcosa di non chiaro sull’identità del morto lo dimostra anche la discordanza sulla sua età. Infatti sul Bollettino di San Francesco (luglio 1945), nella rubrica “Morti”, il Donatone risulta avere 48 anni e non 50 come è scritto nella denuncia di morte del Comune di Piossasco. Nell’atto di morte manca tra l’altro il mese e il giorno di nascita, l’anno si può ricavare dal fatto che aveva 50 anni (o 48?). Si scrive che la madre del Donatone è «ignota»: di solito negli atti ufficiali si scriveva che era “ignoto” il padre. “Mater semper certa, pater nunquam” dicevano gli antichi Romani. Piossasco trasmise l’atto di morte al comune di nascita che non lo inserì nei suoi Atti perché già allora non lo riteneva suo cittadino? Presso quale famiglia era sfollato? Pare abitasse in quella che sarà via Mario Davide e che avesse affittato una stanza da una certa Tilde Cardone.
Il mistero sull’identità del Donatone permane. Il silenzio durato 72 anni non aiuta a identificare l’uomo.Un’altra ipotesi, più prosaica, circolata nell’immediato dopo guerra, volle il Donatone vittima di un omicidio dettato dalla gelosia di un marito della cui moglie si sarebbe invaghito il pugliese.
Ne “La resa dei conti” (Mondadori) Gianni Oliva fornisce le cifre dei morti ammazzati tra la fine di aprile e luglio 1945: secondo una quantificazione per difetto le persone uccise accusate di essere stati fascisti o aderenti alla Repubblica di Salò furono circa 3.000 nel solo Piemonte di cui 1500 giudicati dai tribunali marziali partigiani seduta stante. A Torino molti corpi furono buttati nel Po, lasciati lungo le strade e i corsi, fu attuata un’epurazione quartiere per quartiere. A molti giustiziati vennero portati via sistematicamente i documenti di identità e i loro cadaveri furono occultati per mesi. Dal 26 aprile, giorno della Liberazione di Torino, furono uccisi dai partigiani migliaia di fascisti, brigatisti neri, collaborazionisti con i tedeschi. In Piemonte funzionarono a pieno ritmo 11 Corti d’assise straordinarie che tra il 1945 e i 1947 giudicarono 3.600 persone: a 203 di loro fu inflitta la pena di morte, 23 condannate all’ergastolo, 319 a più di 20 anni di carcere e 853 ad una pena detentiva compresa tra i 5 e i 20 anni.
Cercare l’identità del Donatone in questo clima di giustizia rivoluzionaria che non ha aspettato i tempi della “giustizia ufficiale” è difficile se non impossibile.

 

Ieri - cartolina viaggiata 1922

Oggi - Il luogo dove fu trovato il cadavere dello sfollato Angelo Donatone che abitava a Piossasco sotto falso nome. Il luogo, in via Pinerolo angolo Via Alfieri (allora Via Volvera), è rimasto tale a quale era più di 70 anni fa. La casa era di proprietà della famiglia Cruto che recentemente, per testamento dell'ultima discendente Miranda, è stata lasciata in eredità alla casa di riposo "Esterina Coassolo" della fondazione Pro Senectute di Cantalupa. Fra non molto inizieranno i. lavori per l'abbattimento e la costruzione di un edificio nuovo a forma di L su via Pinerolo e via Alfieri.

 

Un falso (?) piossaschese fascista fucilato a maggio nel Canavese

Aveva 32 anni, si chiamava Pierino Brero di Camillo, di Piossasco. Era un fascista della Guardia Nazionale Repubblicana.
Fu ucciso dai partigiani nel Basso Canavese nel maggio del 1945. Così scrive nel suo diario don Luigi Vesco, priore e parroco di Strambino dal 1910 al 1954. Il libro, custodito dalla Fondazione Donat Cattin di Torino, ripercorre i tragici eventi accaduti in quella zona dall’ 8 settembre 1943 al 15 agosto 1945. Sorpresa: all’anagrafe e allo stato civile di Piossasco questo Brero non risulta essere nato né aver abitato a Piossasco, anche se il suo cognome è ancora oggi diffuso.
O don Vesco, al quale Strambino ha dedicato la piazza principale del paese, ha preso un abbaglio, o lo stato civile era un colabrodo o molti agivano sotto falsa identità e falsa origine.
Pare che il Brero si fosse infortunato in seguito al ribaltamento di un mezzo militare a Villareggia nel Canavese; con altri camerati feriti fu ricoverato all’ospedale San Giovanni vecchio in via Giolitti a Torino.
Secondo il parroco, Brero, e altri nove fascisti, fu prelevato dai partigiani di Torino dall’ospedale e portato nel Canavese. Quattro di questi furono consegnati agli Alleati (e si salvarono), gli altri cinque furono uccisi. Con il Brero furono passati per le armi Saverio Carbone fu Nicola, 44 anni, di Bari; Renzo Pasotti di Giovanni, 19 anni, da Bovetto (Bs); Giuseppe Falchero fu Michele, 43 anni, da Castiglione Torinese ed Eros Teodori di Fioravanti, 39 anni, da Occhiobello (Rovigo).
«Triste pagina che non vorrei segnare in questo diario», annota don Vesco che fu anche il difensore dell’ex podestà fascista di Strambino il generale di Corpo d’Armata Sisto Bertoldi, già nelle carceri di Ivrea «con la doppia imputazione di aver fatto arrestare dai tedeschi e mandare in Germania il partigiano dott. Antonio Manzini e di aver collaborato con il nemico». La perorazione di don Vesco fu tale che il Bertoldi fu assolto e quasi liberato a furor di popolo, partigiani compresi. Don Vesco fu considerato dal regime fascista un suo avversario.

 

Intervento di Gianfranco Martinatto
ricercatore di storia locale

“Sono un testimone dei testimoni”

PIOSSASCO DAL ’43 AL PRIMO DOPOGUERRA: DAL FASCISTA ZORZOLI (POI EPURATO), LE FAMIGLIE EBREE NASCOSTE A SAN VITO, UNA NUOVA GENERAZIONE DI PICCOLI IMPRENDITORI NEL SETTORE METALMECCANICO

Non si può parlare di vera industria a Piossasco negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento. Le attività allora presenti possono essere classificate nell’ambito artigianale o poco più su in quello manifatturiero. Ritroviamo alcune dinastie di distillatori: i Reinaudi, i Baudino, gli Oberto. Nel campo delle brusche: i Fenoglio, in quello alimentare i Mondino. È la I Guerra Mondiale a offrire soprattutto agli spazzolifici una opportunità di fare un salto qualitativo in termini di commesse. Negli anni venti fa la comparsa un feltrificio (Il Subalpino). L’industria metalmeccanica è assente almeno fino agli anni trenta. La FIAT e le altre ditte nate a fine Ottocento a Torino non erano ancora occasione di commesse. La prima attività legata alla metalmeccanica che si ricordi in Piossasco era collocata al fondo dell’attuale via Borsi. Attingo ai ricordi familiari, perché per mio padre del 1921, fu il suo primo impiego. La fabbrica, o come si usava dire da queste parti, la boita, sotto una tettoia aveva già alcuni torni. Tuttavia era ancora un ibrido tra una bottega da fabbro e una officina metalmeccanica. Si faceva di tutto: dagli attrezzi per la campagna ai tiranti per i primi aerei. Le produzioni erano limitate nel numero e si cambiava spesso articolo. I proprietari erano Umberto Piatti, Raffaele Mondino(?) e altri. Fu da questa attività che si giungerà alla fondazione di quella, che sarà, fino agli anni Novantacinque dello scorso secolo, la fabbrica piossaschese per antonomasia: la FRAP. In effetti Umberto Piatti lo troveremo, agli inizi del secondo dopoguerra, per un breve periodo tra i soci fondatori della fabbrica di ricambi piossaschese e mio padre seguirà il suo primo padrone in questa transazione.
Ci fu però un interregno tra la fabbrica di via Borsi e la successiva fondazione della FRAP, ed è il periodo della seconda guerra mondiale. Per parlare di questo bisogna dare alcune delucidazioni sugli aspetti del centro piossaschese. Due episodi della storia nazionale avevano mutato la geografia paesana. Uno era stato l’uccisione, il 29 luglio del 1900, del Re Umberto I a cui il paese aveva dedicato la costruzione della nuova scuola elementare. Il secondo, la tragedia della Prima Guerra Mondiale aveva indotto il comune a riservare un luogo alla memoria dei caduti, individuato proprio di fronte alla scuola (oggi Via Trieste). Quando nel 1943, dopo l’8 di settembre, le sorti dell’Italia peggiorarono con l’occupazione tedesca e i bombardamenti, a Piossasco troviamo una novità, la presenza di una fabbrica torinese, la SAMT collocata dove poi troveremo dal ‘57 in poi la FRAP, ma anche diffusa in piccoli capannoni in serie, in mattoni, le cui tracce si possono ritrovare in edifici ancora presenti dietro ai così detti palazzi Fanfani.
Il proprietario di questa fabbrica era l’ingegner Aldo Zorzoli e le motivazioni di questa traslazione sono da ricercare nelle sempre più frequenti incursioni aeree su Torino. Come si sia potuto sistemare a Piossasco e soprattutto su suolo pubblico è un mistero. Zorzoli prolifico progettista di vari dispositivi quali ammortizzatori e stabilizzatori di sospensioni era ben introdotto con il regime fascista. Alcune sue invenzioni avevano varcato i confini nazionali. Conosceva il tedesco per aver frequentato i mercati della Germania e Svizzera. Delle sue frequentazioni in ambito militare si ricorda soprattutto quel Carlo Alba, ingegnere, ex ufficiale dell’aeronautica della RSI. Il suo nome resterà legato a un’arma, un mitra, il TZ45 che sarà imbracciato sia dalla squadracce fasciste nella repressione partigiana, sia dagli stessi partigiani. Un’arma tristemente famosa che arriverà fino ai giorni nostri con il delitto Moro e il cui uso lo si troverà anche nel sud-est asiatico.
Quest’arma prodotta in diversi posti del nord Italia, in particolare nel bresciano, venne assemblata anche a Piossasco nella SAMT di piazza Italo Balbo (oggi Fratelli Baudino).
Attingo nuovamente ai ricordi familiari. Mio padre che aveva avuto la fortuna per i tempi di essere riformato per un problema toracico, fu precettato e impiegato nella produzione bellica di questa ditta. Godeva come tutti coloro che vi lavoravano di un lasciapassare bilingue, soprattutto dall’autunno del ’43, questo però non era sempre un passe-partout per muoversi in tranquillità. Due volte fu fermato. Una invitato a tornare a casa perché nella ditta avevano prelevato alcuni operai, tra cui una donna di nome Clementina, che era sospettata di essere una staffetta della Resistenza. La seconda, nell’inverno del ’44, mentre si accingeva ad andare a lavorare, una retata di tedeschi e fascisti arrivò improvvisamente nel cortile di casa e mio padre, per salvare suo fratello nascosto in casa, dopo che era tornato a piedi da Chatillon in Val d’Aosta, dopo l’8 settembre, si consegnò. Nonostante il lasciapassare fu portato a S.Vito e poi grazie ad un fascista repubblichino, liberato, mentre alcuni di questa retata vennero portati in via Asti a Torino.
Sul famoso mitra mio padre affermava che non era molto affidabile. A cento metri già perdeva precisione a causa di problemi di compressione. Tuttavia aveva delle novità interessanti, il calcio retrattile e la sicurezza sull’impugnatura del caricatore. A Piossasco le lavorazioni che lo riguardavano erano soprattutto le parti cilindriche, altri particolari come la molla interna e gli scatolati venivano da via. Annesso alle officine, era presente una camera di tiro con dei sacchi di sabbia in quei tetti di via Trieste. L’ambiguità del Zorzoli era nota: compromesso con il regime, non mancava però di intrattenere rapporti con i resistenti. A volte per le sue conoscenze e per sapere il tedesco svolse anche opera di mediazione. La sua fuga nel milanese, di cui era originario, a fine conflitto, il tentativo di camuffarsi sotto falsa identità partigiana, è conosciuto. Lo ritroviamo nuovamente nel torinese negli anni Cinquanta. È del ’57 il fallimento della sua ditta, la SAMT; è dello stesso anno la formalizzazione dell’atto di fondazione della FRAP (la cui sede/uffici risultano in via Roma), sotto la guida di Riccardo Manzone (poi cavaliere del lavoro), che rileverà quanto era rimasto a Piossasco. Oltre al Piatti (Umberto e non Aldo come è scritto sul sito attuale della FRAP) in società entrerà anche Natale Patrucco. Monferrino quest’ultimo e langarolo il Manzone rappresentano la nuova classe imprenditoriale industriale arrivata dalla provincia piemontese, dai luoghi dove la barbera e il barolo non creavano ancora quella ricchezza che donano oggi. D’altronde anche i Baudino e i Fenoglio ai primordi dell’industria piossaschese non erano indigeni del luogo.
A proposito del clima generato dalla guerra mi sembra giusto ricordare due figure importanti di questi anni terribili: Emilio Baudino (industriale nel settore dei distillati) e don Michele Frigeris (teologo e amministratore dei beni della curia) che si spesero per nascondere ebrei dalla persecuzione nazifascista. Il Baudino, in affari con i Diena (quelli della famosa Marsala), nota famiglia ebrea di origine carmagnolese, si offrì di trovare rifugio a componenti di questa, quando l’occupazione tedesca mise in forte pericolo la loro esistenza. Al Marchile si ricordano due o tre episodi in cui ebrei furono ospitati. L’auto del Baudino era di casa di fronte alle abitazioni dei parenti del sacerdote e di fronte al grande cascinale che, ironia della sorte, per la sua forma chiusa i marchilesi chiamavano “U ghet”, il ghetto. Una anziana coppia di ebrei fu ospitata da Oreste Tarable, noto per le sue idee socialiste. La donna per sbarcare il lunario rammendava. Mio padre che aveva strappato i pantaloni del completo per sfuggire alle ire di sua madre fece due cose: inchiodò il cassetto della credenza, perché la nonna non potesse aprirlo e ricorse alle mani sapienti della rammendatrice ebrea che fece un lavoro di fino, ricostruendo integralmente il disegno del pantalone principe di Galles.
In genere questi transfughi rimanevano poco, poi per via segreta, aiutati da questa compagnia trasversale: di borghesi, clericali, socialisti di buona volontà, cambiavano alloggio. Ci furono altri interventi in difesa, soprattutto dei giovani che erano tornati a casa dallo sbandamento del settembre del ’43 e non avendo scelto la lotta armata venivano nascosti dalle famiglie. In pericolo erano anche coloro, pur ancora ragazzi, in odore di leva. In questa terra di mezzo si muovevano i due parroci: di S. Vito e S. Francesco, sistemandoli in alcune ville della collina, i cui proprietari o eredi avevano spesso legami con l’esercito se non con il regime. Nonostante la presenza in diverse delle più importanti residenze di S. Vito (Villa Boneschi, Villa Lajolo) di un comando tedesco, la situazione veniva tenuta sotto controllo con qualche tacito compromesso.
La transazione verso il 1945 fu lenta e difficoltosa. Qualche bomba cadde per sbaglio sul paese. Si ricorda quella a ridosso delle case degli Elia, che si infossò senza scoppiare e un’altra nei campi della Paperia. Gli aerei alleati puntavano su Airasca dove c’era un aeroporto e le bombe non erano ancora intelligenti! Nell’estate del ’44 molti giovani seguivano la via dei campi preferendo dormire all’aperto. Così fece anche lo zio Giovanni una sera. Prese il tascapane ci infilò qualcosa dentro, da mangiare, e una piccola rivoltella, mentre attraversava la provinciale a Milone un sidecar tedesco proveniente da Pinerolo gli intimò l’alt. Egli gettò l’arma nel piccolo fosso e sfruttando la sua sinuosità, correndo a più non posso si disperse nei prati della Valdusana. Erano frequenti i pattugliamenti della provinciale e il mitragliamento della montagna. A una situazione di pericolo del genere si deve ad esempio il voto che fece Virgilio Buttigliengo di vestire i panni del Cristo e portare la croce nella via crucis che si faceva nel periodo di Pasqua a S. Vito. Lo onorò fino alla estinzione di questa tradizione negli anni Sessanta. Era convinzione di mio padre che la liberazione la portassero i francesi e fu stupore generale vedere arrivare americani e candesi. Mi stupisco di ricordare tutte queste cose che ho sentito narrare, di essere un testimone dei testimoni e mentre questi fatti si allontanano sempre più da noi sento di avere una responsabilità, quella che sottolineava Primo Levi: quella della memoria.

La fondazione alla Camera di Commercio di Torino della P.M.T (Piatti, Manzone, Patrucco) risale al 18 aprile 1947 con un capitale versato di 150.000 lire. Dalla P.M.T. trarrà poi origine la FRAP con il cav. Manzone come unico titolare.

 

Nel primo dopoguerra nascono la “boite”
Quasi tutte collegate alla FRAP di Manzone. Un pezzo di Viberti a Piossasco con l’officina di Operto

Dal dopoguerra agli Anni ’70 furono molte a Piossasco le officine, al confine tra artigianato e piccolissima industria metalmeccanica. Alcune autonome, altre collegate alla FRAP, tutte gravitanti nell’indotto della FIAT, ma anche di marchi stranieri, e in parte dell’allora INDES.
Ne citiamo alcune con il nome dei titolari: Natale Patrucco (che nel 1947 era entrato in società con Piatti e Riccardo Manzone), con l’officina in via Torino angolo via Botta; Morello (via Pinerolo), il già menzionato Piatti in via Borsi che lavorava sotto una tettoia; Paviolo in via Piave; Gorrea in via Migliara; Carpinello in via Magenta; Lazzeris (Via Torino); Leone Tonda e poi i figli Angelo e Marco con l’azienda a Milone e da una quindicina d’anni nell’area artigianale del Pip in via Volvera. E altre ancora. E poi l’officina di Paride Operto che ha una storia particolare derivata dalla Viberti. Dice la figlia Ada (agosto 2019): ”Abitavamo a Torino, mio padre era un tecnico della Viberti. Nel 1941-’42 la Viberti (autocarri, assali, filobus e corriere) temendo i bombardamenti degli Alleati su Torino trasferì alcune lavorazioni metalmeccaniche nei locali della cosiddetta “Fucina” di Via Riva Po. Mio padre dirigeva questo piccolo nucleo. Poi siamo venuti a Piossasco per comodità. Abitavamo in via Cruto. Mio padre trasferì poi l’officina in via Battisti angolo via Piatti, a fianco della nostra nuova casa”. La Viberti di Torino costruì anni dopo un nuovo grande stabilimento a Nichelino, da anni chiuso e in abbandono; in seguito il marchio fu assorbito dalla Merker di Tocco da Casauria, (Pescara).

IInterni della FRAP con dipendenti e apprendisti agli inizi degli Anni '60.

IInterni della FRAP con dipendenti e apprendisti agli inizi degli Anni '60.

I partigiani a Piossasco
visti dai fascisti della Gnr
Le informative sulla repressione dei “banditi”
dal 9 marzo 1944 al 24 febbraio 1945

Una documentazione sulle attività dei partigiani nel nord Italia, da Torino a Pola in Istria (allora italiana), da Genova a Bologna al Friuli è rintracciabile presso l’archivio della Fondazione“Luigi Micheletti” di Brescia. Un succinto bollettino delle operazioni militari dei fascisti e dei nazisti tedeschi effettuate contro quelli che erano definiti, di volta in volta, “banditi” o “ribelli” oppure “sconosciuti”.
Si tratta di un’utile fontedi parte che spesso ingigantisce con una certa enfasi le azioni militari andate a buon fine per la Guardia Nazionale Fascista (GNR) serva e complice dei tedeschi invasori, mettendo però in ombra o tacendo i risultati positivi delle bande partigiane. Le informative di controspionaggio giunte da informatori e delatorilocali erano inviate ai comandi fascisti (e forse anche a Salò, una delle sedi della Repubblica sociale) hanno una cadenza quasi quotidiana e monitorano i movimenti, le rappresaglie, le esecuzioni, gli arresti, i rastrellamenti di militari e civili nell’Italia settentrionale. Ma anche le requisizioni di cibo, sale, tabacchi, animali da stalla e mezzi che i partigiani armati prendevano soprattutto nelle cascine o nei negozi di generi di monopolio, a volte pagando in lire contanti, altre rilasciando una ricevuta per un eventuale rimborso a guerra finita.
Dal 9 marzo 1944 al 24 febbraio 1945 è in archivio la documentazione che riguarda Piossasco. Per la consultazione on line è necessario andare sul sito della Fondazionee “cliccare” sul nome del paese o della città che interessa visionare. In questa sede ci limitiamo a Piossasco e a quelle informative in cui compare il nome di Piossasco.
E’ significativo che la documentazione finisca nel febbraio del 1945, quando il regime repubblichino iniziava a cedere sempre più vistosamente sia per l’avanzata verso il Nord degli Alleati anglo americani, sia per la presenza e l’attività delle formazioni partigiane sempre più presenti nelle grandi città.
Non è un caso che proprio nell’ultima informativa del 24 febbraio 1945 in cui si parla di Piossasco si tracci una mappa dei gruppi partigiani scesi dalla montagna (il fenomeno che gli storici hanno definito “pianurizzazione”) in vista della liberazione delle grandi città e del “25 Aprile”.
Allarghiamo l’orizzonte includendo il territorio che comprende le valli Pellice, Germanasca, Chisone, Sangone e Susa per avere un quadro più generale della nostra zona.
Val Pellice. Nelle zone di Prarostino e Roccapiatta esiste la brigata “Valpellice” (Sergio Toja).
Nei pressi di Virle Piemonte è confermata la presenza di circa 100 elementi provenienti dall’alta montagna i quali hanno costituito una nuova banda.
A nord di Airasca è segnalato un piccolo gruppo di banditi che compie rapine e grassazioni.
Val Germanasca e Val Chisone. E’ segnalato che il capo banda Maggiorino Marcellin, sfuggito all’annientamento della propria banda, nell’autunno dello scorso anno, ha fatto la sua ricomparsa in tali valli ove tenta di ricostituire una banda.
Val Sangone. Un gruppo di una cinquantina di elementi si trovano tra Villarbasse e Reano.
Un’informativa del 21 febbraio 1945: “Nei pressi di Orbassano è segnalata la presenza di un nucleo di banditi di circa 10 elementi che, oltre a commettere rapine e grassazioni, compiono azioni di disturbo sulla carrozzabile Orbassano-Piossasco-Pinerolo”.
Valle di Susa. Il comandante “Alessio” della 17^ brigata garibaldina è stato sostituito da certo “Deo”, mentre l’attuale commissario politico risulta essere il tenente Rosà.Il comandante “Alessiosi è recato in Francia con una ventina di russi”.
Seguiamo l’ordine cronologico.

9 marzo 1944
Il 2 corrente, alle ore 6, in Cumiana, circa 200 ribelli armati di fucili mitragliatori, moschetti e bombe a mano, bloccarono le strade dell’abitato vietando il transito alle persone per qualsiasi motivo. Gli stessi impedirono alla corriera di partire per Torino e per Pinerolo, asserendo che doveva avere inizio lo sciopero generale. Bloccarono inoltre i telefoni ed il telegrafo e si allontanarono verso le ore 12 in direzione di Piossasco.
Il 3 aprile avvenne a Cumiana la strage di 51 cittadini uccisi per rappresaglia dai nazifascisti.

Il Bivio di Cumiana negli Anni '40 (Foto di Marco Comello, Anpi di Cumiana)

10 marzo 1944
Il 2 corrente, in Piossasco, circa 40 ribelli si presentarono nel mulino di Luigi Ruffinatto facendosi consegnare, sotto la minaccia delle armi, quintali 62 di farina e 11 di crusca.
Il mulino Ruffinatto di via Segheria, a fianco del Sangonetto, di cui rimane ancora la scritta sulla parte più elevata dell’edificio, è stato in funzione fino agli Anni ’80 dello scorso secolo per poi essere trasformato in palestra. Era uno dei tre mulini di Piossasco con quello comunale di via Riva Po (ora ristorante e museo) e quello di Alberga (“Tubia”) in via Piave, chiuso una trentina d’anni fa.

26 marzo 1944
Il 15 corrente, in contrada Cappella di Piossasco, quattro sconosciuti armati si presentarono nella cascina dei contadini Angelo e Mattia Bonetto, obbligando costoro a consegnare loro 59.000 lire in biglietti di banca e alcuni oggetti d’oro del valore di lire 5.000.
Angelo Bonetto negli Anni ’60 sarà vicesindaco di Piossasco con Giuseppe Andreis primo cittadino. Dalla frazione Cappella si trasferì nel dopoguerra in una casa in via Aldo Piatti angolo via Pinerolo.
La notevole cifra di 59.000 lire equivaleva al prezzo di circa 45 bovini, così come erano pagati dai partigiani ai contadini. Non è escluso che nella trasmissione della notizia sia stato aggiunto (volontariamente?) uno zero di troppo. Data la pericolosità dei tempi appare per lo meno poco credibile che una famiglia di contadini tenesse in casa e in contanti una cifra così cospicua.
Alcune volte non si trattava però di espropri dei partigiani ma di esponenti della di criminalità spicciola che, approfittando della confusione di quei tempi, si presentava armata dicendo di essere partigiani.

1 aprile 1944
Il 21 marzo u.s., alle ore 21,30, una banda di ribelli irruppe nell’abitato di Piossasco ove costrinse le gerenti di due rivendite di generi di monopolio a consegnare loro Kg.21 di tabacchi che pagarono parzialmente.
La notizia è ripresa anche il 14 aprile.
Le tabaccherie erano allora tre: una a San Vito gestita dalla famiglia di Vito Molardo. L’altra in via Roma con Osvalda e Angelo Boursier, sorella e fratello di Luigi, podestà fascista di Piossasco dal 1939 al 1941 e poi sindaco Dc dal 1960 al 1962. La terza era in via Pinerolo angolo via Peschiera, di fianco all’allora ristorante Cannone d’oro. Era gestita da Vittoria Fiora (“Toja”).

20 aprile 1944
Il 29 marzo u.s., alle ore 21, in Piossasco, un gruppo di ribelli armati penetrò nell’abitazione di Vito Notto, costringendo questi a consegnare loro lire 5.000, alcuni oggetti d’oro, Kg.40 di salumi e 30 di lardo.

28 aprile 1944
Nella notte sul 13 corrente, lungo la strada Cumiana-Chiossasco (correzione con errore di battitura, ndr), ignoti asportavano dalla linea telefonica della STIPEL 12.000 metri di filo di bronzo

29 aprile 1944
Viene ora denunciato che, il 16 corrente, verso le ore 18, in territorio di Piossasco, due sconosciuti armati, presentati nella cascina “Albere nuove”, asportarono al contadino Luigi PERTUSATTI due vitelli, che caricarono su un carro dello stesso PERTUSATTI. Il carro e il cavallo furono rinvenuti abbandonati il giorno successivo nei pressi di Giaveno. Al PERTUSATTI, i ribelli rilasciavano una ricevuta intestata “Esercito di liberazione nazionale”.

29 aprile 1944
Sempre lo stesso giorno viene riportata un’altra notizia che riguarda un furto di vitelli ad un altro PERTUSATTI. Non è indicata la cascina.
Il 21 corrente, alle ore 16, in Piossasco, due ribelli armati penetrarono nella cascina di Vittorio PERTUSATTI, costringendo questi a consegnar loro tre vitelli da latte.

7 maggio1944
Il 28 aprile u.s., alle ore 15, in Piossasco, una decina di ribelli armati, giunti a bordo di un autocarro, si presentarono in un molino, costringendo il mugnaio a consegnare 25 quintali di riso, allontanandosi poi in direzione di Giaveno.
Si trattava del mulino di Alberga che si trovava in via Piave, già nella direzione di Bruino, Trana, Giaveno?

13 maggio 1944
Il 3 corrente, verso le ore 1,30, in Piossasco, 5 ribelli in divisa da alpini e armati di pistole automatiche penetrarono nella cascina di proprietà del contadino Bartolome(o) LOVERA, costringendo questi a consegnare loro un bovino, che pagarono L.1.400.

13 maggio 1944
L’8 corrente, alle ore 17,30, in Piossasco, elementi ribelli armati bloccarono le vie d’accesso al molino RUFFINATTO, costringendo il proprietario a consegnare loro 18 quintali di segala pagando la merce in ragione di lire 200 il quintale.
Stesso fatto è ripreso tale e quale nel notiziario il 18 maggio.

20 maggio 1944
Il 10 corrente, alle ore una, in Piossasco, quattro ribelli armati penetrarono nella cascina del contadino Domenico COTTINO, costringendo questi a consegnare loro un vitello, che pagarono lire 1.200.

10 giugno 1944
Il 31 maggio u.s., verso le ore 9, in Piossasco, due banditi armati costringevano la gerente di una rivendita di generi di monopolio a consegnare loro un chilogrammo di tabacchi per quale versarono lire 500.

16 giugno 1944
Un grave fatto avviene a Piossasco l’11 giugno: sequestro di un avvocato, cattura da parte dei fascisti di tre ostaggi, ultimatum del segretario del fascio di Pinerolo per il rilascio, pena l’uccisione degli ostaggi. Non seguono altre notizie nei giorni successivi né è dato sapere quali sono stati gli sviluppi dei fatti di quella tragica domenica. Nessuno oggi si ricorda di quel fatto e sono di difficile identificazione le persone coinvolte.
Questo il testo integrale.
L’11 corrente, alle ore 9,45, in Piossasco, banditi armati sequestravano, conducendo seco, l’avvocato Giulio GAMBINO, allontanandosi verso il colle Morione (tra l’alta Valle Chisola e il Monte Freidur, ndr).
In seguito a ciò, alle ore 16 dello stesso giorno, il segretario del Fascio di Pinerolo prendeva in ostaggio le seguenti persone residenti a Piossasco, dichiarando che, se entro le ore 17 del 13 corrente, i banditi non avranno rilasciato l’avvocato GAMBINO, le stesse saranno passate per le armi
- generale dei carabinieri in pensione Silvio CASAVECCHIA;
- generale dell’esercito in pensione Piero PIUMATTI;
- -Leopoldo Galetto.
Riserva di notizie.

20 giugno 1944
L’11 corrente, alle ore 8,30, in Piossasco, 4 banditi armati costrinsero il gerente della locale rivendita di generi di monopolio a consegnare loro Kg.3 di tabacchi, che pagarono.

23 giugno 1944
Il 14 corrente, verso le ore 7,50, in Piossasco, 4 sconosciuti armati costringevano il gerente della rivendita di generi di monopolio Vito MOLARDO a consegnare loro Kg.6 di tabacco vario e 20 di sale, che pagavano al prezzo corrente, allontanandosi poscia per ignota destinazione.

23 giugno 1944
il 15 corrente, alle ore 18, tre banditi armati si presentavano all’esercente Vincenzo VAUDANA, obbligandolo a consegnare loroKg.100 di pasta. Caricata la merce su un carro trainato da un cavallo, i banditi si allontanavano dirigendosi verso Cumiana.
Stesso giorno, altro episodio.
Il 15 corrente, alle ore 11, 4 sconosciuti armati di pistole automatiche, qualificati banditi, si presentarono nella cascina BERTINA del comune di Piossasco, costringendo il contadino Michele DE STEFANIS a consegnare loro un mulo.

30 giugno 1944
Il 21 corrente, in Piossasco e Druento, alcuni banditi asportarono in danno della popolazione dei predetti comuni, complessivamente chilogrammi 25 di tabacchi, 20 di sale e due bovini, pagando la merce a prezzo di listino.

Con la collaborazione di Marco Comello dell’ Anpi di Cumiana

L’avvio

Acqua inquinata e tifo

Il sindaco Andreis iniziò ad affrontare il problema dell’acqua dei pozzi privati le cui falde erano spesso inquinate. Si fa strada l’idea di costruire un acquedotto in eternit da Sangano per l’acqua potabile per far diminuire i casi di febbri tifoidi. Una parte della popolazione era però contraria, perché, realizzato l’acquedotto, occorreva poi pagare l’acqua. Le acque quasi nere scorrevano al centro di via Roma e via Palestro, che sono leggermente in discesa; non vi erano fognature, i pozzi neri lasciavano percolare il liquame nelle falde nelle quali spesso attingevano i pozzi presenti nei vari nuclei dell’abitato. Si faceva la coda per avere un secchio d’acqua dai vicini. Si formò una commissione di tecnici.

Via Roma (già via Montebello) a Piossasco com'era ancora agli inizi degli Anni '50 con le acque di scolo, bianche e a volte nere, al centro della strada, che inquinavano le falde provocando numerosi casi mortali di tifo. (Foto 3 Confini)

L’acquedotto non lo realizzò Andreis, ma il suo successore Michele Elia con un mutuo trentennale (24 milioni del Comune e 24 dello Stato). Andreis, il 29 dicembre, annuncia le sue dimissioni per «motivi di lavoro e famiglia», ma rimane ancora in carica per due mesi. Il Consiglio delibera infatti di «accettare in linea di massima i motivi, ma invita il signor Andreis a soprassedere per almeno due mesi, ripromettendosi di sostituirlo qualora non ritiri le dimissioni alla prima riunione del Consiglio nel marzo del 1947».
E così avvenne il 2 marzo 1947. Michele Elia (Dc) è eletto sindaco e Andreis diventa assessore al posto di Elia. Una staffetta. Motivi delle dimissioni? Dalle delibere del Consiglio del 2 marzo 1947 non emergono indicazioni utili.Un’ipotesi: il sindaco non reggeva la contestazione di chi non voleva l’acquedotto, avrebbe quindi lasciato spazio ad Elia, più pratico della vita amministrativa. Rare le testimonianze su Andreis. Michele Elia, suo successore, ricorda: «Questo mio collega rappresentava il classico tipo di sindaco preoccupato solo di non spendere, di non far debiti, di avere il bilancio in attivo».
Difficile delineare la figura di “Batistot”, perché non esistono più testimoni a distanza di 70 anni. Il prof. Valentino Carpinello, consigliere d’opposizione (Pci) ad Andreis e poi a Elia, così si espresse nel 1984 nel corso di un’intervista al mensile “Piossasco Cronache”.
«Il periodo in cui fu sindaco Andreis noi della minoranza eravamo trattati con arroganza.
Ci facevano pesare la loro schiacciante vittoria elettorale. Batistot esprimeva alcuni ceti reazionari, ambienti contadini chiusi, quelli che credevano che i comunisti avrebbero portato via le mucche dalla stalla, ma anche coloro che erano contro la costruzione dell’acquedotto comunale perché dopo occorreva pagare l’acqua, anche se vi erano i morti per tifo».

Su Elia: «Aveva un grande senso politico, i suoi alleati più fidati nel realizzare l’acquedotto comunale eravamo proprio noi della minoranza di sinistra. L’operato politico di Elia fu la traduzione nell’ambito piossaschese della linea degasperiana. Proveniva dall’esperienza intervista di Michele Elia a “Piossasco Cronache”, gennaio 1984 del CLN locale: quindi sapeva muoversi tenendo conto e rispettando le altre forze politiche.
La sua preparazione politica era avvenuta all’interno dell’Azione Cattolica, antifascista e moderatamente progressista. Elia costituiva l’elemento più giovane, più preparato e avanzato della Dc. Tenendo conto che nella Dc di allora gravavano forti ipoteche dei ceti contadini proprietari e della gerarchia ecclesiastica, Elia ha saputo vincere queste resistenze che trovava nella stessa Dc, anche se – a mio parere- i rapporti con la chiesa locale sono sempre stati stretti e forse condizionanti. Elia divenne comunque il miglior interprete dell’anima popolare della Dc del tempo, realizzando gran parte del programma che si era proposto il CLN».

 

Alessandro Cruto, Piossasco 1847 – Torino 1908

 

Centenario della nascita di Cruto

Nel marzo del 1947, su proposta del consigliere di minoranza Valentino Carpinello si predispone un programma di manifestazioni in onore di Alessandro Cruto «fisico insigne e autodidatta piossaschese», inventore di un particolare tipo di lampadina ad incandescenza prima dell’americano Edison. Oratore ufficiale: Carpinello stesso. Si invita a Piossasco una rappresentanza della Fabbrica di lampadine Philips, fondata da Cruto ad Alpignano.

Elia :«Ecco il mio programma»; Carpinello : «Collaboreremo»

 

Michele Elia, Sindaco dal 1947 al 1956 (Dc)

Il sindaco Elia si insedia il 12 marzo. Dal suo discorso riportato in delibera dal segretario comunale Arbia: «Il nuovo sindaco, rivolgendosi a maggioranza e minoranza, esprime la sua fiducia e certezza che tutti vorranno collaborare nell’interesse della popolazione e dell’Amministrazione stessa per il progresso e il bene del paese». Il professor Carpinello13(minoranza Pci): «Nell’assicurare la richiesta di collaborazione da parte della minoranza, chiedo al sindaco Elia affinché venga personalmente esternata la sua devozione verso lo Stato Repubblicano»: Risponde Elia:«Avendo già prestato giuramento alla Repubblica nelle mani di S.E. il Prefetto di Torino, con tale atto, ho promesso fedeltà alla Repubblica Italiana e al suo capo».

Il programma di Elia: valorizzazione delle proprietà del Comune, illuminazione delle frazioni Campetto, Brentatori, Gay, sistemazione dei dipendenti comunali, distribuzione dell’acqua potabile, regolamento per le fognature, vendita dei terreni infruttuosi per il Comune adiacenti al torrente Sangonetto. Più tardi, il 1° agosto 1948, si approva l’acquedotto in Consiglio con appello nominale per evitare i franchi tiratori. Risultato: 14 sì (sinistra compresa) e 5 no (della maggioranza). Il sindaco aveva detto prima della votazione: «Il mio mandato, qualora non si realizzassero fognature e acquedotto, dovrebbe quindi ritenersi esaurito nel tempo. Nel caso la mia proposta venisse respinta, non mi resterebbero che le dimissioni».
Commenta Gianolio, parroco di San Francesco: «Si tratta di un’opera utilissima alla popolazione. Diamo plauso alla nostra Amministrazione nel desiderio che tutto sia fatto con solidità e perfezione in modo che anche i posteri abbiano ad ammirare l’opera nostra e a goderne in salute e prosperità».

 

Boch muore nel gennaio del ‘51

Non più sindaco, Boch è consigliere di minoranza. Le delibere di Consiglio riportano i suoi scarni interventi sotto forma di interpellanze su piccoli problemi molto concreti. Maggio 1947: «Espone che alcuni panettieri usano delle preferenze nella distribuzione del quantitativo di pane extra-tessera con grave danno di molti lavoratori che non possono vivere con l’esiguo quantitativo della razione concessa con la tessera, nonché quelli che non possono procurarsi farina o grano». In delibera non è riportata la risposta dell’Amministrazione. Gli interventi dei consiglieri di maggioranza e minoranza, quando sono trascritti nei verbali, sono filtrati dalla penna del segretario comunale Arbia. Boch è assente il 7 novembre 1950 (la seduta andò però deserta perché erano presenti solo 9 consiglieri). Ultima presenza il 16 settembre 1950. Morirà il 23 gennaio 1951. Funerale con rito civile, il primo avvenuto a Piossasco. Aveva 59 anni.
L’8 aprile il sindaco Elia lo commemora in Consiglio «elogiando la sua figura. Fu attivo collaboratore dell’Amministrazione, persona capace e uomo probo. Elevo un riconoscente pensiero alla di lui famiglia alla quale rinnovo le più vive condoglianze». Tutto il Consiglio si associa. Interviene Pietro Peirone (Psi, minoranza) che ringrazia per le parole del sindaco pur «manifestando il suo rincrescimento per il fatto che per le spese dei funerali non sia intervenuta l’Amministrazione, come praticato in altra analoga occasione».
Annota il segretario comunale Arbia che sintetizza le parole del sindaco: «L’offerta della vettura gratuita per il trasporto della salma al cimitero venne rifiutata dalla famiglia dello scomparso». Boch non fu sostituito in Consiglio perché a giugno avvennero le elezioni amministrative, anche se il Consiglio deve essere sempre “perfetto” con tutti i consiglieri eletti e surrogati per dimissioni o morte.
Secondo Luigi Garello e Giuseppe Piatti, in un’intervista agli inizi degli Anni ’80 a “Piossasco Cronache”, il parroco di San Francesco don Gianolio si sarebbe rifiutato di celebrare i funerali religiosi a Boch perché prima di morire non si era confessato.
Dell’ex sindaco si ricordano alcuni fatti: «Boch conobbe a Torino Antonio Gramsci e Umberto Terracini, poi presidente della Costituente. Nei primi Anni ’20, Terracini, su invito di Boch, venne a Piossasco per l’inaugurazione del monumento ai Caduti della prima guerra mondiale e delle guerre risorgimentali».
Michele Elia così ne parlò a distanza di anni: «Con Boch eravamo amici, era una persona di grande umanità, cercava sempre rapporti a livello umano».
Sulla figura di Boch «uomo» pubblichiamo in una nota una lettera del maestro elementare Ernesto Gorrea, inviata dalla nipote Rosa Lina Oberto al mensile “Piossasco Cronache” e apparsa nel numero di settembre 1983. Nella lettera si rievoca una passeggiata di Gorrea.

Le interviste e le dichiarazioni di Luigi Garello, Giuseppe Piatti, Ernesto Tonda sono tratte dal mensile “Piossasco Cronache”, febbraio e marzo 1983.

Intervista a Piossasco Cronache del 1983

Lettera del maestro elementare Ernesto Gorrea a Rosa Lina Oberto, nipote di Giovanni Boch. La lettera ricorda a tratti i contenuti etico-morali emersi nell’incontro tra il giovane poeta Ugo Foscolo e l’anziano poeta Giuseppe Parini, nel boschetto di tigli a Milano.

«Giovanni Boch, per noi “Gioanin Boch”. Sapevo che era un uomo non soltanto «così». Lo conoscevo da tempo tra gli arnesi del suo mestiere, anche se umile (calzolaio, n.d.r). Non avrei mai pensato vivesse in lui una coscienza così illuminata.

Un giorno, di sabato, mi chiese (allora ero molto giovane) se la domenica volessimo fare una passeggiata da Piossasco a Bruino, per andarci a bere un bicchiere di «tokai» in una piola del paese che egli conosceva.

Andammo: la strada orrendamente asfaltata (strade del dopoguerra!) ci portò là, a Bruino. Lungo il percorso, tra prati in cui stridevano eserciti di grilli, nel tramonto estivo, per la precisione. Si parlava. Si parlava: egli non parlava di sé e capii che era schivo, da buon piemontese. Poi compresi che non era solo il fatto di passare «la domenica della povera gente»che lo aveva indotto all’invito. Non c’era altro in quel tempo di povertà (eravamo appena fuori da una guerra che ci aveva risparmiati, ma votati alla miseria chissà per quanto!).

Il discorso era lento, io non chiedevo per pudore, Gioanin recitava per il medesimo senso. Bevemmo il tokai, ci si infervorò ed egli aprì un varco al tempo malaugurato della sua vita di esule politico. Oggi mi viene di ricordare lui con Pertini, anche se uno è celebre e l’altro era noto solo a noi. Non era uguale l’ideale? Direi di sì.

Conobbi poi altri: cito soltanto Augusto Monti, ormai vecchio piemontesone, carico di nostalgie non realizzate, come Boch. Gioanin, a me giovane, raccomandava di pazientare, dicendomi che le riforme sono lente a realizzarsi, che è bene tenerle vive in noi, ma senza troppe facili illusioni. Quanto è vero, oggi, quanto diceva! Egli che stentava a vivere, beneficando i più indigenti di lui, non presumeva. In tanti anni di vita coatta in Francia, aveva seguito un ideale scomodo e duramente pagato sulla sua pelle; aveva scelto il rischio e lo aveva compagno.

Eppure non era mai senza sorriso con tutti noi. La sua massima preoccupazione era di non pesare sugli altri.

Egli non poté mai aver famiglia sua (diritto sacrosanto di ogni uomo!). Viveva con la sorella e il cognato che lo circondavano d’aiuto affettuoso, ma il vuoto in sé gli pesava quotidianamente. Arrivarono poi gli anni strazianti dell’angina pectoris che lo soffocava in lunghe ore di dolore. Non ho mai visto quel volto contrarsi oltre la smorfia del dolore fisico. L’ottimismo spirituale si alzava, appena finita la crisi d’asfissia.

Di Dio non negò mai l’esistenza, ma non lo cercò perché non ne sentiva il bisogno, come ogni laico. La natura e le stravolte vicende umane erano state, pertanto, il suo pane e ciò con la Storia era tutto.

Si spense serenamente un triste giorno, uno dei tanti che ruotano intorno a noi, anzi in un crepuscolare gelido giorno di gennaio. Fu sepolto a «lumi spenti » con una enorme folla di gente «così», che lo aveva tanto amato. Il ricordo di Gioanin Boch? A tanti anni di distanza è ancora e sempre una presenza che scalda il cuore».

con “Gioanin” Boch da Piossasco a Bruino «per andare a bere un bicchiere di tokai in una piola del paese che egli conosceva».
La nipote Rosa Lina Oberto, 90 anni, ora residente a Pavia con la figlia, ricorda con affetto la figura del suo padrino nel corso di un colloquio avvenuto il 25 gennaio 2017. La Oberto dal 1952 non abita più a Piossasco. «Giovanni Boch era una persona splendida, si dedicava solo ai poveri e li aiutava in ogni modo. Abitava con noi in via Solferino. È vero che gli hanno rifiutato i funerali religiosi, ma alla cerimonia vi era moltissima gente. S’è tenuta un’orazione funebre, ma non ricordo più da chi. Il suo mestiere era quello del calzolaio, faceva le scarpe su misura e le riparava. Era molto bravo. Mio padre Alfredo, che produceva liquori nella fabbrica di piazza XX Settembre dedicò a lui e alla sorella un amaro con una bella etichetta: Amaro Boch. Ne abbiamo ancora una bottiglia per ricordo.
Il cognome Boch forse è originario della Savoia. Non abbiamo mai svolto ricerche. A Piossasco penso non vi sia più nessuno con quel nome».

Di Boch si occupò nel febbraio 1962 l’allora sindaco Luigi Boursier (già ex podestà) con parole di elogio in Consiglio comunale comunicate con una lettera alla sorella Elsa Boch. Boursier rievocò «l’opera svolta a favore del paese dal Vs. caro e compianto congiunto Giovanni Boch la cui opera non si perde nel ricordo di chi l’apprezza e ne trae i conseguenti benefici». Il Consiglio, «all’unanimità con voti accomunati al più profondo senso di riconoscenza, ha deciso di tenere affissa nella sala municipale delle adunanze, la fotografia dei due sindaci di Piossasco (del dopoguerra ndr) già deceduti che, dalla liberazione in poi si sono prodigati affinchè il lavoro comunale e lo sviluppo cittadino risultassero sempre più efficienti». Il sindaco concludeva richiedendo alla sorella di Boch una fotografia per esporla, con quella di Giuseppe Andruetto scomparso nel 1962, nella sala pubblica.

 

Corteo di partigiani armati ed autorità locali si reca al cimitero con una corona d’alloro imboccando l’allora Via Volvera, oggi Via Alfieri. Incerta la datazione: potrebbe essere stata scattata domenica 6 maggio 1945 quando si festeggiò il ritorno dei partigiani piossaschesi e si celebrò in San Francesco un Te Deum di ringraziamento. Altra data possibile è quella del 9 maggio quando, sempre in San Francesco, si celebrò un solenne funerale per i partigiani caduti.

 

 

Presentazione del 6 ottobre 2017

 

 

 

La presentazione della ricerca è avvenuta il 6 ottobre 2017 presso la biblioteca civica “Revelli” di Piossasco. Il pubblico (sopra) e il tavolo della presidenza. Nell’ordine da sinistra a destra: Gianfranco Martinatto, ricercatore di storia locale; Nino Boeti, Vice presidente del Consiglio regionale del Piemonte; lo storico Gianni Oliva e l’autore Ezio Marchisio.

 

La presidenza della presentazione. Da sinistra a destra: Gianfranco Martinatto, ricercatore di storia,
il presidente del Consiglio Regionale Nino Boeti, Gianni Oliva storico, l'autore Ezio Marchisio.

Pubblico

 

Aggiornato al 08 giugno 2020

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