Ricerca di Ezio Marchisio
A.N.P.I. Piossasco
Sezione Mario Davide
Piossasco 1943 - 1946
La ripresa del dopoguerra
L’imposta di famiglia
L’unica entrata per il Comune era costituita allora
dalla riscossione dell’imposta di famiglia. Una circolare dell’allora
ministro delle Finanze Mauro Scoccimarro (Pci) invitava il CLN a rivedere
i ruoli «affinché effettivamente ogni contribuente corrispondesse
al Comune in rapporto all’attuale reddito». L’imposta
risaliva ancora agli accertamenti del 1939. Con questo provvedimento si intendeva
colpire gli illeciti arricchimenti verificatesi durante la guerra.
Su questa scelta nascono i primi dissidi all’interno del CLN. Pci, Psi
e Pd’A avrebbero voluto procedere ad una severa tassazione dei redditi,
frenavano la Dc e il Pli.
Piossasco al censimento del 1936 contava 3.572 abitanti.
La borsa nera
La mancanza di generi alimentari e il loro razionamento fu
uno dei problemi del CLN e di Boch.
Il grano venduto all’ammasso era pagato 110 lire al quintale, alla borsa
nera invece raggiungeva la somma di 22.000 lire. Nella seduta del CLN del
5 maggio «il membro Mario Pautasso (Psi) sostiene la tesi che si
debba procedere alla chiusura di tutti i forni esistenti presso i privati
onde obbligarli a far fare la confezione del pane dai locali panettieri affinché
tutta la popolazione in questo breve periodo che ci separa dalla prossima
nuova raccolta granaria possa mangiare un unico tipo di pane senza distinzione
di sorta fra contadini e gli altri ceti della popolazione».
Sempre nella stessa delibera: «Per quanto si riferisce alla salatura
del pane di invitare ogni panettiere di far fare un plebiscito ai propri clienti
onde sapere chi desidera il pane da salare a lire 4 al kg e chi vuole il pane
salato (impastato con acqua salata proveniente da alcuni pozzi salmastri,
ndr) a lire 6 il Kg». I panettieri in Piossasco nel 1945 erano
8 con un uso mensile dichiarato di 485 Kg. di farina.
Il Governo Militare Alleato emana il 12 luglio 1945 disposizioni sulla vendita della carne e del latte nel tentativo di porre un freno all’aumento incontrollato dei prezzi e di ridurre gli effetti della borsa nera per quanto riguarda il bestiame bovino e il latte. Si stabilisce un prezzo per i vari tipi di carne e per il latte il cui prezzo al produttore (oggi si dice alla stalla) con un tenore di grasso del 3,2% è fissato a 9 lire al litro. I bovini destinati alla macellazione sono divisi in cinque gruppi con prezzi minimi e massimi al chilo:
vitelli da latte da 44 a 30 L./Kg vitelloni, giovenche, manzi/e da 38 a 30 L/Kg buoi da 32,40 a 22,80 L/Kg vacche da 30 a 20,40 L/Kg tori da 32,40 a 28,40 L/Kg |
Scrive nel manifesto il Colonnello Robert P. Marshall, commissario regionale: «Chiunque non osservi il presente ordine o comunque trasgredisca le relative disposizioni sarà a giudizio di un Tribunale Militare Alleato, passibile di quellalegittima pena che il Tribunale stesso riterrà di applicare».
Nello stesso provvedimento del 5 maggio si accerta che i
debiti del Comune assommano a 49.328,75 lire. Per i ricoveri ospedalieri dei
cittadini piossaschesi occorre pagare 6.000 lire circa, il geom. Riccardo
Morello aspetta dal Comune 23.439,95 lire; la contessa Seyssel d’Aix
della tenuta “La Strania” ha un credito di 21.056 lire per aver
fornito legna da ardere alle scuole; 4.800,35 al Comune di Torino; 14.790
all’ospedale Amedeo di Savoia per i colpiti da febbri tifoidi.
L’11maggio la Giunta CLN constata però che «nonostante
la più ampia azione conciliativa e persuasiva adottata dal CLN e personalmente
dal sindaco Boch verso gli inadempienti al conferimento ammasso cereali, ben
pochi agricoltori hanno provveduto a quanto di loro dovere». Guido
Billotti (Dc) fa presente «la necessità di passare immediatamente
ad azione
coercitiva nei confronti dei non adempienti, pubblicando all’Albo Pretorio
i nomi perché tutta la cittadinanza ne prenda visione, prelevare loro
i capi bovini, denunciarli a S.E. il Prefetto».
Carne solo per i malati gravi
Anche per la carne si pone la necessità di un più
rigido tesseramento.
La Giunta CLN sottolinea «la straordinaria facilità colla
quale i medici locali rilasciano ai loro ammalati buoni supplementari».
Si ravvisa allora la necessità che «i sanitari rilascino
tali buoni esclusivamente agli affetti da tubercolosi, diabete e casi eccezionali.
I buoni mensili non devono superare il numero di 25 per ogni sanitario».
L’8 maggio il CLN stabilisce di «requisire settimanalmente
i capi bovini necessari per la distribuzione di carne alla popolazione civile»
e «il grasso che di volta in volta viene ricavato dalla macellazione
dei bovini sia raccolto e conservato onde poterlo distribuire alla popolazione
civile in ragione di 25 gr. pro-capite».
Le sorelle Pierina e Angela Oberto nella macelleria del fratello
Santino di via Palestro.
Il cartello indicava la quantità di carne razionata che si otteneva
settimanalmente con la "tessera" annonaria.
Gli sfollati da Torino
Uno dei problemi dei Comuni della Cintura era costituito
fin dall’estate del 1940 dall’arrivo massiccio di famiglie da
Torino sfollate per evitare i bombardamenti degli Alleati. Si calcola che,
su 3.513 abitanti, vi fossero circa 3.000 sfollati con un notevole pendolarismo
da e per Torino di chi lavorava nel capoluogo e aveva avuto la casa distrutta
o temeva di soccombere sotto le bombe che periodicamente di notte colpivano
i quartieri dove vi erano fabbriche, stazioni e infrastrutture di carattere
sociale. La popolazione di Piossasco era quasi raddoppiata. Gli sfollati trovarono
ricovero provvisorio anche in una sola camera. Numeri ufficiali non ve ne
sono: occorre rifarsi alla popolazione residente nelle due parrocchie di Piossasco:
secondo i due Bollettini a San Vito vi erano 1.200 abitanti e nel territorio
di San Francesco 2.313.
Secondo uno studio condotto dagli allievi del liceo “Pascal” di
Giaveno nel 1982 a Piossasco nel novembre 1942 vi erano 3.709 residenti di
cui 2.379 sfollati: un aumento della popolazione del 64,1%. Moltissimi sfollati
si spostavano ogni giorno per lavoro a Torino, con la “corriera”,
con il trenino da Orbassano o da Bruino o in bicicletta. I numeri non concordano,
resta però l’entità degli arrivi e l’aumento dei
generi di prima necessità (pane, farina, latte e una volta al mese
la carne) necessari per tutti gli abitanti
Dopo la Liberazione progressivamente queste famiglie ritornarono a Torino
o nei dintorni conservando spesso ricordi e amicizie con le famiglie di Piossasco
che avevano affittato loro un piccolo spazio.
Per gli studenti torinesi residenti temporaneamente a Piossasco si tenta dal
1940 di aprire una scuola superiore regolare parificata autorizzata ad insegnare
le materie delle medie e delle superiori ad una ventina di giovani studenti
che rischiavano di perdere l’anno. Ma l’idea non si concretizza
nonostante gli sforzi e l’impegno dei signori Sertorio, Segalin, Schaeffer
di San Vito e della maestra Ester Germena, segretaria del fascio femminile.
Si rimedia facendo venire un sacerdote da Torino e si prestano alle lezioni
alcune professoresse anche loro sfollate. Nel marzo 1943 la casa madre torinese
delle suore della SS. Trinità è rasa al suolo da un bombardamento
alleato.
Le madri si spostano a Piossasco e aprono una scuola media religiosa parificata
nella villa del Cav. Sertorio perché all’elementare Umberto I
non c’è posto. Non mancava il catechismo per i figli degli sfollati
con lezioni di un’ora ogni giorno e gli esami finali sostenuti davanti
al Vicario.
Militari
del Sud sbandati
sfollati alle Prese di Sangano
A dimostrazione di quanto fossero numerosi gli sfollati nella
nostra zona (circa 3.000 solo a Piossasco su una popolazione di 3.503 abitanti)
va citata la loro presenza anche nella frazione di montagna delle Prese
di Sangano che dista qualche centinaio di metri dalle Prese
di Piossasco. Erano probabilmente soldati del regio esercito italiano
che si trovavano nel Nord Italia o nel torinese nei giorni seguenti l’8
settembre 1943: inparte sfollati, in parte si sono avvicinati alle formazioni
partigiane della zona di Giaveno, della Val Sangone e della Val Chisone. Le
due borgate erano infatti un punto di passaggio e a volte di ritrovo dei partigiani.
Nel Diario del partigiano piossaschese Mario Davide si parla infatti delle
due frazioni. I giovani lavoravano nei campi e nei boschi presso alcune famiglie
che li ospitavano: un primo esempio di accoglienza e fraternizzazione di cui
si parla molto oggi ma si mette poco in pratica.
Il primo se ne andò già nel 1944, gli altri tre di cui si ha
la documentazione lasciarono le Prese nel maggio del 1945. La loro foto e
le semplici parole di ringraziamento sono state conservate dalla famiglia
ospitante: Andruetto-Dovis.
Stefano Maria Nicoletti, nato il 3 giugno 1921 a San Pietro in Guarano (Cosenza),
diplomato insegnante elementare, iscritto a Lingue all’Università
Orientale di Napoli, prestò servizio militare a Bologna e a Pola in
Croazia, allora italiana. Dopo l’8 settembre 1943 fu deportato dai nazisti
in un lager in Germania. L’11 novembre 1943 tornò in Italia per
far parte dell’esercito della Repubblica sociale di Salò. Nella
primavera del 1944 fu comandante del presidio di Orbassano. Scontento di come
tedeschi e fascisti si comportavano con la popolazione civile si avvicinò
al movimento partigiano della Val Sangone dopo aver ritrovato, dai tempi di
Bologna, il comandante Giulio Nicoletta, calabrese di Crotone e suo amico.
L’incontro con Nicoletta e successivamente con il comandante Sergio
De Vitis di Frossasco ma abruzzese d’origine, lo indussero a disertare
l’esercito della RSI con altri suoi commilitoni. In questo “passaggio”
fu aiutato e presentato a De Vitis dal vice parroco di Orbassano don Ettore
Gaia, definito in seguito “cappellano dei partigiani”. Il 17 giugno
1944 lasciò Orbassano per la Val Sangone. Il 22 giugno raggiunse con
altri suoi compagni De Vitis in montagna.
Scrisse nel suo diario Maria De Vitis, sorella di Sergio:” Nicoletti
fu partigiano solo per tre giorni, ma morì da eroe”. Il 26 giugno
il tenente Nicoletti cadde infatti ucciso dai tedeschi nel corso dell’assalto
dei partigiani alla polveriera di Sangano. Con lui lo stesso De Vitis e altri
cinque partigiani. Il nome di Nicoletti è scolpito nella pietra del
cippo collocato sul Sentiero De Vitis a Sangano.
Sul tenente Nicoletti ha scritto un’ampia e documentata biografia Igino
Iuliano, storico locale di San Pietro in Guarano. Le documentazione è
reperibile dal sindaco del paese calabro.
Stefano da Pantelleria (Trapani) lasciò la famiglia Andruetto lunedì
3 gennaio 1944, dando come ricordo una sua foto da civile.E’ probabile
che questo “Stefano da Pantelleria” sia il Nicoletti con un’altra
identità, ma le date della sua permanenza alle Prese non collimano,
anche se le foto da civile e da militare presentano una certa somiglianza.
Nicoletti non ha nulla a che vedere con Pantelleria. Infatti Gaetano Busetta,
ufficiale dello Stato civile del Comune di Pantelleria informa che nel 1921
nell’isola era nato un solo bambino di nome Stefano Nicolosi “del
quale non possiamo confermare alcun nesso con Stefano Nicoletti”.
Resta la curiosità di conoscere il perché della dicitura “Stefano
da Pantelleria” per una famiglia che probabilmente non aveva mai sentito
nominare quell’isola. Forse per antifrasi, per esagerazione, essendo
Pantelleria è una delle isole più lontane dalla costa italiana.
E soprattutto dalle Prese di Sangano. Nicoletti aveva una cultura classica
ed era iscritto a Lingue all’Università di Napoli. Le figure
retoriche le conosceva bene.
Donato Falcone se ne va dalle Prese mercoledì 30 maggio 1945 scrivendo:
”Lascio il mio Ricordo lasciandovi i più cari saluti a tutti.
Falcone Donato. Arrivederci. Lascio questa mia con molto piacere delle due
tote (signorina in dialetto piemontese, ndr) vicine Elia –Rosina. Arrivederci
affezionatissimi saluti e auguri”.
Piero Amico scrive su un biglietto:”Ricordo alla Borgata Prese di venti
mesi trascorsi con armonia”.
Alfredo Lorentini. Di questo soldato si sa poco, nè si conosce la sua
origine. Di lui è conservata una fotografia di gruppo che lo ritrae
(forse nel 1945) alle Prese di Sangano dove fu ospite della famiglia Andruetto
con Donato Falcone. Con lui (il primo a sinistra) alcuni componenti della
famiglia Andruetto. L’ultimo a destra è Donato Falcone.
Non si hanno testimonianze di sfollati e di militari alle Prese di Piossasco,
anche se non è da escludere la loro presenza.
Stefano Maria Nicoletti
(S. Pietro in Guarano (Cs) 1921 – Polveriera di Sangano 1944) |
Stefano Maria Nicoletti, nella foto
lasciata alla famiglia che l’ha ospitato alle Prese di Sangano |
Ricordo alla Borgata Prese di venti mesi trascorsi con armonia Piero Amico |
Lascio questa mia con molto
piacere delle due tote vicine Elia Giai Merlera - Rosina Ruffino arrivederci affezionatissimi saluti e auguri Falcone Donato 30 maggio 1945 |
Prese di Sangano, da sinistra Alfredo Lorentini, Maria
Andruetto, Renato Ruffino Elia Giai Merlera, Sergio Andruetto, Esterina Dovis e Donato Falcone |
Piazze e vie nuove
Ad agosto ‘45 la Giunta del sindaco Boch provvede a
cancellare alcune tracce del regime fascista: sono cambiate le denominazioni
di vie e piazze: Piazza Regina Elena (moglie di Vittorio Emanuele III, figlia
del re del Montenegro, cui era stata titolata Piazza San Vito), torna all’antica
denominazione con grande soddisfazione del Vicario Fornelli, che plaude all’iniziativa
dalle pagine del bollettino, in questi anni l’unica fonte di piccole
notizie sulla vita sociale ed amministrativa (e spesso politica) di Piossasco.
Scrive il Fornelli già a giugno 1945, sempre molto attento alle vicende
del territorio della sua parrocchia, intesa quasi come feudo ecclesiastico
a se stante: «Qualcuno ha espresso un’idea che condividiamo
perfettamente e che abbiamo il piacere di far conoscere alle autorità
e ai parrocchiani, ed è questa: se anche a Piossasco, nella vita nuova
che si è iniziata, si procederà al cambiamento al nome di alcune
Vie e Piazze, sarebbe opportuno che l’attuale piazza Regina Elena diventasse
Piazza San Vito. Sarà questa una giusta aspirazione popolare, che non
mancherà di essere rispettata, in omaggio alla sincera democrazia».
Ad agosto il suo desiderio viene esaudito dal sindaco comunista.
Via Ruata Superiore, la via storica di Piossasco a monte dell’abitato
con un nome d’origine tardo latina (ruga-strada) è dedicata al
partigiano Mario Davide che abitava all’altezza del numero civico 28,
ucciso dai nazifascisti a Forno di Coazze in alta Val Sangone il 10 maggio
1944. Così Piazza Italo Balbo (il Quadrumviro ferrarese della Marcia
su Roma, fascista, squadrista, aviatore e trasvolatore scomparso nei cieli
libici di Tobruch, nel 1940) assume il nome di piazza Fratelli Ugo e Remo
Baudino: la piazza era stata titolata al “Maresciallo dell’aria”
il 22 ottobre 1940. Mentre via Carso diventa via Aldo Piatti.
Si legge nella motivazione: «Vie e piazze che ricordano nomi di
nostri gloriosi patrioti militanti nelle file partigiane durante il periodo
nazi-fascista e gloriosamente immolatisi per la causa della libertà
e della rinascita della nostra patria».
Nella riunione della Giunta del 9 ottobre 1945 il Cln propose di cancellare
Piazza Fiume (che ricordava l’”Impresa” quasi piratesca
dei legionari di D’Annunzio nel 1919-1920) e di titolarla all’alpino
piossaschese Saverio Marcante che fu catturato nel 1943 sul fronte greco dai
nazisti e deportato in Germania dove morì il 4 aprile 1944 di stenti,
fame e malattia in un lager per soldati internati. La proposta non ebbe seguito
e non vi è più traccia nelle delibere seguenti. Rimase Piazza
Fiume che oggi è condivisa con il piossaschese Michele Gallino (1925-1944)
ucciso dai nazifascisti nella frazione Provonda di Giaveno il 28 novembre
1944.
Resterà fino agli anni ’80 la ridicola scritta “Roma
doma” in via Pinerolo, tra il ponte sul Sangonetto e via Cruto,
e “Camminare, costruire e se necessario combattere e vincere”,
visibile ancora oggi in via Pinerolo sul retro dell’ex Casa Silvani.
Occorrerà aspettare gli Anni ’60 per avere via Martiri della
Libertà e la fine degli Anni ’70 per via XXV Aprile”, via
Vittoria Nenni, via Giovanni Boch e le piazze Partigiani e Michele Gallino.
La scuola media titolata a Ferruccio Parri, (1890-1981), capo partigiano,
membro del CLN Alta Italia e primo presidente del Consiglio dell’Italia
liberata da nazifascisti, fu costruita nel 1981.
La stazione di Piossasco poi casa del Fascio e Dopolavoro:
si affacciava in piazza Italo Balbo, poi denominata piazza fratelli Baudino
La stazione di Piossasco in via Pinerolo con un piccolo treno
merci in arrivo
In altro all'altezza del tetto è visibile uno dei castelli di Piossasco
Il Parco della Rimembranza per i caduti piossaschesi nella prima guerra mondiale e nelle guerre d'Africa. Si trovava a ridosso della stazione ferroviaria (Torino-Piossasco-Cumiana-Pinerolo) tra Via Trieste e Via Aldo Piatti. Sulla sinistra l'ex stazione, al centro la futura via Trieste. Visibile la colonna spezzata, i paletti in ferro con le targhette dei nomi dei caduti. Nel 1946-1947 il Parco fu trasferito in via Nino Costa davanti al cimitero con l'aggiunta dei cippi dei caduti nella seconda guerra mondiale e dei partigiani. L'area era stata precedentemente acquistata dal Comune dalla ditta SAMT dell'ing. Zorzoli, con un impegno d'acquisto stipulato nell'aprile del 1945, un paio di settimane prima della caduta del fascismo repubblichino e della Liberazione.
Piccoli e nuovi problemi
L’Ente comunale di assistenza che forniva alle famiglie
povere piccolissime somme di denaro, secondo gli assessori Giovanni Bertolotti
e Mario Pautasso, «dovrebbe istituire una mensa per la distribuzione
della minestra».
Macellazione clandestina: Boch sostiene (delibera del 26 giugno 1945) «che
in questo Comune vi siano ancora delle persone che contrariamente agli ordini
in vigore macellino e vendano clandestinamente tali carni».
Ecologia del Dopoguerra: inquinamento prodotto dal Feltrificio Subalpino di
proprietà di Enrico Vagnone di Torino. La fabbrica di feltri che si
trovava in via Pinerolo angolo via Trento, fu chiusa a metà degli Anni
’70 e trasferita al Bivio di Cumiana. A luglio la Giunta comunale «ritiene
urgente provvedere per eliminare il fetore regnante nei dintorni del Feltrificio
Subalpino». Si diffida quindi la direzione «affinché
qualsiasi scarico dello stabilimento non sia riversato nel Sangonetto né
mediante condutture, né mediante trasporto con botte […] onde
non inquinare la poca acqua che attualmente è indispensabile all’abbeveraggio
del bestiame».
A ottobre, con la ripresa delle scuole elementari, il maestro Luigi Losano
richiede la cancelleria per le classi dell’Umberto I. La Giunta approva
«depennando il superfluo tenendo presente di fare la massima economia
possibile in considerazione dei prezzi sbalorditivi che hanno preso tali articoli
e che gravano sul bilancio comunale in forma decisiva». Il maestro
Losano è stato l’unico superstite dell’eccidio di Cumiana
del 3 aprile 1944, perché è riuscito a dire in tedesco al comandante
del plotone d’esecuzione: «Non sono di Cumiana».
Abolire il mercato domenicale: è questa la richiesta di metà
novembre dei commercianti fissi «onde maggiormente incrementare
il mercato del giovedì». Gli ambulanti e alcuni altri cittadini
sono del parere opposto e chiedono che restino i due mercati. Si tiene una
riunione nel cinema teatro comunale il 16 novembre. Il sindaco Boch invita
i presenti a mettere per scritto pubblicamente le loro opinioni. Intervengono
Renato Balbo, Pasquale Chialvo, Erminia Gallino in Re, Mariuccia Fiora. Annota
il segretario comunale: «Dall’interrogatorio di tutti i commercianti
presenti all’adunanza risulta che hanno punti a loro vantaggio i commercianti
fissi che richiedono un solo mercato». Il mercato della domenica
sarà poi abolito, dopo aver consultato la Prefettura, il 29 dicembre
perché era «solo una consuetudine formatasi in questi ultimi
tempi e manifestamente illegale».
Nella delibera del Cln del
15 maggio 1945 sono elencati i panettieri con forno di Piossasco e il
loro fabbisogno giornaliero di farina: Calza kg 34 Gallo G. kg 26 Gallo M. kg 90 Lanza Emilio kg 100 Martinatto Michele kg 100 Mondino kg 30 Mosso kg 63 Vaudagna kg 72 |
La motocicletta del veterinario
l’auto del dottor Alfano
e quattro cavalli in arrivo
Durante i mesi della Resistenza alcuni artigiani e patrioti
avevano requisito per ordine dei superiori alcune automobili (rarissime per
i tempi) e motociclette. Ma anche dei cavalli da tiro e da lavoro. La moglie
del dottor Silvio Silvani, medico condotto di Piossasco e Bruino, si lamentò
in una lettera al figlio Gustavo del sequestro dell’auto del marito
(restituita dopo il 25 Aprile un po’ malconcia) costretto a visitare
i suoi pazienti in bicicletta fino a Bruino e anche qualche volta a Cumiana.
Al veterinario comunale Alfredo Mallè (spesso in camicia nera) era
stata presa la moto da un piossaschese di nome Ezio Bruno. Se ne parla nella
Giunta del 15 maggio. Strano: di questo Ezio Bruno non c’è traccia
all’anagrafe di Piossasco!
“Il signor Bruno Ezio, già militante nelle file patriottiche,
detiene tutt’oggi a casa sua la motocicletta del sanitario Dottor Mallè
Alfredo –veterinario comunale- ed essendo cessati i tempi di emergenza
che autorizzavano il prelievo di macchine private, deve subito ritornare la
macchina prelevata al predetto sanitario salvo a comprovare a questo CLN,
mediante documento rilasciato dal Comando di Piazza di Torino che deve ancora
trattenere la motocicletta”. Ezio Bruno viene avvisato con una lettera
del sindaco Boch.
Il 22 maggio il veicolo viene già restituito a Mallè. Per velocizzare
i tempi il membro del CLN Guido Billotti (Dc) si era recato personalmente
dai “comandanti delle formazioni patriottiche Fausone e Prof. Usseglio
onde definire con esattezza tale questione”.
Del caso era stato consultato anche il Comandante di Divisione Adolfo Serafino
(4°btg. - Corpo Volontari della Libertà) di Pinerolo che aveva
messo per scritto il suo “Sì” alla restituzione.
Il prof. Guido Usseglio Mattiet di Giaveno, comandante partigiano in Val Sangone
(nome di battaglia 696, dal prefisso telefonico dell’ospedale Molinette
di Torino dove lavorava e dove fu poi primario) durante l’incontro con
Billotti gli aveva detto che alle sedute della Giunta CLN potevano partecipare
anche i partigiani locali.
E’ scritto in delibera: ”Secondo i consigli ricevuti dal Comandante
Prof. Usseglio alle sedute del CLN che normalmente si svolgono la sera del
martedì e venerdì possono intervenire anche i partigiani locali
e far qualsiasi obbiezione in merito. I convenuti approvano la suddetta proposta
e rilevano che, mentre le osservazioni che avvengono in sede di adunanza sono
tutte legittime, qualsiasi mormorazione fatta contro il CLN fuori delle adunanze
deve considerarsi arbitraria e sollevata esclusivamente da persone amanti
del perturbamento della pubblica Amministrazione”.
Nelle delibere seguenti non sono però citati eventuali partigiani locali
presenti alle riunioni del CLN.
Al dottor Francesco Alfano, Ufficiale sanitario, non fu requisita dai partigiani
la vettura ma ancora a fine maggio ’45 non poteva usarla ed era ancora
nella rimessa di Via Cruto. Mancanza di carburante? I motivi non sono specificati.
Alfano viene ricevuto dalla Giunta CLN il 29 maggio. Verbalizza l’incontro
il segretario comunale Guerrera.
“Viene ammesso all’udienza il dottor Alfano il quale invita cortesemente
il CLN locale a volersi interessare presso i competenti uffici della Provincia
onde possa avere un’autorizzazione a circolare con la propria autovettura
e nello stesso tempo rappresenta l’opportunità che pure sia richiesta
l’autorizzazione per la circolazione di una vettura ad uso noleggio
da adibirsi esclusivamente al trasporto degli ammalati gravi”.
Alfano coglie poi l’occasione di chiedere al CLN “di poter assistere
all’ospedale San Giacomo eventuali suoi clienti che intendessero farsi
ricoverare all’ospedale predetto a pagamento come viene fatto negli
ospedali e cliniche di Torino a pagamento dove è lasciata ampia facoltà
ai degenti di farsi curare dai loro medici abituali”.
Il CLN assicura Alfano “che tali suoi desideri troveranno l’appoggio
del CLN locale in riferimento alle attuali disposizioni di legge e norme in
vigore”.
Non solo motociclette e auto ma anche cavalli requisiti durante la Resistenza
stanno tornando a Piossasco.
“Pregasi voler incaricare il locale CLN per il ritiro a Chivasso (…)
numero due equini assegnati a Piossasco per consegnarli ad agricoltori maggiormente
danneggiati da requisizione quadrupedi. Necessita provvedere”: così
ha deciso un non meglio identificato Ufficio Zootecnia. I due cavalli sono
assegnati dal sindaco Boch all’azienda Fratelli Peretti e l’altro
a Canalis Giovanni Marcello “i quali ne restano esclusivamente depositari
e non proprietari e rispondono di questi quadrupedi direttamente all’Autorità
Militare o che per essa”.
Qualche giorno dopo il Comando FF.AA. della Piazza di Torino scrive al sindaco
Boch avvisandolo dell’arrivo di altri due cavalli: uno assegnato all’azienda
agricola Fratelli Lorenzo e Bartolomeo Marchisio della Cascina Fernesa “per
la grande estensione delle giornate da coltivare” (allora erano 125
in un unico appezzamento, ndr) e l’altro al signor Germena Arturo “la
cui famiglia è stata gravemente provata durante un bombardamento aereo
dello scorso mese di luglio 1944”.
Rinasce la vita politica
Dal Vicario si parla della Democrazia Cristiana
Nel luglio 1945 il Vicario di San Vito tiene per giovani
e adulti tre conferenze che definisce «adunanze», al sabato alle
21.15 cui possono partecipare «tutti gli uomini della parrocchia».
Scrive il Fornelli: «Nei due mesi passati, in alcune adunanze, si
è parlato agli uomini e alle donne di Democrazia. Naturalmente si è
parlato di democrazia Cristiana, cioè di quella che sola è vera
democrazia secondo i principi cristiani del Vangelo. […] Questo è
certamente il migliore di tutti i partiti, il più consono ai sentimenti
del popolo cristiano di Piossasco». E prosegue. « É
chiaro che i nostri parrocchiani non possono aderire né al comunismo
né al socialismo, i quali hanno per programma di togliere a tutti la
proprietà dei beni per darla allo stato».
Domenica 19 agosto a San Vito si organizza una giornata per ricordare i morti
della guerra appena finita. Sono invitati gli ex militari, i partigiani, i
reduci dalla prigionia in Germania e dai fronti. Messa cantata con esequie
solenni in suffragio dei caduti e dei partigiani.
Si organizza il Partito comunista
Dopo il 25 luglio 1943 (caduta di Mussolini), si tengono
a Piossasco e a Orbassano, le prime riunioni clandestine di chi si riconosce
nel Pci. Riportiamo alcune testimonianze di due piossaschesi che nel 1982
erano stati intervistati dagli studenti del liceo “Pascal” di
Giaveno che avevano condotto una ricerca su “Guerra e Resistenza in
Val Sangone”. Gli studenti avevano diviso i fascisti in alcune categorie
in base alle testimonianze raccolte: i fascisti onesti, fascisti prevaricatori,
fascistoni, fanatici. «Per ogni centro della Val Sangone sono pochi
i nomi che vengono indicati come veri antifascisti, sono però nomi
circondati da profondo rispetto e ammirazione».
Luigi Garello, partigiano di Piossasco, esponente del CLN: «Dopo
il 25 luglio 1943 cominciarono ad organizzarsi i partiti. A Piossasco vi furono
le prime riunioni: mi ricordo la prima riunione pubblica alla quale io partecipai
come Partito comunista. Era un’assemblea cui partecipavano tutti quelli
che la pensavano così: una parte si era già iscritta durante
il periodo clandestino, un’altra si era poi iscritta in quel periodo
lì. La cosa era libera e così ci organizzammo anche se i partiti
non erano ancora riconosciuti legalmente».
Giuseppe Piatti (Notu), della Giunta del sindaco Boch: «È
stata una bella cosa la guerra partigiana, una cosa spontanea, una guerra
sentita proprio. Non è che andasse per interesse, andava per ideologia,
per combattere i fascisti, per combattere una dittatura che era insopportabile».
Le riunioni clandestine avvenivano a Orbassano da Luigi Maddalena, un impiegato
alla RIV di via Nizza a Torino che fungeva un po’ da coordinatore delle
brigate partigiane Garibaldi del torinese. Lavorando a Torino non destava
sospetti nei fascisti e nei tedeschi il suo continuo via vai tra Orbassano
e Torino. Iscritti e simpatizzanti provenivano da Coazze, Giaveno, Trana,
Reano, Sangano, Villarbasse, Rivalta, Piossasco, Cumiana, Volvera e None.
Dicono Luigi Garello e Giuseppe Piatti che parteciparono alle riunioni: «Gli
antifascisti si portavano le bocce e poi andavano lungo la strada del cimitero
di Orbassano e fingendo di giocare a bocce prendevano accordi. L’ultima
riunione da Maddalena avvenne nel febbraio del ‘45».
Si forma la Giunta municipale
In seguito ad una circolare (12615 Div. Gab.) del 24 agosto
1945 il sindaco e il CLN devono provvedere alla nomina della Giunta Comunale
Provvisoria in attesa delle elezioni amministrative che saranno fissate il
31 marzo 1946. Il CLN esce parzialmente di scena e alcuni suoi esponenti entrano
in Giunta. Ritornano gli assessori. La formazione del CLN e della Giunta,
al contrario di quanto in genere si crede, non fu contestuale. Così
a Piossasco, ma anche in molti altri Comuni per alcuni dei quali vi fu una
vera e propria ingiunzione del Prefetto e del Ministero dell’Interno
a formare la Giunta. Quella di Piossasco era così costituita nella
sua prima versione: Giovanni Boch (Pci), sindaco; Cesare Lovera (Pd’A),
vicesindaco, farmacista; Mario Pautasso (Psi), assessore; Michele Elia (Dc),
assessore; Giovanni Bertolotti (Pd’a), assessore supplente; Sante Lazzeris
(Pli), assessore supplente.
Vi è dunque una certa osmosi tra CLN e Giunta, indice che i ruoli (politico
del CLN, amministrativo della Giunta) non erano ancora ben definiti.
Il 24 novembre in seguito alle dimissioni del vicesindaco Cesare Lovera, viene effettuato un rimpasto nella Giunta. Boch resta sindaco, Michele Elia (Dc) è vicesindaco; Michele Ramassotto (Psi) membro, Giovanni Bertolotti (Pd’a) membro; Giuseppe Piatti (Pci) membro; Sante Lazzeris (Pli) supplente e Antonio Borgi (Pci) supplente. Sono spariti gli assessori e compaiono i «membri».
É significativo che le dimissioni del vicesindaco Lovera, rappresentante del Pd’A siano comunicate il 24 novembre 1945, lo stesso giorno delle dimissioni quasi “indotte” di Ferruccio Parri da presidente del Consiglio dei ministri. Da tempo il Governo dell’ex comandante partigiano Parri nato a Pinerolo (Dc, Pci, Psi, Pli. Pd’A, Pdl) era considerato una formula superata e troppo legata al cosiddetto “vento del nord” in una Roma legata alla grande burocrazia, all’aristocrazia nera, al Vaticano, all’esercito, alla monarchia e ad un impianto ammnistrativo ancora di stampo fascista e scarsamente filo resistenziale. Forse Lovera, che poi lascerà Piossasco per Torino, capì che che il Pd’A non aveva più spazio come partito d’opinione e poco strutturato sul territorio nazionale, anche se nel movimento di Liberazione dal nazifascismo aveva avuto un ruolo non secondario collegato alle formazioni di “Giustizia e Libertà”.
“C’è il pericolo che la falce si sgiunga dal martello”
In un periodo, ad un mese circa dalla Liberazione, in cui
era difficile capire come comportarsi ed agire in modo corretto ma efficace,
i CLN locali si trovarono ad un convegno al Teatro Carignano di Torino il
24 maggio. Le informazioni erano rarissime, spesso confuse e contraddittorie,
per lo più giungevano dalla Prefettura i cui vertici erano stati “defascistizzati”
(Prefetto il socialista Passoni, Questore Agosti del Pd’A) ma quasi
tutto l’apparato era ancora in camicia nera o l’aveva appena cambiata
più per convenienza che per convinzione. Sentire quelli che erano gli
orientamenti prevalenti che il CLN di Torino e della Provincia indicavano
era più che mai opportuno. Al convegno al Carignano intervenne il sindaco
di Torino Giovanni Roveda (Pci).
Per il CLN di Piossasco partecipò il vice sindaco Cesare Lovera che
relazionò poi in Giunta con un i intervento scritto su foglio di carta
bollata. La giunta approvò.
Scrisse il vice sindaco Lovera:”I CLN di base dovrebbero essere formati
da un membro per Partito e funzionano per questioni politiche integrandosi
in Giunta con i rappresentanti delle organizzazioni di massa nel trattare
questioni amministrative”. Lovera preannuncia che uno speciale corpo
di ispettori, che ha sede a Torino a Palazzo Cisterna di via Maria Vittoria
visiteranno i vari CLN.
“Il sindaco Roveda annuncia il pericolo che la falce si sgiunga dal
martello sostenendo che i contadini non hanno colpa perché abbandonati
alla deriva dal passato regime (fascista)”. Alcuni contadini presenti
dicono che “collaboreranno purchè si venga loro incontro con
la distribuzione di concimi e di macchinari agricoli, si riveda i prezzi del
grano e del bestiame perché con i prezzi attuali (i contadini) non
sono in grado di comprarsi il vestiario. Chiedono che prima di svestire loro
della camicia si tolga prima la pelliccia al ricco signore. Roveda elogia
ed auspica che i comitati dei contadini sorgano ovunque perché i contadini
sappiano difendere i loro interessi e partecipare all’amministrazione
comunale”.
Quindi Roveda “incita i paesi agricoli ad aiutare la città con
contributi in natura”.
Problema casa e sfollati: i CLN locali dovranno far pervenire ogni mese l’elenco
dei vani che si rendono liberi per il ritorno degli sfollati a Torino e per
dare una sistemazione, in vista del prossimo inverno, a quelle famiglie che
hanno avuto la casa distrutta dai bombardamenti.
Nei giorni precedenti il CLN di Piossasco aveva su iniziativa del sindaco
ordinato la requisizione presso la Villa Lajolo a San Vito di camere “il
cui proprietario ha a disposizione gran numero di locali per sistemare famiglie
partigiane residenti in questo comune ed attualmente sprovviste di alloggio”.
Viene istituito un apposito registro sul quale sono annotati gli sfollati
che si presentano in Municipio per ottenere il visto per traslocare i loro
mobili da Piossasco a Torino “onde avere un elenco dei locali che man
mano vanno rendendosi liberi”. Secondo un calcolo del Vicario di San
Vito (già citato) a Piossasco su 3513 abitanti vi erano circa 3000
sfollati.
Quindi “si provvede all’ ordinanza nei confronti di Villa Lajolo
e si avvisano i proprietari di Villa Carlotta (Avvocato Alzona), di Villa
Meinardi (Dottor Meinardi) e di Villa Podio (Eredi Podio) di tenere i locali
disponibili a disposizione di questo CLN”.
In coda al convegno torinese si parla dell’epurazione. Secondo Lovera
“il CLN regionale non dà esaurienti schiarimenti e spiegazioni
sia anche perché l’ordinanza degli Alleati n. 35 limita la materia
di procedura a soli tre articoli: statali – parastatali e ditte di interesse
pubblico, vi sono quindi ambiguità (su) cui il CLN è perplesso
ed in questi casi è necessario perché l’epurazione si
faccia e giustamente (che) il popolo esprima il suo giudizio attraverso la
denuncia documentata che è necessaria, perché altrimenti non
si può procedere”.
Sulla riunione al Carignano l’edizione piemontese de “l’Unità”
riferisce in un dettagliato articolo (non firmato) su sette colonne più
una foto. Dopo il 25 Aprile i quotidiani avevano solo due pagine per mancanza
di carta e a Torino vi era solo “l’Unità” perchè
La Stampa e la Gazzetta del popolo, compromesse con il fascismo e convinte
collaborazioniste con i nazisti erano state chiuse temporaneamente dal CLN.
Citiamo dall’articolo.
Il professor Franco Antonicelli (Pli) coordinava l’incontro. Con lui
sul palco vi era il sindaco di Torino Giovanni Roveda (Pci), il prof. Paolo
Greco (Pli), l‘avv. Amedeo Ugolini (Pci), il dottor Alessandro Galante
Garrone (Pd’Az), il dottor Giorgio Montalenti (Psi), l’avv. Eugenio
Libois (Dc).
Roveda affronta il rapporto tra città e campagna, tra operai e contadini,
della borsa nera, della mancanza di alloggi, del ritorno degli sfollati in
termini sostanzialmente simili a quelli descritti da Lovera.
Si cerca anche di fare chiarezza tra le competenze, i rapporti e i ruoli tra
i vari CLN locali e provinciali, i CLN comunali, le Commissioni interne delle
fabbriche e i comitati di agitazione. Nel pomeriggio il tema centrale è
l’epurazione e l’attività del Tribunale militare che commina
condanne a morte ai fascisti dagli inizi di maggio. Sull’argomento il
CLN provinciale dà alcune indicazioni alquanto vaghe, citate nella
relazione di Lovera, anche se confortate dagli interventi del giovane professor
Alessandro Galante Garrone (1909-2003) che diventerà un eminente costituzionalista,
storico, scrittore, magistrato e considerato uno dei padri fondatori della
Repubblica.
Alessandro Galante Garrone a metà anni '40
Che nella Giunta del sindaco Boch (Pci) e nel Cln locale
non tutto filasse d’amore e d’accordo lo si può dedurre
anche dalle dimissioni (poi rientrate) dello stesso Boch ai primi di dicembre
1945. Si stanno allontanando e divaricando due gruppi politici all’interno
della Giunta e del Cln locale: da una parte la Dc e il Pli e dall’altra
il Pci, il Psi e il Pd’A. Sono questi ultimi partiti, colonne della
Resistenza, sono stati poi rifiutati dagli elettori alle Comunali del marzo
del 1946. La loro autoinvestitura nell’Aprile del 1945, al momento del
passaggio dalla dittatura al futuro sistema democratico, fu sconfessata dagli
elettori.
Il Pd’A sparì a Piossasco come presenza politica. Giovanni Bertolotti
fu l’ultimo rappresentante nel Cln. Nella Giunta comunale Lovera non
fu nemmeno sostituito.
A conferma che il Pd’A a livello nazionale aveva perso la sua funzione
fu il deludente risultato delle elezioni per la Costituente del 2 giugno 1946.
Il partito di Parri raggiunse appena l’1,5% dei voti con 7 eletti.
Ritocchi anche nel CLN. Al 13 dicembre risultava così
costituito: Eligio Andruetto (Pci); Guglielmo Davide (Psi); Felice Carpinello
(Dc); Giovanni Bertolotti; Ignazio Gino (Fronte rurale); Giovanni Cattanea
(Ex Internati); Felice Dezani (Anpi); Vittorio Montaldo (Fronte rurale). Assente
il rappresentante del Pli.
Il nuovo CLN «dopo ampie discussioni» delibera di nominare
la sua Giunta che risulta così formata: Michele Elia (Dc), Giuseppe
Piatti (Pci), Michele Ramassotto (Psi), Battista Andreis (Dc), detto “Batistot”,
futuro sindaco dopo le elezioni amministrative del marzo 1946. Membri supplenti:
Francesco Sibona (Psi) e Angelo Dezani (Pci).
“Comizio” nel teatro comunale
Il 24 ottobre la Giunta e il CLN indicono «un pubblico
comizio» nella sala del teatro comunale (ora sede dell’Ufficio
tecnico). Ordine del giorno: prezzo del latte e del burro, ricostruzione dei
ponti distrutti dai tedeschi in ritirata. La «dettagliata relazione
introduttiva è presentata dal prof. Valentino Carpinello (Pci) su quanto
è stata fatto dalla Giunta e dal CLN nel mese in corso per la fornitura
di latte e burro. Carpinello espone un progetto per la fornitura a partire
dal 1° novembre. Elia sviluppa maggiormente l’argomento. Dopo di
che il sindaco Boch invita la cittadinanza - uno per volta - a prendere la
parola per esporre i propri punti di vista».
Nel verbale, redatto dal segretario Guerrera, di questa piccola consultazione
popolare si legge: «Parlano in proposito diversi cittadini (operai
e agricoltori) fra cui particolarmente da segnalare: Luigi Benedetto, Cornelio
Bruno, Felice Lovera, Bruno Pautasso, Casimiro Paviolo, Giovanni Valinotti
i quali espongono idee e progetti per una migliore risoluzione dei problemi.
Viene eletta una commissione di operai e agricoltori incaricati dello studio
del progetto onde riferisca alla Giunta Comunale e al CLN. La commissione
è così composta: Luigi Benedetto, Eligio Andruetto, Enrico Confalonieri
operai; Virgilio Spesso, Silvio Bruno, e Alfonso Camandone agricoltori».
Valentino Carpinello, consigliere comunale Pci dal 1946 al 1951. Carpinello era nato a Piossasco nel 1914. Si è poi trasferito a Novi Ligure (Al) dove ha insegnato ed è stato preside di scuola media. Iscritto al Pci dal 1945 uscì dal partito negli anni ’50 al tempo della “Questione di Tito”, quando il leader jugoslavo era stato “condannato” politicamente da Mosca perché poco allineato alle posizioni del Cremlino, perseguendo poco per volta una sua politica di autonomia politica dall’Urss. Negli Anni ’60 sarà di nuovo consigliere comunale, ma a Novi Ligure per il Psdi.
Il cinema-teatro comunale di Piossasco si trovava al pian terreno del municipio dove adesso vi sono gli uffici dell'Urp. Aveva la galleria e la platea e si accedeva dalla piazza del Comune. Il pubblico qui riprodotto era convenuto per assistere ai festeggiamenti per la nomina a Cavaliere dell'ex sindaco Dc Michele Elia. Era il 25 novembre 1956.
Tra il pubblico molti hanno riconosciuto in galleria, in alto a sinistra, il signor Marta, la maestra Giorda Margherita e la figlia del signor Marta. In platea molti esponenti dell Dc piossaschese di allora. (Foto archivio Teresa Elia Mola)
Altra prospettiva della galleria: in piedi in alto a destra spicca Mario Ghivarello, guardia comunale. (Foto archivio Teresa Elia Mola)
«Il ponte vecchio lo costruiscano i fascisti coi loro denari»
Altro argomento del “comizio” del 24 ottobre:la
ricostruzione del ponte sul Sangonetto in piazza Fiume. Il vice sindaco Cesare
Lovera (Pd’A) «fa presente che causa la situazione finanziaria
del Comune sarebbe stato impossibile procedere alla costruzione del ponte
dandolo in appalto a ditte private, per cui la Giunta municipale si è
trovata nella dura ma imprescindibile necessità di ricorrere alla prestazione
gratuita della manodopera locale, ricorrendo esclusivamente all’acquisto
del materiale strettamente indispensabile».
La direzione dei lavori fu affidata al geometra Walter Cruto (discendente
dell’inventore della lampadina elettrica) e i lavori furono eseguiti
dai Cruto stessi, impresari edili. Il vice sindaco Cesare Lovera «invita
la popolazione tutta a collaborare coll’Amministrazione onde tale realizzazione
sia presto un fatto compiuto, e fa presente la necessità di non dare
ascolto a voci tendenziose messe in circolazione da soliti elementi trovanti
a ridire in ogni atto o cosa della civica amministrazione».
Aggiunge Guerrera: «Alcuni cittadini rivolgono interpellanze perché
si proceda alla costruzione del ponte coll’obbligare gli appartenenti
al disciolto Partito Fascista e con i loro denari».
Il ponte fu inaugurato il 17 marzo 1946, due settimane prima delle elezioni
comunali. Il progetto fu offerto gratuitamente dal geometra Sterratrice.
«Come siamo stati uniti tutti in quest’opera di utilità
comune, così lo saremo sempre quando si tratterà di procurare
e difendere il bene del nostro paese e del nostro popolo. Il nuovo ponte sarà
dunque il simbolo della nostra unità fraterna», annota il
parroco Gianolio presente all’inaugurazione, per benedire l’opera
che diventa il simbolo di una ritrovata «unità fraterna».
Il ponte vecchio come era
stato ristrutturato nel 1946 Nel corso di una pubblica assemblea nell'ottobre del 1945 molti piossaschesi chiesero al sindaco Giovanni Boch che il ponte fosse ricostruito dai fascisti con i loro denari |
Dimissioni di Boch,
poi rientrate.
Nuovo CLN locale, nuova Giunta
Il sindaco ai primi di dicembre si dimette. Tre sono i motivi
che si possono ricavare dalle delibere di quel periodo. Il sindaco desiderava
collocare una lapide ricordo intestata al Comune di Piossasco all’ossario
di Forno di Coazze, nelle vicinanze del luogo dove era stato ucciso dai nazi
fascisti il partigiano Mario Davide. Proposta non accettata. Quindi i problemi
sollevati dalla ricostruzione del “Ponte vecchio” in piazza Fiume.
Infine la gestione delle imposte di consumo suscitano accese polemiche, ma
secondo la Giunta si tratta solo di «dicerie del popolo».
Il CLN riconferma la fiducia a Boch fino alle elezioni comunali del marzo
1946.
Nel frattempo si apportano alcuni ritocchi alla composizione del CLN locale
e alla Giunta guidata da Boch.
A metà dicembre 1945 il CLN di Piossasco risultava così costituito:
Eligio Andruetto (Pci), Guglielmo Davide (Psi), Felice Carpinello (Dc), Giovanni
Bertolotti (Pd’A), Ignazio Gino (Fronte rurale), Giovanni Cattanea (rappresentante
Ex Internati), Felice Dezani (Anpi), Vittorio Montaldo (Fronte rurale).
La seconda Giunta di Boch era formata da Michele Elia (Dc), Giuseppe Piatti
(Pci), Michele Ramassotto (Psi), Giovanni Battista Andreis detto Batistot
(Dc), Francesco Sibona (Psi), Angelo Dezani (segretario della sezione della
Società operaia di mutuo soccorso, Pci).
Giovanni Battista Andreis (Dc), sindaco dal 7 aprile 1946 al 2 marzo 1947
Accuse al segretario comunale
Guerrera lascia, arriva Arbia
Il 1946 inizia con «gravi accuse» rivolte al
segretario comunale Guerrera, quel funzionario che aveva stilato la prima
delibera dopo la Liberazione : «Incipit vita nova». La
Questura invia a gennaio al sindaco Boch una lettera ricevuta da un anonimo
nella quale «si formulano gravi accuse al segretario Guerrera».
Lo stesso fa rilevare alla Giunta che tutti i mandati di pagamento sono però
regolari. Decisione della Giunta:«Esaminati i precedenti mandati,
ne riscontra la perfetta regolarità […] e constata che sono prive
di qualsiasi verità certe insinuazioni di elementi irresponsabili locali
abituati solo e sempre a malignare sull’operato di questo o di quello
amministratore». Sindaco e assessori dispongono di sporgere querela
al Procuratore di Stato di Torino «perché questi continui
scrittori di lettere anonime siano una buona volta serviti a dovere».
Guerrera non rimarrà comunque ancora molto a Piossasco: il 16 marzo
1946 arriva un nuovo segretario comunale: Giovanni Battista Arbia, il primo
roccanovese giunto a Piossasco dove negli anni seguenti, chiamati e aiutati
da Arbia, arriveranno via via moltissimi lucani che formeranno a Piossasco
una folta comunità di 498 persone.
(Dati del 2015).
Arbia era però nato a Filadelfia negli Stati Uniti (21 gennaio 1911) dove i genitori erano immigrati a fine ‘800. La sua nascita fu però trascritta nel Comune di Castronuovo Sant’Andrea. Arbia venne in Piemonte e si sposò a Valprato Soana con Matilde Ranieri nel 1939. In seguito ad una faida interna alla Dc e ad una crisi della Giunta Dc di Giuseppe Andruetto si trasferì a Ceres nel 1959. Morì nel 1972. É sepolto a Piossasco.
Fotografia scattata durante il pranzo per festeggiare
il conferimento del titolo di cavaliere all'ex sindaco Elia il luogo
è l'ex ristorante Pagoda di via Pinerolo 142. |
Lista dei fascisti per i CC
Il 13 luglio si fanno vivi i «Regi Carabinieri di Orbassano» che chiedono al sindaco Boch «di stilare l’elenco di ex gerarchi fascisti e di coloro che come fascisti hanno ricoperto cariche pubbliche e svolto attività politica dal 28 ottobre 1922 in poi». L’elenco non è però allegato alla delibera della Giunta CLN.
Fascisti a Piossasco
Esiste una rara e sporadica documentazione sui piossaschesi
che furono a capo del Fascio locale e ricoprirono cariche politiche di un
certo rilievo durante il regime. Ma a volte viene in aiuto il Bollettino dei
Vicario.
Non è rintracciabile la lettera del Cln dell’estate del 1945
in risposta alla domanda dei Carabinieri di Orbassano che chiedevano l’elenco
dei fascisti più in vista per procedere ad un’eventuale epurazione.
Il più conosciuto fu senz’altro il podestà Luigi Boursier.
Oltre che nelle delibere del Comune, Boursier è citato anche in un
volantino della “Musica e del Dopolavoro” in occasione della festa
patronale della Madonna del Carmine del 17 luglio 1938 – Anno XVI rivolto
“Agli illustrissimi signori presidenti Boursier geom. Luigi podestà
e a Fenoglio Michele segretario del Fascio”.
Si tratta della tradizionale dedica alla Beata Vergine del Carmine che si
pubblicava ogni anno. La Banda musicale di Piossasco cercava di captare la
benevolenza delle due maggiori autorità perché il Fascio di
Piossasco nel 1927 aveva già costretto le due bande allora esistenti
ad unificarsi, bon gré o mal gré. Sembra che uno dei due complessi
fosse timidamente antifascista e l’altro più vicino alla retorica
mussoliniana. L’Alta Italia e la Piossaschese “finirono per politicizzarsi
più per effetto dello schieramento politico dei loro protettori che
per un’effettiva adesione dei musicanti all’uno o all’altro
partito (fascista e socialista, ndr). Così l’Alta Italia diventa
la “banda fascista”. Lo scrive Daniele Jallà in “La
Musica. Storia di una banda e dei suoi musicanti”, 1980.
La locandina, grondante di vuota retorica, con la preghiera
alla Vergine così recita:
“In nome della Donna cui denominazione mai fu data più bella
si rinnovi in ogni cuore, nel giorno sacrato, l’inno augurale delle
imprese di amore e di gioia.
Qual’ è la pace che la melodia effonde se l’anima ride
o piange, tal è l’offerta dell’Armonia, bianca messaggera
significatrice delle più forti opere.
I voti e le preghiere della riconoscenza rispondono alle attenzioni dei beneficanti.
Voti e preghiere perché negli animi sempre gioisca libero il Mondo.
La Musica del Dopolavoro”
Nell’ottobre del 1933, in occasione dell’inaugurazione sotto il
portico del municipio di una lapide dedicata ad Alessandro Cruto è
stato pubblicato l’elenco del Comitato d’onore costituito per
i festeggiamenti. Si trovano molti nomi di docenti dell’Università
non solo di Torino e di studiosi di “elettrotecnica”. Poi in ordine
gerarchico le autorità locali, sia istituzionali, sia fasciste che
comunque coincidevano quasi sempre.
In ordine d’importanza:
il comm. Rag. Pietro Bruno podestà di Piossasco e segretario politico
Andrea Baldanza, segretario comunale
Fenoglio C.M. Aldo, comandante del Fascio (che alcuni piossaschesi chiamavano
Panuc, con la c finale di ciliegia)
Lantelme Eugenio, maestro e presidente Opera Nazionale Balilla di Piossasco
Mallè dott. Alfredo, presidente Associazione Combattenti di Piossasco.
Seguono, nel lungo elenco, alcuni piossaschesi presidenti di associazioni
e sodalizi che molto probabilmente fascisti convinti non erano ma che avevano
accettato la carica (simbolica e senza compensi) un po’ per spirito
di servizio e un po’ per quieto vivere.
Tra questi:
Giovanni Balbo, conciliatore di Piossasco
Renato Balbo, fiduciario dei commercianti
Bessone cav. Uff. Giuseppe, Presidente Congregazione di Carità
Giovanni Botttallo, fiduciario sindacato dell’agricoltura
Costanzo Carbonero, presidente Società Mutuo Soccorso “A.Cruto”
Crescio dott. Attilio, farmacista di Piossasco
Cruto geom. Valter, capogruppo associazione nazionale alpini
Franceschini maestro Carlo, fiduciario sindacato industria di Piossaasco
Frigeris Anselmo, fiduciario degli agricoltori di Piossasco
Massimo Costanzo, presidente società mutua piossaschese
Valfrè Isidoro, presidente Società Operaia di Piossasco
Due sicuramente non vestirono la camicia nera fascista, pur
ricoprendo una posizione pubblica di prestigio (per i tempi): Francesco Alfano,
ufficiale sanitario, e Silvio Silvani, medico condotto di Piossasco e Bruino.
Per Alfano vi è una foto eloquente. Nel 1931, il giorno della visita
del Principe Umberto di Savoia e della consorte Maria Josè del Belgio
a Piossasco all’allora Ospedale San Giacomo vi sono gli invitati di
riguardo, quasi tutti i camicia nera e fez. Il dottor Alfano, in primo piano,
spicca per la sua camicia bianca.
Idem per il Vicario di San Vito don Fornelli e il parroco di San Francesco
Carlo Gianoglio.
Nel gennaio del 1938, sempre il Vicario, scrive che in occasione della Befana
fascista si sono recati all’asilo di San Vito a portare le caramelle
ai bambini “la segretaria dei Fasci femminili con il gerarca dott. Mallè”
che era stato promosso da presidente dell’Associazione combattenti a
“gerarca”. Alfredo Mallè, veterinario, torna di nuovo alle
cronache nell’estate del 1945 quando, non più in camicia nera,
si rivolge al sindaco del Cln di Piossasco per riavere la sua motoretta che
i partigiani gli avevano sequestrato. "La moto gli fu restituita qualche
giorno dopo. La teneva un piossaschese che però non risultava essere
stato mai iscritto all'anagrafe di Piossasco".
Nel settembre del 1942 il Vicario cita nel suo bollettino
Renzo Paviolo, segretario politico del Fascio di Piossasco, e la maestra Ester
Germena, segretaria del Fascio femminile.
Qualche mese dopo, sempre il Fornelli, riferisce che “Il nostro segretario
politico, sig. Nicolò Doglio, aveva rivolto l’invito a tutte
le associazioni fasciste, in cui si diceva che dopo l’inaugurazione
della lapide a ricordo della fondazione dell’Impero, si sarebbe composto
un corteo per recarsi nella chiesa parrocchiale di San Vito, ove a cura del
Fascio si sarebbe celebrata una Messa solenne in ringraziamento e di esaltazione
dell’eroico sacrificio dei gloriosi Caduti per la Rivoluzione Fascista”.
Quattro omicidi senza assassini e senza indagini
Sono ben quattro gli omicidi avvenuti a Piossasco nel 1944
e nel 1945. Uno ancora dopo il 25 Aprile, a guerra appena conclusa ma quando
circolavano ancora molte armi. Omicidi con fini diversi, modalità di
esecuzione differenti. Vendette, rapimenti, regolamenti di conti durante il
fascismo repubblichino e l’occupazione nazista. Vittime: tre uomini
e una donna. L’esecuzione è avvenuta in due frazioni di Piossasco,
l’altra in centro a Piossasco. Quattro omicidi di cui nessuno fino ad
oggi ha mai parlato, tranne un rapido e un po’ anonimo accenno nel libro
“Storia civile e religiosa di Piossasco” del vicario
don Fornelli.
Per tutti questi fatti non c’è stata alcuna indagine e non si
è mai venuti a capo degli autori o degli eventuali mandanti che, peraltro,
non sono mai stati ricercati. Si conoscono supposizioni e ricordi di persone
che oggi hanno quasi 80 anni e che avevano sentito parlare in famiglia dei
delitti in termini vaghi e spesso lacunosi. In un caso non è certa
neppure l’identità della vittima alla quale è stato falsificato
il nome, il cognome e l’origine.
In ordine cronologico i delitti sono stati questi: 12 luglio 1944, alle Prese
di Piossasco, sono uccisi i coniugi Pancrazio Luigi Garello e Clementina Usseglio-Nanot.
25 novembre 1944 (data presunta). Viene ucciso Dante Martinotti nella frazione
Allivellatori di Piossasco. Il corpo è dissepolto (dai famigliari?)
il 27 giugno 1944.
10 giugno 1945. È ritrovato il corpo di Angelo Donatone in via Pinerolo
angolo via Alfieri, allora Via Volvera. Alla vittima è data (da chi?)
una falsa identità. Oppure aveva egli stesso documenti falsi.
Che i morti ammazzati fossero fascisti o antifascisti o collocati su una incerta
linea d’ombra è difficile dirlo.
Certo era fascista Cesare Mondino, gerarca a livello provinciale che si nascose
in un fienile dopo il 25 luglio 1943 (caduta di Mussolini) e di nuovo dopo
il 25 Aprile.
In un cono d’ombra si può collocare Aldo Zorzoli, dirigente industriale,
che si destreggiò tra fascisti, tedeschi e partigiani perché
nella sua fabbrica di Piossasco si producevano pezzi per una pistola usata
dai nazisti. Difficile tracciare una linea netta che separa l’adesione
convinta al fascismo, anche a quello più feroce della Repubblica di
Salò, dalla necessità di non esporsi per mantenere il posto
di lavoro e di non avere rogne con i fascisti e i nazisti.
Allivellatori di Piossasco, il luogo
dove nei pressi di uno stagno fu sepolto provvisoriamente Dante Martinotti. |
Marito e moglie uccisi alle Prese
“Nel mese di luglio successe alle Prese un fatto
tragico: una notte i coniugi Garello Pancrazio e Clementina furono svegliati,
condotti fuori della stanza e vennero uccisi con un colpo di pistola alla
nuca. Chi abbia ordinato la loro morte e perché non si è mai
saputo. Anche questo fu uno di quei tanti fatti tragici che succedevano durante
la guerra”: così scriveva il vicario Giuseppe Fornelli nella
sua “Storia civile e religiosa di Piossasco” edita a
Pinerolo da Alzani nel 1965, a 21 anni dal fatto accaduto mercoledì
12 luglio 1944, verso le ore 23,30 circa, nella casa posta in Regione Prese
1.
La denuncia di morte di Pancrazio Garello e della moglie Clementina Usseglio
Nanot, nata a Giaveno il 9 giugno 1911, figlia di Vincenzo e di Giovanna Maria
Gilli, non fu inoltrata al Comune dai Carabinieri di Orbassano, ma da Antonio,
fratello di Pancrazio.
Fatto insolito.
I funerali si tennero nella chiesa di San Vito a spese del Comune. Marito
e moglie lasciarono due figli di 9 e 11 anni. Il primo entrò appena
fu maggiorenne nella Legione straniera e morì disperso in Indocina
non facendo più ritorno a Piossasco; il secondo seguì gli studi
professionali dai Giuseppini di Pinerolo, lavorò poi in una cascina
di proprietà di quell’ente e abitò a Pinerolo nella zona
della Tabona.
In quegli anni alle Prese di Piossasco, vicinissime alle Prese di Sangano,
vi erano tre grandi gruppi famigliari: i Garello, i Ruffino e i Dovis, gli
abitanti erano una quarantina e l’ultima famiglia lasciò la borgata
montana nel settembre del 1961.
Una signora che scese a Sangano nel 1954 ricorda in un’intervista del
18 gennaio 2018 ciò che sentiva dire in famiglia:”Io ero
una bambina e di certe cose non se ne parlava tanto, soprattutto con i bambini.
I miei sono ricordi che emergono a distanza di più di 70 anni. Avevo
percepito che ad uccidere i Garello erano stati due partigiani provenienti
da Provonda, una frazione di Giaveno: non conoscevano bene le Prese, infatti
furono accompagnati da una terza persona e chiesero dove abitava Clementina.
Uscì anche il marito che scongiurò i due di non ucciderla perché
aveva due figli piccoli”.
Questa è la tesi (non supportata da alcuna prova né da alcuna
indagine) che vorrebbe i partigiani autori del duplice omicidio che apparentemente
non ha un movente.
Altra ipotesi: sono stati i nazifascisti che li avrebbero uccisi a freddo
perché la famiglia di lei aiutava i partigiani di Giaveno. E’
singolare però che i tedeschi si fossero avventurati di notte in una
montagna che non conoscevano. Stragi e rappresaglie le compivano di giorno,
spesso davanti alla popolazione inerme.
Ultima ipotesi, quasi tratta da un romanzo di guerra.
Gli Alleati anglo americani effettuavano periodicamente dei lanci notturni
dagli aerei di casse con armi, vestiario e denaro per aiutare le formazioni
partigiane con le quali preventivamente erano concordate le zone di atterraggio
in pianura, il giorno e l’ora. Uno di questi lanci di denaro sbagliò
bersaglio, e il piccolo paracadute atterrò in montagna e le banconote
non furano raccolte dai partigiani.
Clementina forse vide il luogo dell’atterraggio e ne parlò al
mercato di Giaveno. Qualcuno la udì e riferì quelle parole ai
partigiani he salirono alle Prese per chiedere spiegazioni che i Garello non
vollero o non seppero fornire. Di un lancio fallito si parlò a lungo
sottovoce nel Dopoguerra, ma la zona “fortunata” era quella del
Pavero, nella zona di San Bernardino.
L’ipotesi di un aviolancio non è quindi del tutto fuori luogo.
Nella zona tra None e Scalenghe vi era un gruppo di resistenti filo americani
guidati dal nonese Michele Ghio (poi sindaco nel Dopoguerra) che in collegamento
con l’ufficiale britannico Patrick o’ Reagan (“Pat”)
riceveva istruzioni sull’arrivo dei lanci direttamente da Radio Londra
attraverso la frase rituale “Domani Marisa verrà a trovarvi”.
Questo sistema è ben documentato da Valter Careglio e Gian Vittorio
Avondo in “Sentieri di guerra in pianura”, Neos Edizioni, 2013.
La zona tra Pinerolo e Piossasco costituì nel 1944 e fino all’aprile
1945 lo spazio per numerosi lanci da parte di aerei degli Alleati, soprattutto
Usa e Gb, a favore dei gruppi partigiani operanti nella zona montana tra Pinerolo,
appunto, Cantalupa, Frossasco, Cumiana e Piossasco. Non tutti i lanci andarono
a buon fine. Avvenne anche un disastro aereo la sera del 13 ottobre 1944 sulle
montagne di Cantalupa, al Freydour. Un velivolo Liberator HK 239 della Royal
Air Force, durante un’operazione di rifornimento di aiuti ai partigiani,
si schiantò sulla via del ritorno contro la parete del monte. Morirono
otto aviatori: sette americani (T.D. Fotheringham, E.H.A. Clift, G. Tennison,
D.W. Bishop, D.R. Wellon, S.E. Lockton e J. Bucks) e un australiano (C.W.Lawton).
La strumentazione di bordo per l’orientamento non era ancora molto sofisticata
e i piloti provenienti da altri paesi poco conoscevano il territorio che sorvolavano
di notte a quota relativamente bassa.
Nel 1994 in vetta al monte Freydur (1451 m) fu posto dall'Amministrazione
comunale di Cantalupa un monumento chiamato "Ali come vele", realizzato
in acciaio dallo scultore Michele Privileggi. Periodicamente l’Anpi
e il Cai di Cumiana organizzano in ottobre una “camminata partigiana”
sul luogo dell’incidente.
Il funerale dei coniugi Garello all'uscita della chiesa di San Vito
La casa di Pancrazio e Clementina Garello alle Prese inferiori
I fascisti locali prima e dopo la Liberazione
Dante Martinotti, direttore e co-proprietario del Feltrificio
di via Piave fu trovato morto per cause mai accertate in una casa di Allivellatori
(frazione di Piossasco) dove era tenuto prigioniero da un gruppo di partigiani.
La morte sarebbe avvenuta il 25 novembre 1944 in un’ora imprecisata
in località Allivellatori. L’atto di morte è però
stilato dal segretario comunale Pasquale Guerrera il 27 giugno 1945 alle ore
17.20 nella Casa Comunale, sette mesi dopo la sua morte. La denuncia arriva
dal maresciallo dei Carabinieri di Orbassano Mario Morgillo. La data del 25
novembre è quindi «presunta». Dante Martinotti
aveva quarantacinque anni, era residente a Torino, di professione industriale
ed era nato a Casale Monferrato dal fu Vincenzo e dalla fu Emanuelli Rosa.
Era il marito di Felicina Vaglio.
Vi sarebbe un antefatto che secondo alcuni spiegherebbe il rapimento.
Il proprietario dell'ex ristorante “Cannone d’oro” di via
Pinerolo 71-73 Aventino Fiora a volte ospitava di notte i partigiani per le
loro riunioni nel suo locale. Martinotti, figura di spicco tra i fascisti
locali della Repubblica di Salò, richiamato alle armi e ben inserito
nel Distretto militare di Torino, avrebbe parlato con i fascisti di Torino
degli incontri al “Cannone d’oro”. Questi, nottetempo, hanno
incendiato la casa di Fiora di via Pinerolo angolo via Peschiera. Alcune settimane
dopo l’incendio Martinotti fu preso prigioniero una sera da un gruppo
di partigiani armati mentre era dal barbiere Fenoglio di via Roma, vicino
all’ala del mercato. La brigata era guidata da un partigiano detto “il
gazzosiere” perché da civile vendeva le gazzose. Martinotti fu
portato in una casa della frazione Allivellatori. Durante un rastrellamento
dei tedeschi che intendevano liberarlo, e comunque nel corso di un’azione
di guerra, Martinotti sarebbe morto in circostanze mai chiarite, mentre scappava.
Fu provvisoriamente sepolto vicino ad una peschiera di Allivellatori (detta
“di Massimo”), che esiste tuttora anche se interrata e invasa
dai canneti. La sepoltura provvisoria spiegherebbe l’arco di tempo di
quasi sette mesi dalla morte presunta (25 novembre 1944) alla data della denuncia
ufficiale di morte (27 giugno 1945).
Un gerarca di rilievo era stato Cesare Mondino,
considerato il “numero 2” nel torinese dopo il federale Piero
Gazzotti. Si diceva che per potergli parlare occorresse prenotarsi e fare
ore di anticamera. A Torino era dirigente in una fabbrica: dopo il 25 luglio
1943 (caduta di Mussolini) gli operai lo asserragliarono e fu sottratto a
stento al linciaggio. Riparò a Piossasco e si nascose in casa di amici.
Passato lo spavento del 25 luglio ’43, Mondino entrò a far parte
della Repubblica fascista di Salò come gerarca. A fine aprile ’45,
caduta la RSI, fu nuovamente nascosto nella stessa casa per evitare rappresaglie.
Poi di Mondino si perdono le tracce. Nel maggio-giugno ’45 furono molti
i gerarchi e gli ex podestà locali che si nascosero nei pagliai e nei
fienili delle cascine, ma anche nel centro dei paesi della zona, in attesa
di tempi migliori per loro e dell’approvazione dell’amnistia voluta
a livello nazionale dal ministro della Giustizia Palmiro Togliatti (Pci).
I 70 anni trascorsi dai fatti impediscono di approfondire i “perché”
della loro vita: tutti gli attori del tempo sono scomparsi e con loro la memoria,
gli atti ufficiali negli ultimi tempi del fascismo dicono il meno possibile.
Queste ed altre persone erano davvero spie e collaboratori con il nemico tedesco?
O non c’era anche un elemento di casualità, come spesso avviene
nei momenti epocali della storia, anche quella piccola di un paese come Piossasco?
Su una linea grigia si può collocare Aldo Zorzoli, dirigente industriale,
che si destreggiò tra fascisti, tedeschi e partigiani perché
nella sua fabbrica di Piossasco si producevano pezzi per una pistola usata
dai nazisti.
Chi era stato fascista riconosciuto e convinto si ritirò in buon ordine
nel periodo tra luglio e settembre del 1943 e non compare nell’arco
di tempo preso in esame.
L'ex ristorante “Cannone
d’oro” in via Pinerolo angolo via Peschiera. Il locale fu
parzialmente distrutto da un incendio doloso appiccato dai fascisti
venuti da Torino perché a volte di notte vi si riunivano i partigiani
della zona per prendere accordi. |
Il “Caso Zorzoli”.
Aldo Zorzoli era il proprietario della fabbrica SAMT in via
Pinerolo angolo via Aldo Piatti. La ditta fu poi di proprietà del cav.
Manzone ed assunse quindi il nome di FRAP. Di Zorzoli parla Orazio Verde,
classe 1920, comandante partigiano in Val Sangone, dirigente industriale,
di Alessandria. La testimonianza è stata raccolta da Gianni Oliva nel
1987 e si trova in “La Resistenza alle porte di Torino” dello
stesso Oliva. Eccola. Siamo probabilmente nell’autunno del 1944.
«A Piossasco c’era un certo Aldo Zorzoli, industriale, titolare
di un’officina meccanica. Venni a conoscenza che egli iniziava la fabbricazione
delle pistole-mitra Tz. Decisi di prelevarlo, assieme al suo “bravaccio”
di cui non ricordo il nome, e di portarlo in montagna per interrogarlo con
maggior comodo. Arrivati a Cumiana ci accorgemmo che il paese era pieno di
fascisti: io non me la sentivo di fucilare i due catturati, perché
la loro colpevolezza, al momento, era solo voce di popolo, anche se dopo risultò
ben fondata. Così fui costretto a lasciarli andare ed essi si salvarono».
Di Zorzoli si ricorda anche Beppe Colombaro, fratello minore del partigiano
Albino. In un’intervista del dicembre 2015 ha detto: «Un certo
Zorzoli, parlando il tedesco, faceva il mediatore tra i piossaschesi e i tedeschi;
tantissimi ricorrevano a lui e molti furono salvati...».
Dopo il 1945, crollata la produzione di parti per le armi, la fabbrica di
Zorzoli, che possedeva una bella villa con un sinuoso viale d’accesso
in via Cesare Battisti, chiuse l’azienda che riprese l’attività
un anno e mezzo dopo con il cav. Manzone.
Due gli stabilimenti della SAMT uno a Torino
e l’altro a Piossasco
ma di Zorzoli non c’è più traccia
Dato per ucciso dai partigiani dalla signora Hedda Silvani
in una lettera al figlio Gustavo, di Aldo Zorzoli si parla nel corso della
Giunta del CLN a metà maggio 1945 quando il segretario comunale Guerrera
legge una lettera della SAMT pervenuta al CLN per conoscenza ed inviata anche
al CLN di Borgo San Paolo di Torino. Che Zorzoli sia in predicato per essere
epurato lo dice il CLN di fabbrica della SAMT di Torino ma dove in quei giorni
Zorzoli sia nascosto non è dato sapere.
La SAMT aveva dunque due stabilimenti, uno a Torino in via Bra 9 e un’officina
a Piossasco in via Pinerolo anche se la sede legale era a Torino in Via Monginevro
89.
Giovanni Coraglia, Domenica Morello e Agostino Ramella scrivono al sindaco
di Piossasco:
“Si informa cotesto C.L.N. che il signor Aldo Zorzoli, Amministratore
unico della Soc. An. Meccanica Torinese (…) si è assentato dal
suo posto di lavoro senza lasciare un legale rappresentante della Società.
A tale scopo di non interrompere l’attività dell’azienda
ed in modo da poter assicurare il lavoro a tutta la maestranza si è
resa necessaria la formazione, in seno alla ditta stessa, di un comitato di
fabbrica formato dai seguenti dipendenti. Trivelli Dottor Ing. Franco amministratore
Tardi Francesco direttore tecnico
Morello Domenica capo officina
Coraglia Giovanni capo reparto
Lazzeroni Ademo operatore
Ramella Agostino operaio
Quanto sopra sino a che il Comitato Nazionale di Epurazione non avrà
preso le disposizioni del caso nei riguardi del signor Aldo Zorzoli in parola
per ciò che concerne la sua attività”.
Zorzoli era nato a Torino il 19 luglio 1919, dal giugno del 1938 risiedeva
a Piossasco in via Magenta 11. A febbraio del 1942 torna ad abitare a Torino.
Su Zorzoli e sulla SAMT all’interno della Giunta vi sono posizioni diverse
su eventuali decisioni da prendere.
Guido Billotti (Dc) ritiene che il Comitato di fabbrica non abbia veste giuridica
per decidere, “ma che invece gli operai della ditta debbano procedere
alla nomina di un Consiglio d’amministrazione nominato direttamente
da loro e pertanto di sospendere ogni decisione in attesa di mettersi in contatto
col CLN di Borgo San Paolo e cogli operai della ditta”.
Si associa Giovanni Bertolotti (Pd’Az) “il quale asserisce che
ogni decisione al riguardo deve essere adottata dal CLN di Borgo San Paolo,
giacchè il Cln di Piossasco ha ricevuto tale comunicazione SAMT esclusivamente
per conoscenza”.
Cesare Lovera (Pd’Az), Mario Pautasso (Psi) e Sante Lazzeris (Pli) “espongono
la tesi che subito si debba procedere alla nomina di un rappresentante comunale
in seno al comitato di fabbrica per la tutela degli interessi di questo comune”.
Il sindaco Boch parla “della salvaguardia degli interessi del Comune
e degli operai occupati nel predetto stabilimento” ma una decisione
sarà presa solo nei giorni seguenti.
Il 22 maggio infatti si torna sull’argomento. E’ stata consegnata
al sindaco Boch una lettera da parte di un dipendente della SAMT di Piossasco
(Pautasso).
“SAMT. – Alla Camera del Lavoro – Sezione Metallurgici,
Corso Galileo Ferraris 12 – Torino
e p.c.
Al CLN di Piossasco
“Si comunica a questo ufficio che in data 18 maggio
1945 a mezzo di votazioni di tutte le maestranze della S.A. Meccanica Torinese,
presente il CLN di fabbrica, è stata formata la Commissione di fabbrica
risultata composta dai seguenti membri:
socialista Fiora Giovanni aggiustatore democ. Crist. Garello Aldo addetto
macchine comunista Remondino Maura impiegata
La Commissione di fabbrica”.
Quindi “l’operaio Pautasso chiede che da parte del CLN sia rilasciata
una dichiarazione con la quale si riconosce il CLN di fabbrica nominato dagli
operai della SAMT. Tale richiesta viene accettata (e) gli viene consegnata
la suddetta dichiarazione”.
A metà maggio, dunque, si ventilava l’ipotesi dell’epurazione
per Zorzoli che, però, era irreperibile. All’Istoreto (Istituto
Storia della Resistenza di Torino) nei due faldoni con la documentazione sulle
epurazioni risulta in un lungo elenco (aperto di Vittorio Valletta e da Giovanni
Agnelli senior della Fiat) che Zorzoli della SAMT nel giugno del 1945 era
stato demandato dall’apposito CLN torinese al processo per epurazione.
Quindi i dipendenti SAMT dell’officina di Torino che scrivono al Comune
di Piossasco erano ben informati.
Zorzoli è ricercato. Ma fino ad agosto non si sa nulla. Si hanno notizie
di lui dal quotidiano “La Nuova Stampa” dell’11 agosto 1945,
pagina 2, ritornato in edicola da poco più di una settimana. Su due
colonne titola:
L’inventore della pistola T.Z.45
denunciato alla Corte di Assise
Aldo Zorzoli riforniva di armi i fascisti e i tedeschi – Seviziatore di partigiani
Nel testo si scopre che era fuggito a Milano e che da un amico si era fatto consegnare per 200.000 lire una tessera da partigiano in bianco sulla quale aveva scritto il falso cognome di Ferraio.
La Nuova Stampa, 11 agosto 1945, pag.2
Leggiamo l’articolo, dove si parla della sua famosa
pistola che vendeva ai fascisti ad un prezzo e ai nazisti ad un altro.
“E’ stato arrestato e denunciato alla Corte d’Assise straordinaria
il noto industriale torinese Aldo Zorzoli fu Giovanni, di 35 anni, abitante
in via Mombarcaro 8. Tecnico esperto e fascista ferventissimo, egli creò
uno speciale tipo di “pistola-mitra”, la TZ 45, che mise subito
a disposizione delle forze armate nazifasciste, vendendola ai repubblicani
a lire 5000 e ai tedeschi per 2950. Migliaia di “pistole-mitra”
uscirono dall’officina di Zorzoli il quale incassava a tutto piano banconote,
senza curarsi che la sua invenzione fosse particolarmente usata contro i partigiani.
A poco a poco divenne amico dei più famigerati briganti neri: Cesare
Mondino (che era di Piossasco, ndr), Spirito Novena (che nel Pinerolese e
nel Bargese con la sua banda nera uccise 195 persone, tra partigiani e civili.
Fu condannato a morte, poi all’ergastolo e nel 1960 girava già
libero per Torino, ndr) e De Chiffre (specializzato in incursioni notturne
contro civili e partigiani, condannato alla fucilazione alla schiena, poi
all’ergastolo, quindi a dieci anni e nel 1950 amnistiato, ndr).
Queste secondo “La nuova stampa” le amicizie di Zorzoli.
L’articolo prosegue.
“Con De Chiffre poi strinse rapporti fraterni. Da lui si faceva sempre
scortare a Como presso gli alti comandi tedeschi: e la sua macchina era irta
di canne di armi automatiche tanto paventava un incontro con i patrioti. Fu
insieme al De Chiffre ch’egli un giorno catturò appunto un giovane
volontario della libertà: e, accusandolo d’immaginari furti,
lo sottopose a percosse e sevizie.
Dopo il 25 Aprile lo Zorzoli, atterrito, riparò a Milano dove, da certo
Buffalino, si fece cedere, per 200.000 lire, una tessera partigiana in bianco
che riempì poi col falso nome di Farraio. Nonostante questo egli, nei
giorni scorsi, è stato riconosciuto, smascherato e spedito in carcere.
Insieme a lui è stato deferito, a piede libero, il suo collaboratore,
ing. Carlo Alba, ex ufficiale dell’Aeronautica repubblicana”.
Di Zorzoli scrivono anche Razeto e Gasparini in “1945. Il giorno dopo
la Liberazione”, Castelvecchi editore, 2015.
La pistola-mitraglietta, disegnata dallo stesso Zorzoli, fu prodotta in circa
7.000 esemplari non solo a Piossasco e a Torino ma anche in una fabbrica d’armi
di Brescia. Dopo la Liberazione finì la produzione anche se molti esemplari
rimasero sul mercato clandestino gestito dai fascisti. E’ singolare
e preoccupante che tra le armi usate dalle Brigate rosse nell’ agguato
ad Aldo Moro e nell’uccisione della sua scorta (17 marzo 1978) vi fosse
una pistola mitraglietta TZ45 di Zorzoli.
La sigla T.Z.45 deriva dal nome dei due progettisti, Tonon
e Zorzoli, e dall’anno in cui entra in produzione, anche se altri siti
specializzati in armi da guerra sostengono sia l’autunno del 1944.
Iniziata nelle ultime settimane del 1944, l'intera produzione della TZ-45
fu assorbita dalle forze armate fasciste della Repubblica Sociale Italiana,
mentre la sua distribuzione fu disposta inizialmente solo ai soli corpi speciali
(come, ad esempio, la famigerata e filo nazista Xª Flottiglia MAS) ma
fu poi generalizzata a tutte le unità combattenti, in particolare a
quelle impegnate nella lotta antipartigiana. È possibile che alcuni
esemplari di quest'arma siano stati impiegati dai nazisti tedeschi nel territorio
della repubblica di Salò (Nord Italia).
Un esemplare di quest'arma fu utilizzato dalle Brigate Rosse nel marzo 1978
per compiere l'agguato di Via Fani a Roma contro Aldo Moro. Verosimilmente,
si trattava di un’arma di preda bellica, occultata in qualche deposito
clandestino nel Nord Italia. Il mitra TZ-45 è stato utilizzato dal
brigatista Prospero Gallinari per sparare contro i tre agenti della scorta
di Moro presenti sulla seconda auto. Il brigatista raccontò al processo
che il mitra di Zorzoli si era inceppato ed egli continuò l'azione
criminale sparando con la sua pistola contro gli agenti di scorta.
La pistola-mitraglietta disegnata e prodotta dalla SAMT
di Zorzoli a Piossasco, Torino e Brescia in circa 7.000 esemplari
Deferito dal CLN per l’epurazione e denunciato alla Corte d’Assise,
di Zorzoli non si hanno più notizie. Secondo il sito www.laltraverita.it
(che cura il ricordo dei fascisti caduti durante la Repubblica di Salò),
Zorzoli non fu condannato e il suo processo non andò oltre l’istruttoria
e la pratica fu chiusa. Occorrerebbe una ricerca accurata presso l’Archivio
di Stato.
Una traccia di Zorzoli si trova in un breve articolo sui fallimenti a Torino
su “La Stampa” del 25 ottobre 1956.
“Società An. SAMT (Società Anonima Meccanica Torinese),
in persona amministratore unico Aldo Zorzoli, con stabilimento in Piossasco:
sent. 24 ottobre; giudice dott. Caccia; curat: Turletti dott. Aldo; verif.
29 novembre.-“
Ma la SAMT è ormai una sigla vuota perché è stata assorbita
dalla FRAP che produce parti per auto per l’indotto della Fiat.
L’epurazione e le prime condanne a morte
dei “delinquenti fascisti”
Visionando alla Civica di Torino i microfilm del maggio 1945
de “l’Unità” (per non allargare troppo nel tempo
il raggio d’indagine) si ha un quadro dettagliato dei processi che avvengono
in maggio in Torino con imputati della provincia e del capoluogo.
Il 5 maggio 1945 il Tribunale del popolo di Torino emette 8 condanne a morte
contro altrettanti criminali fascisti torinesi. La sede del tribunale era
a Torino in via Cavour 8.
Sono condannati a morte: Salvatore Di Perno della famigerata “X Flottiglia
Mas”; Guido Casetti delle Brigate nere; Carmelino Ruzza del RAP (ovvero
Reparto Anti Partigiani), Riccardo Paolini (RAP), Elio Fabris (RAP), Giuseppe
Felenzer, Orazio Cortese (RAP) e Calogero Panto.
Ergastolo per Vittorio Mantovani della GNR (Guardia Nazionale Repbblichina);
ventidue anni di reclusione a Carlo Dalboni.
Garofalo Vincenzo (GNR), assolto per insufficienza di prove. Domenico Furegato
rinviato per supplemento di istruttoria.
Nelle scuole di Torino e Provincia furono epurati e sospesi temporaneamente
dal grado e dall’ufficio (non dallo stipendio) in attesa che venisse
precisata la situazione di ciascuno, i dirigenti delle scuole elementari e
degli istituti medi e superiori che prestarono giuramento alla Repubblica
sociale italiana di Salò.
L’epurazione interessò anche i vertici di enti e settori della
vita pubblica, associativa, bancaria e dei servizi. Ne dà notizia “l’Unità”
del 12 maggio. Dal 30 aprile all’11 maggio fu interessata dall’epurazione
la direzione compartimentale delle ferrovie, la Banca d’Italia, l’amministrazione
finanziaria provinciale, l’Istituto Case popolari, l’Italgas,
le Officine Viberti nella persona di Candido Viberti, le Aviolinee italiane,
la Fiat Grandi Motori, Istituto nazionale della previdenza sociale, la Banca
commerciale italiana, la Cartiera Burgo, il Consiglio provinciale dell’economia
corporativa, l’Agenzia Telegrammi ed Espressi, l’Incet, i Vigili
del fuoco, la Riv di Villar Perosa nella persona dell’ing. Pietro Bertolone,
l’Impresa Mannoni Giovanni, l’Istituto agrario Bonafous di Chieri
di proprietà del Comune di Torino, l’associazione dei macellai.
Fu epurato anche Francesco Pastonchi, allievo di Arturo Graf, poeta e cantore
del regime fascista, fine dicitore salottiero, che insegnava letteratura italiana
all’Università di Torino ma non era laureato. Ci pensò
Mussolini nel 1935 a conferirgli d’ufficio la laurea “per chiara
fama”.
(l’Unità 6 maggio 1945)
Il 9 maggio 1945 il Tribunale militare di guerra condanna a morte altri dodici
fascisti. Queste le sentenze solo nei primi giorni di maggio. Le sentenze
di morte furono
quasi tutte eseguite, le condanne all’ergastolo o a decine d’anni
di carcere furono con l’Amnistia del ministro della Giustizia Palmiro
Togliatti (Pci) progressivamente ridotte e spesso cancellate.
«Zorzoli si crede sia stato
ucciso.
Martinotti ucciso dai partigiani»
Ancora nella sua lunga lettera, “Gustavino caro…”,
scritta con inchiostro verde, la signora Silvani illustra al figlio le traversie
e la morte di amici di famiglia o conoscenti, alcuni dei quali non residenti
a Piossasco e quindi di difficile identificazione a distanza di 72 anni.
«Fiorio è stato preso e non si sa dove sia. Anche il padre
era stato arrestato e poi rilasciato. L’ebreo Rino è morto. Il
dottor Nazario che era fuggito dalla prigionia e che lavorava a Torre Pellice
è stato fucilato dai Tedeschi. Zorzoli si crede sia stato ucciso. Maestri
e Bernabò S. sono stati in carcere molti mesi e sono usciti dopo la
fine della Repubblica (di Salò, ndr), Martinotti è stato ucciso
dai partigiani e così il Nino, nipote della Sig. Cruto. Pare che abbiano
anche fucilato Leonardo Olivero e che Ninelupo (?), Pierino e la madre siano
ricercati. A Torino poi c’è stata una feroce giustizia di popolo.
Qui (a Piossasco, ndr) si sono accontentati di mettere falce e martello rosso
a chi era con loro e nero ai fascisti (noi l’abbiamo rosso). Ma non
hanno fatto nulla tranne ruberie e qualche sopruso».
«A Torino è quattro mesi che non vado perché mancando
le corriere bisogna fare molto a piedi e poi con la caduta del ponte la casa
resta più scomoda. Abbiamo avuto un inverno tremendo per il freddo
e papà poverino ha fatto tutto in bicicletta perché prendevano
(requisivano, ndr) la macchina. Ce l’avevano presa una volta che hanno
rovinata tutta la carrozzeria portandola in montagna. Ma poi io ho scritto
al capo partigiano che ce l’ha fatta rendere. I Tedeschi ci hanno requisito
una camera due volte, ma sono stati poco e si sono comportati civilmente.
Una volta volevano incendiare Orbassano e Piossasco e papà con altri
sono andati a Torino al Comando e sono riusciti a calmarli».
Seguono alcuni ragguagli su Giancarlo Pajetta che nel dopoguerra era l’esponente
piemontese del Pci più conosciuto a Torino. «Pajetta è
a Roma per il partito comunista, Giuliano è prigioniero in Germania
e il fratello più giovane partigiano morì in uno scontro con
i Tedeschi SS». Quindi un accenno al sindaco Pci, Giovanni Boch,
in carica dalla fine di aprile 1945: «È sindaco Boch con
una Giunta un po’ stramba. Ma il sindaco è di molto buon senso
ed è aiutato da Alfredo Oberto […]. E’ con noi molto gentile».
Aggiunge in un’altra lettera del 22 maggio 1945 la signora Silvani:
"Abbiamo sindaco Boch il quale ha tali sentimenti e tale educazione
da farci augurare che possa servire di modello a tutti. Peccato che sia comunista,
o meglio si dica comunista, perché il suo modo di operare e di agire
è del migliore, questo gentiluomo che ama l’ordine, il lavoro,
la disciplina, la famiglia eccetera”.
In un altro passaggio la signora si lamenta della mancanza dei giornali quotidiani
a Piossasco. Scrive: ”Anche qua è una fioritura di giornali,
ed ora che Sisto (Valfrè, il giornalaio che aveva l’edicola
sotto l’Ala all’angolo con Piazza XX Settembre, ndr) va a
prenderli a Torino prende quello che vuole e porta (a Piossasco) quello
che fa piacere a lui. La vita è molto cara ed era una vera repubblica
(Sociale fascista di Salò, ndr), perché tutti facevano
borsa nera e non avevano più nessun comando. I repubblichini, così
li chiamavano, commettevano tutti i soprusi”.
La casa del dott. Silvio
Silvani in via Pinerolo angolo via Nazario Sauro. Silvani è stato
medico condotto di Piossasco e Bruino. Sul cancello la moglie Hedda
Ferri. |
Morte misteriosa di un pugliese sfollato
Il 10 giugno 1945, all’1,30 viene rinvenuto il corpo
di Angelo Donatone, del fu Gaetano e di madre ignota. Donatone aveva 50 anni,
era residente a Torino e sfollato a Piossasco, impiegato, vedovo di Maria
Foglianisi. Era nato a Gioia del Colle (Bari). Il corpo era abbandonato nella
scarpata di fronte alle case di Via Pinerolo, angolo con l’attuale via
Alfieri (al tempo via Volvera) di proprietà dei Cruto e Carbonero.
Il Donatone fu presumibilmente lasciato scivolare dall’angolo dove esiste
ancora oggi una grossa pietra segnaletica. La denuncia arrivò dai Regi
Carabinieri di Orbassano, dal maresciallo comandante Mario Mongillo l’11
giugno e fu trascritta negli Atti di morte dal segretario comunale Pasquale
Guerrera.
Nel documento non si parla delle cause della morte della vittima né,
tanto meno, della sua collocazione politica. Nessuno ha mai sollevato questo
caso, ricordato nebulosamente da alcuni anziani (allora ragazzi), rimasto
sepolto negli Atti di morte del Comune di Piossasco.
La morte di Donatone, che non fu seppellito a Piossasco, fu dovuta ad un malore,
ad una spiata, ad una vendetta, ad un regolamento di conti? Era un antifascista
o un fascista? Aveva con sé documenti falsi? Fu ucciso in località
Ponte Nuovo (come scrivono i Carabinieri di Orbassano) o altrove e poi portato
a Piossasco, dove era sfollato?
Allo Stato civile di Gioia del Colle dicono che il cognome Donatone è
ancora oggi abbastanza diffuso, ma le ricerche dell’Ufficio pugliese
non hanno dato risultati positivi circa l’identificazione più
precisa del loro (?) concittadino. Non solo. Dice la dott.ssa Donata Vitto,
ufficiale dello Stato civile di Gioia del Colle: «Siamo spiacenti,
ma del sig. Donatone Angelo non abbiamo traccia, né atto di nascita
né trascrizione di morte».
Perché allo Stato civile di Piossasco il Donatone risulta essere nato
a Gioia del Colle? Al corpo rinvenuto in via Pinerolo fu dato un nome di comodo
per sviare eventuali indagini sugli assassini e per non svelarne l’identità
che poteva compromettere e tirare in ballo qualcuno? Aveva documenti falsi?
Che vi sia qualcosa di non chiaro sull’identità del morto lo
dimostra anche la discordanza sulla sua età. Infatti sul Bollettino
di San Francesco (luglio 1945), nella rubrica “Morti”, il Donatone
risulta avere 48 anni e non 50 come è scritto nella denuncia di morte
del Comune di Piossasco. Nell’atto di morte manca tra l’altro
il mese e il giorno di nascita, l’anno si può ricavare dal fatto
che aveva 50 anni (o 48?). Si scrive che la madre del Donatone è «ignota»:
di solito negli atti ufficiali si scriveva che era “ignoto” il
padre. “Mater semper certa, pater nunquam” dicevano gli
antichi Romani. Piossasco trasmise l’atto di morte al comune di nascita
che non lo inserì nei suoi Atti perché già allora non
lo riteneva suo cittadino? Presso quale famiglia era sfollato? Pare abitasse
in quella che sarà via Mario Davide e che avesse affittato una stanza
da una certa Tilde Cardone.
Il mistero sull’identità del Donatone permane. Il silenzio durato
72 anni non aiuta a identificare l’uomo.Un’altra ipotesi, più
prosaica, circolata nell’immediato dopo guerra, volle il Donatone vittima
di un omicidio dettato dalla gelosia di un marito della cui moglie si sarebbe
invaghito il pugliese.
Ne “La resa dei conti” (Mondadori) Gianni Oliva fornisce le cifre
dei morti ammazzati tra la fine di aprile e luglio 1945: secondo una quantificazione
per difetto le persone uccise accusate di essere stati fascisti o aderenti
alla Repubblica di Salò furono circa 3.000 nel solo Piemonte di cui
1500 giudicati dai tribunali marziali partigiani seduta stante. A Torino molti
corpi furono buttati nel Po, lasciati lungo le strade e i corsi, fu attuata
un’epurazione quartiere per quartiere. A molti giustiziati vennero portati
via sistematicamente i documenti di identità e i loro cadaveri furono
occultati per mesi. Dal 26 aprile, giorno della Liberazione di Torino, furono
uccisi dai partigiani migliaia di fascisti, brigatisti neri, collaborazionisti
con i tedeschi. In Piemonte funzionarono a pieno ritmo 11 Corti d’assise
straordinarie che tra il 1945 e i 1947 giudicarono 3.600 persone: a 203 di
loro fu inflitta la pena di morte, 23 condannate all’ergastolo, 319
a più di 20 anni di carcere e 853 ad una pena detentiva compresa tra
i 5 e i 20 anni.
Cercare l’identità del Donatone in questo clima di giustizia
rivoluzionaria che non ha aspettato i tempi della “giustizia ufficiale”
è difficile se non impossibile.
Ieri - cartolina viaggiata 1922
Oggi - Il luogo dove fu trovato il cadavere dello sfollato
Angelo Donatone che abitava a Piossasco sotto falso nome. Il luogo,
in via Pinerolo angolo Via Alfieri (allora Via Volvera), è rimasto
tale a quale era più di 70 anni fa. La casa era di proprietà
della famiglia Cruto che recentemente, per testamento dell'ultima discendente
Miranda, è stata lasciata in eredità alla casa di riposo
"Esterina Coassolo" della fondazione Pro Senectute di Cantalupa.
Fra non molto inizieranno i. lavori per l'abbattimento e la costruzione
di un edificio nuovo a forma di L su via Pinerolo e via Alfieri. |
Un falso (?) piossaschese fascista fucilato a maggio nel Canavese
Aveva 32 anni, si chiamava Pierino Brero di Camillo, di Piossasco.
Era un fascista della Guardia Nazionale Repubblicana.
Fu ucciso dai partigiani nel Basso Canavese nel maggio del 1945. Così
scrive nel suo diario don Luigi Vesco, priore e parroco di Strambino dal 1910
al 1954. Il libro, custodito dalla Fondazione Donat Cattin di Torino, ripercorre
i tragici eventi accaduti in quella zona dall’ 8 settembre 1943 al 15
agosto 1945. Sorpresa: all’anagrafe e allo stato civile di Piossasco
questo Brero non risulta essere nato né aver abitato a Piossasco, anche
se il suo cognome è ancora oggi diffuso.
O don Vesco, al quale Strambino ha dedicato la piazza principale del paese,
ha preso un abbaglio, o lo stato civile era un colabrodo o molti agivano sotto
falsa identità e falsa origine.
Pare che il Brero si fosse infortunato in seguito al ribaltamento di un mezzo
militare a Villareggia nel Canavese; con altri camerati feriti fu ricoverato
all’ospedale San Giovanni vecchio in via Giolitti a Torino.
Secondo il parroco, Brero, e altri nove fascisti, fu prelevato dai partigiani
di Torino dall’ospedale e portato nel Canavese. Quattro di questi furono
consegnati agli Alleati (e si salvarono), gli altri cinque furono uccisi.
Con il Brero furono passati per le armi Saverio Carbone fu Nicola, 44 anni,
di Bari; Renzo Pasotti di Giovanni, 19 anni, da Bovetto (Bs); Giuseppe Falchero
fu Michele, 43 anni, da Castiglione Torinese ed Eros Teodori di Fioravanti,
39 anni, da Occhiobello (Rovigo).
«Triste pagina che non vorrei segnare in questo diario»,
annota don Vesco che fu anche il difensore dell’ex podestà fascista
di Strambino il generale di Corpo d’Armata Sisto Bertoldi, già
nelle carceri di Ivrea «con la doppia imputazione di aver fatto
arrestare dai tedeschi e mandare in Germania il partigiano dott. Antonio Manzini
e di aver collaborato con il nemico». La perorazione di don Vesco
fu tale che il Bertoldi fu assolto e quasi liberato a furor di popolo, partigiani
compresi. Don Vesco fu considerato dal regime fascista un suo avversario.
Intervento di Gianfranco Martinatto
ricercatore di storia locale
“Sono un testimone dei testimoni”
PIOSSASCO DAL ’43 AL PRIMO DOPOGUERRA: DAL FASCISTA ZORZOLI (POI EPURATO), LE FAMIGLIE EBREE NASCOSTE A SAN VITO, UNA NUOVA GENERAZIONE DI PICCOLI IMPRENDITORI NEL SETTORE METALMECCANICO
Non si può parlare di vera industria a Piossasco negli
ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento. Le attività
allora presenti possono essere classificate nell’ambito artigianale
o poco più su in quello manifatturiero. Ritroviamo alcune dinastie
di distillatori: i Reinaudi, i Baudino, gli Oberto. Nel campo delle brusche:
i Fenoglio, in quello alimentare i Mondino. È la I Guerra Mondiale
a offrire soprattutto agli spazzolifici una opportunità di fare un
salto qualitativo in termini di commesse. Negli anni venti fa la comparsa
un feltrificio (Il Subalpino). L’industria metalmeccanica è assente
almeno fino agli anni trenta. La FIAT e le altre ditte nate a fine Ottocento
a Torino non erano ancora occasione di commesse. La prima attività
legata alla metalmeccanica che si ricordi in Piossasco era collocata al fondo
dell’attuale via Borsi. Attingo ai ricordi familiari, perché
per mio padre del 1921, fu il suo primo impiego. La fabbrica, o come si usava
dire da queste parti, la boita, sotto una tettoia aveva già alcuni
torni. Tuttavia era ancora un ibrido tra una bottega da fabbro e una officina
metalmeccanica. Si faceva di tutto: dagli attrezzi per la campagna ai tiranti
per i primi aerei. Le produzioni erano limitate nel numero e si cambiava spesso
articolo. I proprietari erano Umberto Piatti, Raffaele Mondino(?) e altri.
Fu da questa attività che si giungerà alla fondazione di quella,
che sarà, fino agli anni Novantacinque dello scorso secolo, la fabbrica
piossaschese per antonomasia: la FRAP. In effetti Umberto Piatti lo troveremo,
agli inizi del secondo dopoguerra, per un breve periodo tra i soci fondatori
della fabbrica di ricambi piossaschese e mio padre seguirà il suo primo
padrone in questa transazione.
Ci fu però un interregno tra la fabbrica di via Borsi e la successiva
fondazione della FRAP, ed è il periodo della seconda guerra mondiale.
Per parlare di questo bisogna dare alcune delucidazioni sugli aspetti del
centro piossaschese. Due episodi della storia nazionale avevano mutato la
geografia paesana. Uno era stato l’uccisione, il 29 luglio del 1900,
del Re Umberto I a cui il paese aveva dedicato la costruzione della nuova
scuola elementare. Il secondo, la tragedia della Prima Guerra Mondiale aveva
indotto il comune a riservare un luogo alla memoria dei caduti, individuato
proprio di fronte alla scuola (oggi Via Trieste). Quando nel 1943, dopo l’8
di settembre, le sorti dell’Italia peggiorarono con l’occupazione
tedesca e i bombardamenti, a Piossasco troviamo una novità, la presenza
di una fabbrica torinese, la SAMT collocata dove poi troveremo dal ‘57
in poi la FRAP, ma anche diffusa in piccoli capannoni in serie, in mattoni,
le cui tracce si possono ritrovare in edifici ancora presenti dietro ai così
detti palazzi Fanfani.
Il proprietario di questa fabbrica era l’ingegner Aldo Zorzoli e le
motivazioni di questa traslazione sono da ricercare nelle sempre più
frequenti incursioni aeree su Torino. Come si sia potuto sistemare a Piossasco
e soprattutto su suolo pubblico è un mistero. Zorzoli prolifico progettista
di vari dispositivi quali ammortizzatori e stabilizzatori di sospensioni era
ben introdotto con il regime fascista. Alcune sue invenzioni avevano varcato
i confini nazionali. Conosceva il tedesco per aver frequentato i mercati della
Germania e Svizzera. Delle sue frequentazioni in ambito militare si ricorda
soprattutto quel Carlo Alba, ingegnere, ex ufficiale dell’aeronautica
della RSI. Il suo nome resterà legato a un’arma, un mitra, il
TZ45 che sarà imbracciato sia dalla squadracce fasciste nella repressione
partigiana, sia dagli stessi partigiani. Un’arma tristemente famosa
che arriverà fino ai giorni nostri con il delitto Moro e il cui uso
lo si troverà anche nel sud-est asiatico.
Quest’arma prodotta in diversi posti del nord Italia, in particolare
nel bresciano, venne assemblata anche a Piossasco nella SAMT di piazza Italo
Balbo (oggi Fratelli Baudino).
Attingo nuovamente ai ricordi familiari. Mio padre che aveva avuto la fortuna
per i tempi di essere riformato per un problema toracico, fu precettato e
impiegato nella produzione bellica di questa ditta. Godeva come tutti coloro
che vi lavoravano di un lasciapassare bilingue, soprattutto dall’autunno
del ’43, questo però non era sempre un passe-partout per muoversi
in tranquillità. Due volte fu fermato. Una invitato a tornare a casa
perché nella ditta avevano prelevato alcuni operai, tra cui una donna
di nome Clementina, che era sospettata di essere una staffetta della Resistenza.
La seconda, nell’inverno del ’44, mentre si accingeva ad andare
a lavorare, una retata di tedeschi e fascisti arrivò improvvisamente
nel cortile di casa e mio padre, per salvare suo fratello nascosto in casa,
dopo che era tornato a piedi da Chatillon in Val d’Aosta, dopo l’8
settembre, si consegnò. Nonostante il lasciapassare fu portato a S.Vito
e poi grazie ad un fascista repubblichino, liberato, mentre alcuni di questa
retata vennero portati in via Asti a Torino.
Sul famoso mitra mio padre affermava che non era molto affidabile. A cento
metri già perdeva precisione a causa di problemi di compressione. Tuttavia
aveva delle novità interessanti, il calcio retrattile e la sicurezza
sull’impugnatura del caricatore. A Piossasco le lavorazioni che lo riguardavano
erano soprattutto le parti cilindriche, altri particolari come la molla interna
e gli scatolati venivano da via. Annesso alle officine, era presente una camera
di tiro con dei sacchi di sabbia in quei tetti di via Trieste. L’ambiguità
del Zorzoli era nota: compromesso con il regime, non mancava però di
intrattenere rapporti con i resistenti. A volte per le sue conoscenze e per
sapere il tedesco svolse anche opera di mediazione. La sua fuga nel milanese,
di cui era originario, a fine conflitto, il tentativo di camuffarsi sotto
falsa identità partigiana, è conosciuto. Lo ritroviamo nuovamente
nel torinese negli anni Cinquanta. È del ’57 il fallimento della
sua ditta, la SAMT; è dello stesso anno la formalizzazione dell’atto
di fondazione della FRAP (la cui sede/uffici risultano in via Roma), sotto
la guida di Riccardo Manzone (poi cavaliere del lavoro), che rileverà
quanto era rimasto a Piossasco. Oltre al Piatti (Umberto e non Aldo come è
scritto sul sito attuale della FRAP) in società entrerà anche
Natale Patrucco. Monferrino quest’ultimo e langarolo il Manzone rappresentano
la nuova classe imprenditoriale industriale arrivata dalla provincia piemontese,
dai luoghi dove la barbera e il barolo non creavano ancora quella ricchezza
che donano oggi. D’altronde anche i Baudino e i Fenoglio ai primordi
dell’industria piossaschese non erano indigeni del luogo.
A proposito del clima generato dalla guerra mi sembra giusto ricordare due
figure importanti di questi anni terribili: Emilio Baudino (industriale nel
settore dei distillati) e don Michele Frigeris (teologo e amministratore dei
beni della curia) che si spesero per nascondere ebrei dalla persecuzione nazifascista.
Il Baudino, in affari con i Diena (quelli della famosa Marsala), nota famiglia
ebrea di origine carmagnolese, si offrì di trovare rifugio a componenti
di questa, quando l’occupazione tedesca mise in forte pericolo la loro
esistenza. Al Marchile si ricordano due o tre episodi in cui ebrei furono
ospitati. L’auto del Baudino era di casa di fronte alle abitazioni dei
parenti del sacerdote e di fronte al grande cascinale che, ironia della sorte,
per la sua forma chiusa i marchilesi chiamavano “U ghet”, il ghetto.
Una anziana coppia di ebrei fu ospitata da Oreste Tarable, noto per le sue
idee socialiste. La donna per sbarcare il lunario rammendava. Mio padre che
aveva strappato i pantaloni del completo per sfuggire alle ire di sua madre
fece due cose: inchiodò il cassetto della credenza, perché la
nonna non potesse aprirlo e ricorse alle mani sapienti della rammendatrice
ebrea che fece un lavoro di fino, ricostruendo integralmente il disegno del
pantalone principe di Galles.
In genere questi transfughi rimanevano poco, poi per via segreta, aiutati
da questa compagnia trasversale: di borghesi, clericali, socialisti di buona
volontà, cambiavano alloggio. Ci furono altri interventi in difesa,
soprattutto dei giovani che erano tornati a casa dallo sbandamento del settembre
del ’43 e non avendo scelto la lotta armata venivano nascosti dalle
famiglie. In pericolo erano anche coloro, pur ancora ragazzi, in odore di
leva. In questa terra di mezzo si muovevano i due parroci: di S. Vito e S.
Francesco, sistemandoli in alcune ville della collina, i cui proprietari o
eredi avevano spesso legami con l’esercito se non con il regime. Nonostante
la presenza in diverse delle più importanti residenze di S. Vito (Villa
Boneschi, Villa Lajolo) di un comando tedesco, la situazione veniva tenuta
sotto controllo con qualche tacito compromesso.
La transazione verso il 1945 fu lenta e difficoltosa. Qualche bomba cadde
per sbaglio sul paese. Si ricorda quella a ridosso delle case degli Elia,
che si infossò senza scoppiare e un’altra nei campi della Paperia.
Gli aerei alleati puntavano su Airasca dove c’era un aeroporto e le
bombe non erano ancora intelligenti! Nell’estate del ’44 molti
giovani seguivano la via dei campi preferendo dormire all’aperto. Così
fece anche lo zio Giovanni una sera. Prese il tascapane ci infilò qualcosa
dentro, da mangiare, e una piccola rivoltella, mentre attraversava la provinciale
a Milone un sidecar tedesco proveniente da Pinerolo gli intimò l’alt.
Egli gettò l’arma nel piccolo fosso e sfruttando la sua sinuosità,
correndo a più non posso si disperse nei prati della Valdusana. Erano
frequenti i pattugliamenti della provinciale e il mitragliamento della montagna.
A una situazione di pericolo del genere si deve ad esempio il voto che fece
Virgilio Buttigliengo di vestire i panni del Cristo e portare la croce nella
via crucis che si faceva nel periodo di Pasqua a S. Vito. Lo onorò
fino alla estinzione di questa tradizione negli anni Sessanta. Era convinzione
di mio padre che la liberazione la portassero i francesi e fu stupore generale
vedere arrivare americani e candesi. Mi stupisco di ricordare tutte queste
cose che ho sentito narrare, di essere un testimone dei testimoni e mentre
questi fatti si allontanano sempre più da noi sento di avere una responsabilità,
quella che sottolineava Primo Levi: quella della memoria.
La fondazione alla Camera
di Commercio di Torino della P.M.T (Piatti, Manzone, Patrucco) risale
al 18 aprile 1947 con un capitale versato di 150.000 lire. Dalla P.M.T.
trarrà poi origine la FRAP con il cav. Manzone come unico titolare. |
Nel primo dopoguerra nascono la “boite”
Quasi tutte collegate alla FRAP di Manzone. Un pezzo di Viberti a Piossasco
con l’officina di Operto
Dal dopoguerra agli Anni ’70 furono molte a Piossasco
le officine, al confine tra artigianato e piccolissima industria metalmeccanica.
Alcune autonome, altre collegate alla FRAP, tutte gravitanti nell’indotto
della FIAT, ma anche di marchi stranieri, e in parte dell’allora INDES.
Ne citiamo alcune con il nome dei titolari: Natale Patrucco (che nel 1947
era entrato in società con Piatti e Riccardo Manzone), con l’officina
in via Torino angolo via Botta; Morello (via Pinerolo), il già menzionato
Piatti in via Borsi che lavorava sotto una tettoia; Paviolo in via Piave;
Gorrea in via Migliara; Carpinello in via Magenta; Lazzeris (Via Torino);
Leone Tonda e poi i figli Angelo e Marco con l’azienda a Milone e da
una quindicina d’anni nell’area artigianale del Pip in via Volvera.
E altre ancora. E poi l’officina di Paride Operto che ha una storia
particolare derivata dalla Viberti. Dice la figlia Ada (agosto 2019): ”Abitavamo
a Torino, mio padre era un tecnico della Viberti. Nel 1941-’42 la Viberti
(autocarri, assali, filobus e corriere) temendo i bombardamenti degli Alleati
su Torino trasferì alcune lavorazioni metalmeccaniche nei locali della
cosiddetta “Fucina” di Via Riva Po. Mio padre dirigeva questo
piccolo nucleo. Poi siamo venuti a Piossasco per comodità. Abitavamo
in via Cruto. Mio padre trasferì poi l’officina in via Battisti
angolo via Piatti, a fianco della nostra nuova casa”. La Viberti di
Torino costruì anni dopo un nuovo grande stabilimento a Nichelino,
da anni chiuso e in abbandono; in seguito il marchio fu assorbito dalla Merker
di Tocco da Casauria, (Pescara).
IInterni della FRAP con dipendenti e apprendisti agli inizi degli Anni '60.
IInterni della FRAP con dipendenti e apprendisti agli inizi
degli Anni '60.
I partigiani a Piossasco
visti dai fascisti della Gnr
Le informative sulla repressione dei “banditi”
dal 9 marzo 1944 al 24 febbraio 1945
Una documentazione sulle attività dei partigiani nel
nord Italia, da Torino a Pola in Istria (allora italiana), da Genova a Bologna
al Friuli è rintracciabile presso l’archivio della Fondazione“Luigi
Micheletti” di Brescia. Un succinto bollettino delle operazioni militari
dei fascisti e dei nazisti tedeschi effettuate contro quelli che erano definiti,
di volta in volta, “banditi” o “ribelli” oppure “sconosciuti”.
Si tratta di un’utile fontedi parte che spesso ingigantisce con una
certa enfasi le azioni militari andate a buon fine per la Guardia Nazionale
Fascista (GNR) serva e complice dei tedeschi invasori, mettendo però
in ombra o tacendo i risultati positivi delle bande partigiane. Le informative
di controspionaggio giunte da informatori e delatorilocali erano inviate ai
comandi fascisti (e forse anche a Salò, una delle sedi della Repubblica
sociale) hanno una cadenza quasi quotidiana e monitorano i movimenti, le rappresaglie,
le esecuzioni, gli arresti, i rastrellamenti di militari e civili nell’Italia
settentrionale. Ma anche le requisizioni di cibo, sale, tabacchi, animali
da stalla e mezzi che i partigiani armati prendevano soprattutto nelle cascine
o nei negozi di generi di monopolio, a volte pagando in lire contanti, altre
rilasciando una ricevuta per un eventuale rimborso a guerra finita.
Dal 9 marzo 1944 al 24 febbraio 1945 è in archivio la documentazione
che riguarda Piossasco. Per la consultazione on line è necessario andare
sul sito della Fondazionee “cliccare” sul nome del paese o della
città che interessa visionare. In questa sede ci limitiamo a Piossasco
e a quelle informative in cui compare il nome di Piossasco.
E’ significativo che la documentazione finisca nel febbraio del 1945,
quando il regime repubblichino iniziava a cedere sempre più vistosamente
sia per l’avanzata verso il Nord degli Alleati anglo americani, sia
per la presenza e l’attività delle formazioni partigiane sempre
più presenti nelle grandi città.
Non è un caso che proprio nell’ultima informativa del 24 febbraio
1945 in cui si parla di Piossasco si tracci una mappa dei gruppi partigiani
scesi dalla montagna (il fenomeno che gli storici hanno definito “pianurizzazione”)
in vista della liberazione delle grandi città e del “25 Aprile”.
Allarghiamo l’orizzonte includendo il territorio che comprende le valli
Pellice, Germanasca, Chisone, Sangone e Susa per avere un quadro più
generale della nostra zona.
“Val Pellice. Nelle zone di Prarostino e Roccapiatta esiste
la brigata “Valpellice” (Sergio Toja).
Nei pressi di Virle Piemonte è confermata la presenza di circa 100
elementi provenienti dall’alta montagna i quali hanno costituito una
nuova banda.
A nord di Airasca è segnalato un piccolo gruppo di banditi che compie
rapine e grassazioni.
Val Germanasca e Val Chisone. E’ segnalato che il capo banda
Maggiorino Marcellin, sfuggito all’annientamento della propria
banda, nell’autunno dello scorso anno, ha fatto la sua ricomparsa in
tali valli ove tenta di ricostituire una banda.
Val Sangone. Un gruppo di una cinquantina di elementi si trovano
tra Villarbasse e Reano.
Un’informativa del 21 febbraio 1945: “Nei pressi di Orbassano
è segnalata la presenza di un nucleo di banditi di circa 10 elementi
che, oltre a commettere rapine e grassazioni, compiono azioni di disturbo
sulla carrozzabile Orbassano-Piossasco-Pinerolo”.
Valle di Susa. Il comandante “Alessio” della 17^ brigata
garibaldina è stato sostituito da certo “Deo”,
mentre l’attuale commissario politico risulta essere il tenente Rosà.Il
comandante “Alessio” si è recato in Francia
con una ventina di russi”.
Seguiamo l’ordine cronologico.
9 marzo 1944
Il 2 corrente, alle ore 6, in Cumiana, circa 200 ribelli armati di fucili
mitragliatori, moschetti e bombe a mano, bloccarono le strade dell’abitato
vietando il transito alle persone per qualsiasi motivo. Gli stessi impedirono
alla corriera di partire per Torino e per Pinerolo, asserendo che doveva avere
inizio lo sciopero generale. Bloccarono inoltre i telefoni ed il telegrafo
e si allontanarono verso le ore 12 in direzione di Piossasco.
Il 3 aprile avvenne a Cumiana la strage di 51 cittadini uccisi per rappresaglia
dai nazifascisti.
Il Bivio di Cumiana negli Anni '40 (Foto di Marco Comello, Anpi di Cumiana)
10 marzo 1944
Il 2 corrente, in Piossasco, circa 40 ribelli si presentarono nel mulino
di Luigi Ruffinatto facendosi consegnare, sotto la minaccia delle armi, quintali
62 di farina e 11 di crusca.
Il mulino Ruffinatto di via Segheria, a fianco del Sangonetto, di cui
rimane ancora la scritta sulla parte più elevata dell’edificio,
è stato in funzione fino agli Anni ’80 dello scorso secolo per
poi essere trasformato in palestra. Era uno dei tre mulini di Piossasco con
quello comunale di via Riva Po (ora ristorante e museo) e quello di Alberga
(“Tubia”) in via Piave, chiuso una trentina d’anni fa.
26 marzo 1944
Il 15 corrente, in contrada Cappella di Piossasco, quattro sconosciuti
armati si presentarono nella cascina dei contadini Angelo e Mattia Bonetto,
obbligando costoro a consegnare loro 59.000 lire in biglietti di banca e alcuni
oggetti d’oro del valore di lire 5.000.
Angelo Bonetto negli Anni ’60 sarà vicesindaco di Piossasco
con Giuseppe Andreis primo cittadino. Dalla frazione Cappella si trasferì
nel dopoguerra in una casa in via Aldo Piatti angolo via Pinerolo.
La notevole cifra di 59.000 lire equivaleva al prezzo di circa 45 bovini,
così come erano pagati dai partigiani ai contadini. Non è escluso
che nella trasmissione della notizia sia stato aggiunto (volontariamente?)
uno zero di troppo. Data la pericolosità dei tempi appare per lo meno
poco credibile che una famiglia di contadini tenesse in casa e in contanti
una cifra così cospicua.
Alcune volte non si trattava però di espropri dei partigiani ma di
esponenti della di criminalità spicciola che, approfittando della confusione
di quei tempi, si presentava armata dicendo di essere partigiani.
1 aprile 1944
Il 21 marzo u.s., alle ore 21,30, una banda di ribelli irruppe nell’abitato
di Piossasco ove costrinse le gerenti di due rivendite di generi di monopolio
a consegnare loro Kg.21 di tabacchi che pagarono parzialmente.
La notizia è ripresa anche il 14 aprile.
Le tabaccherie erano allora tre: una a San Vito gestita dalla famiglia di
Vito Molardo. L’altra in via Roma con Osvalda e Angelo Boursier, sorella
e fratello di Luigi, podestà fascista di Piossasco dal 1939 al 1941
e poi sindaco Dc dal 1960 al 1962. La terza era in via Pinerolo angolo via
Peschiera, di fianco all’allora ristorante Cannone d’oro. Era
gestita da Vittoria Fiora (“Toja”).
20 aprile 1944
Il 29 marzo u.s., alle ore 21, in Piossasco, un gruppo di ribelli armati
penetrò nell’abitazione di Vito Notto, costringendo questi a
consegnare loro lire 5.000, alcuni oggetti d’oro, Kg.40 di salumi e
30 di lardo.
28 aprile 1944
Nella notte sul 13 corrente, lungo la strada Cumiana-Chiossasco (correzione
con errore di battitura, ndr), ignoti asportavano dalla linea telefonica della
STIPEL 12.000 metri di filo di bronzo
29 aprile 1944
Viene ora denunciato che, il 16 corrente, verso le ore 18, in territorio
di Piossasco, due sconosciuti armati, presentati nella cascina “Albere
nuove”, asportarono al contadino Luigi PERTUSATTI due vitelli, che caricarono
su un carro dello stesso PERTUSATTI. Il carro e il cavallo furono rinvenuti
abbandonati il giorno successivo nei pressi di Giaveno. Al PERTUSATTI, i ribelli
rilasciavano una ricevuta intestata “Esercito di liberazione nazionale”.
29 aprile 1944
Sempre lo stesso giorno viene riportata un’altra notizia che riguarda
un furto di vitelli ad un altro PERTUSATTI. Non è indicata la cascina.
Il 21 corrente, alle ore 16, in Piossasco, due ribelli armati penetrarono
nella cascina di Vittorio PERTUSATTI, costringendo questi a consegnar loro
tre vitelli da latte.
7 maggio1944
Il 28 aprile u.s., alle ore 15, in Piossasco, una decina di ribelli armati,
giunti a bordo di un autocarro, si presentarono in un molino, costringendo
il mugnaio a consegnare 25 quintali di riso, allontanandosi poi in direzione
di Giaveno.
Si trattava del mulino di Alberga che si trovava in via Piave, già
nella direzione di Bruino, Trana, Giaveno?
13 maggio 1944
Il 3 corrente, verso le ore 1,30, in Piossasco, 5 ribelli in divisa da
alpini e armati di pistole automatiche penetrarono nella cascina di proprietà
del contadino Bartolome(o) LOVERA, costringendo questi a consegnare loro un
bovino, che pagarono L.1.400.
13 maggio 1944
L’8 corrente, alle ore 17,30, in Piossasco, elementi ribelli armati
bloccarono le vie d’accesso al molino RUFFINATTO, costringendo il proprietario
a consegnare loro 18 quintali di segala pagando la merce in ragione di lire
200 il quintale.
Stesso fatto è ripreso tale e quale nel notiziario il 18 maggio.
20 maggio 1944
Il 10 corrente, alle ore una, in Piossasco, quattro ribelli armati penetrarono
nella cascina del contadino Domenico COTTINO, costringendo questi a consegnare
loro un vitello, che pagarono lire 1.200.
10 giugno 1944
Il 31 maggio u.s., verso le ore 9, in Piossasco, due banditi armati costringevano
la gerente di una rivendita di generi di monopolio a consegnare loro un chilogrammo
di tabacchi per quale versarono lire 500.
16 giugno 1944
Un grave fatto avviene a Piossasco l’11 giugno: sequestro di un avvocato,
cattura da parte dei fascisti di tre ostaggi, ultimatum del segretario del
fascio di Pinerolo per il rilascio, pena l’uccisione degli ostaggi.
Non seguono altre notizie nei giorni successivi né è dato sapere
quali sono stati gli sviluppi dei fatti di quella tragica domenica. Nessuno
oggi si ricorda di quel fatto e sono di difficile identificazione le persone
coinvolte.
Questo il testo integrale.
L’11 corrente, alle ore 9,45, in Piossasco, banditi armati sequestravano,
conducendo seco, l’avvocato Giulio GAMBINO, allontanandosi verso il
colle Morione (tra l’alta Valle Chisola e il Monte Freidur, ndr).
In seguito a ciò, alle ore 16 dello stesso giorno, il segretario del
Fascio di Pinerolo prendeva in ostaggio le seguenti persone residenti a Piossasco,
dichiarando che, se entro le ore 17 del 13 corrente, i banditi non avranno
rilasciato l’avvocato GAMBINO, le stesse saranno passate per le armi
- generale dei carabinieri in pensione Silvio CASAVECCHIA;
- generale dell’esercito in pensione Piero PIUMATTI;
- -Leopoldo Galetto.
Riserva di notizie.
20 giugno 1944
L’11 corrente, alle ore 8,30, in Piossasco, 4 banditi armati costrinsero
il gerente della locale rivendita di generi di monopolio a consegnare loro
Kg.3 di tabacchi, che pagarono.
23 giugno 1944
Il 14 corrente, verso le ore 7,50, in Piossasco, 4 sconosciuti armati
costringevano il gerente della rivendita di generi di monopolio Vito MOLARDO
a consegnare loro Kg.6 di tabacco vario e 20 di sale, che pagavano al prezzo
corrente, allontanandosi poscia per ignota destinazione.
23 giugno 1944
il 15 corrente, alle ore 18, tre banditi armati si presentavano all’esercente
Vincenzo VAUDANA, obbligandolo a consegnare loroKg.100 di pasta. Caricata
la merce su un carro trainato da un cavallo, i banditi si allontanavano dirigendosi
verso Cumiana.
Stesso giorno, altro episodio.
Il 15 corrente, alle ore 11, 4 sconosciuti armati di pistole automatiche,
qualificati banditi, si presentarono nella cascina BERTINA del comune di Piossasco,
costringendo il contadino Michele DE STEFANIS a consegnare loro un mulo.
30 giugno 1944
Il 21 corrente, in Piossasco e Druento, alcuni banditi asportarono in
danno della popolazione dei predetti comuni, complessivamente chilogrammi
25 di tabacchi, 20 di sale e due bovini, pagando la merce a prezzo di listino.
Con la collaborazione di Marco Comello dell’ Anpi di Cumiana
L’avvio
Acqua inquinata e tifo
Il sindaco Andreis iniziò ad affrontare il problema dell’acqua dei pozzi privati le cui falde erano spesso inquinate. Si fa strada l’idea di costruire un acquedotto in eternit da Sangano per l’acqua potabile per far diminuire i casi di febbri tifoidi. Una parte della popolazione era però contraria, perché, realizzato l’acquedotto, occorreva poi pagare l’acqua. Le acque quasi nere scorrevano al centro di via Roma e via Palestro, che sono leggermente in discesa; non vi erano fognature, i pozzi neri lasciavano percolare il liquame nelle falde nelle quali spesso attingevano i pozzi presenti nei vari nuclei dell’abitato. Si faceva la coda per avere un secchio d’acqua dai vicini. Si formò una commissione di tecnici.
Via Roma (già via Montebello) a Piossasco com'era
ancora agli inizi degli Anni '50 con le acque di scolo, bianche e a
volte nere, al centro della strada, che inquinavano le falde provocando
numerosi casi mortali di tifo. (Foto 3 Confini) |
L’acquedotto non lo realizzò Andreis, ma il
suo successore Michele Elia con un mutuo trentennale (24 milioni del Comune
e 24 dello Stato). Andreis, il 29 dicembre, annuncia le sue dimissioni per
«motivi di lavoro e famiglia», ma rimane ancora in carica
per due mesi. Il Consiglio delibera infatti di «accettare in linea
di massima i motivi, ma invita il signor Andreis a soprassedere per almeno
due mesi, ripromettendosi di sostituirlo qualora non ritiri le dimissioni
alla prima riunione del Consiglio nel marzo del 1947».
E così avvenne il 2 marzo 1947. Michele Elia (Dc) è eletto sindaco
e Andreis diventa assessore al posto di Elia. Una staffetta. Motivi delle
dimissioni? Dalle delibere del Consiglio del 2 marzo 1947 non emergono indicazioni
utili.Un’ipotesi: il sindaco non reggeva la contestazione di chi non
voleva l’acquedotto, avrebbe quindi lasciato spazio ad Elia, più
pratico della vita amministrativa. Rare le testimonianze su Andreis. Michele
Elia, suo successore, ricorda: «Questo mio collega rappresentava
il classico tipo di sindaco preoccupato solo di non spendere, di non far debiti,
di avere il bilancio in attivo».
Difficile delineare la figura di “Batistot”, perché non
esistono più testimoni a distanza di 70 anni. Il prof. Valentino Carpinello,
consigliere d’opposizione (Pci) ad Andreis e poi a Elia, così
si espresse nel 1984 nel corso di un’intervista al mensile “Piossasco
Cronache”.
«Il periodo in cui fu sindaco Andreis noi della minoranza eravamo
trattati con arroganza.
Ci facevano pesare la loro schiacciante vittoria elettorale. Batistot esprimeva
alcuni ceti reazionari, ambienti contadini chiusi, quelli che credevano che
i comunisti avrebbero portato via le mucche dalla stalla, ma anche coloro
che erano contro la costruzione dell’acquedotto comunale perché
dopo occorreva pagare l’acqua, anche se vi erano i morti per tifo».
Su Elia: «Aveva un grande senso politico, i suoi alleati più
fidati nel realizzare l’acquedotto comunale eravamo proprio noi della
minoranza di sinistra. L’operato politico di Elia fu la traduzione nell’ambito
piossaschese della linea degasperiana. Proveniva dall’esperienza intervista
di Michele Elia a “Piossasco Cronache”, gennaio 1984 del CLN locale:
quindi sapeva muoversi tenendo conto e rispettando le altre forze politiche.
La sua preparazione politica era avvenuta all’interno dell’Azione
Cattolica, antifascista e moderatamente progressista. Elia costituiva l’elemento
più giovane, più preparato e avanzato della Dc. Tenendo conto
che nella Dc di allora gravavano forti ipoteche dei ceti contadini proprietari
e della gerarchia ecclesiastica, Elia ha saputo vincere queste resistenze
che trovava nella stessa Dc, anche se – a mio parere- i rapporti con
la chiesa locale sono sempre stati stretti e forse condizionanti. Elia divenne
comunque il miglior interprete dell’anima popolare della Dc del tempo,
realizzando gran parte del programma che si era proposto il CLN».
Alessandro Cruto, Piossasco 1847 – Torino 1908
Centenario della nascita di Cruto
Nel marzo del 1947, su proposta del consigliere di minoranza Valentino Carpinello si predispone un programma di manifestazioni in onore di Alessandro Cruto «fisico insigne e autodidatta piossaschese», inventore di un particolare tipo di lampadina ad incandescenza prima dell’americano Edison. Oratore ufficiale: Carpinello stesso. Si invita a Piossasco una rappresentanza della Fabbrica di lampadine Philips, fondata da Cruto ad Alpignano.
Elia :«Ecco il mio programma»; Carpinello : «Collaboreremo»
Michele Elia, Sindaco dal 1947 al 1956 (Dc)
Il sindaco Elia si insedia il 12 marzo. Dal suo discorso riportato in delibera dal segretario comunale Arbia: «Il nuovo sindaco, rivolgendosi a maggioranza e minoranza, esprime la sua fiducia e certezza che tutti vorranno collaborare nell’interesse della popolazione e dell’Amministrazione stessa per il progresso e il bene del paese». Il professor Carpinello13(minoranza Pci): «Nell’assicurare la richiesta di collaborazione da parte della minoranza, chiedo al sindaco Elia affinché venga personalmente esternata la sua devozione verso lo Stato Repubblicano»: Risponde Elia:«Avendo già prestato giuramento alla Repubblica nelle mani di S.E. il Prefetto di Torino, con tale atto, ho promesso fedeltà alla Repubblica Italiana e al suo capo».
Il programma di Elia: valorizzazione delle proprietà
del Comune, illuminazione delle frazioni Campetto, Brentatori, Gay, sistemazione
dei dipendenti comunali, distribuzione dell’acqua potabile, regolamento
per le fognature, vendita dei terreni infruttuosi per il Comune adiacenti
al torrente Sangonetto. Più tardi, il 1° agosto 1948, si approva
l’acquedotto in Consiglio con appello nominale per evitare i franchi
tiratori. Risultato: 14 sì (sinistra compresa) e 5 no (della maggioranza).
Il sindaco aveva detto prima della votazione: «Il mio mandato, qualora
non si realizzassero fognature e acquedotto, dovrebbe quindi ritenersi esaurito
nel tempo. Nel caso la mia proposta venisse respinta, non mi resterebbero
che le dimissioni».
Commenta Gianolio, parroco di San Francesco: «Si tratta di un’opera
utilissima alla popolazione. Diamo plauso alla nostra Amministrazione nel
desiderio che tutto sia fatto con solidità e perfezione in modo che
anche i posteri abbiano ad ammirare l’opera nostra e a goderne in salute
e prosperità».
Boch muore nel gennaio del ‘51
Non più sindaco, Boch è consigliere di minoranza.
Le delibere di Consiglio riportano i suoi scarni interventi sotto forma di
interpellanze su piccoli problemi molto concreti. Maggio 1947: «Espone
che alcuni panettieri usano delle preferenze nella distribuzione del quantitativo
di pane extra-tessera con grave danno di molti lavoratori che non possono
vivere con l’esiguo quantitativo della razione concessa con la tessera,
nonché quelli che non possono procurarsi farina o grano».
In delibera non è riportata la risposta dell’Amministrazione.
Gli interventi dei consiglieri di maggioranza e minoranza, quando sono trascritti
nei verbali, sono filtrati dalla penna del segretario comunale Arbia. Boch
è assente il 7 novembre 1950 (la seduta andò però deserta
perché erano presenti solo 9 consiglieri). Ultima presenza il 16 settembre
1950. Morirà il 23 gennaio 1951. Funerale con rito civile, il primo
avvenuto a Piossasco. Aveva 59 anni.
L’8 aprile il sindaco Elia lo commemora in Consiglio «elogiando
la sua figura. Fu attivo collaboratore dell’Amministrazione, persona
capace e uomo probo. Elevo un riconoscente pensiero alla di lui famiglia alla
quale rinnovo le più vive condoglianze». Tutto il Consiglio
si associa. Interviene Pietro Peirone (Psi, minoranza) che ringrazia per le
parole del sindaco pur «manifestando il suo rincrescimento per il
fatto che per le spese dei funerali non sia intervenuta l’Amministrazione,
come praticato in altra analoga occasione».
Annota il segretario comunale Arbia che sintetizza le parole del sindaco:
«L’offerta della vettura gratuita per il trasporto della salma
al cimitero venne rifiutata dalla famiglia dello scomparso». Boch
non fu sostituito in Consiglio perché a giugno avvennero le elezioni
amministrative, anche se il Consiglio deve essere sempre “perfetto”
con tutti i consiglieri eletti e surrogati per dimissioni o morte.
Secondo Luigi Garello e Giuseppe Piatti, in un’intervista agli inizi
degli Anni ’80 a “Piossasco Cronache”, il parroco di San
Francesco don Gianolio si sarebbe rifiutato di celebrare i funerali religiosi
a Boch perché prima di morire non si era confessato.
Dell’ex sindaco si ricordano alcuni fatti: «Boch conobbe a
Torino Antonio Gramsci e Umberto Terracini, poi presidente della Costituente.
Nei primi Anni ’20, Terracini, su invito di Boch, venne a Piossasco
per l’inaugurazione del monumento ai Caduti della prima guerra mondiale
e delle guerre risorgimentali».
Michele Elia così ne parlò a distanza di anni: «Con
Boch eravamo amici, era una persona di grande umanità, cercava sempre
rapporti a livello umano».
Sulla figura di Boch «uomo» pubblichiamo in una nota una lettera
del maestro elementare Ernesto Gorrea, inviata dalla nipote Rosa Lina Oberto
al mensile “Piossasco Cronache” e apparsa nel numero di settembre
1983. Nella lettera si rievoca una passeggiata di Gorrea.
Le interviste e le dichiarazioni di Luigi Garello, Giuseppe Piatti, Ernesto Tonda sono tratte dal mensile “Piossasco Cronache”, febbraio e marzo 1983.
Intervista a Piossasco Cronache del 1983
Lettera del maestro elementare Ernesto Gorrea a Rosa Lina Oberto, nipote di Giovanni Boch. La lettera ricorda a tratti i contenuti etico-morali emersi nell’incontro tra il giovane poeta Ugo Foscolo e l’anziano poeta Giuseppe Parini, nel boschetto di tigli a Milano.
«Giovanni Boch, per noi “Gioanin Boch”. Sapevo che era un uomo non soltanto «così». Lo conoscevo da tempo tra gli arnesi del suo mestiere, anche se umile (calzolaio, n.d.r). Non avrei mai pensato vivesse in lui una coscienza così illuminata.
Un giorno, di sabato, mi chiese (allora ero molto giovane) se la domenica volessimo fare una passeggiata da Piossasco a Bruino, per andarci a bere un bicchiere di «tokai» in una piola del paese che egli conosceva.
Andammo: la strada orrendamente asfaltata (strade del dopoguerra!) ci portò là, a Bruino. Lungo il percorso, tra prati in cui stridevano eserciti di grilli, nel tramonto estivo, per la precisione. Si parlava. Si parlava: egli non parlava di sé e capii che era schivo, da buon piemontese. Poi compresi che non era solo il fatto di passare «la domenica della povera gente»che lo aveva indotto all’invito. Non c’era altro in quel tempo di povertà (eravamo appena fuori da una guerra che ci aveva risparmiati, ma votati alla miseria chissà per quanto!).
Il discorso era lento, io non chiedevo per pudore, Gioanin recitava per il medesimo senso. Bevemmo il tokai, ci si infervorò ed egli aprì un varco al tempo malaugurato della sua vita di esule politico. Oggi mi viene di ricordare lui con Pertini, anche se uno è celebre e l’altro era noto solo a noi. Non era uguale l’ideale? Direi di sì.
Conobbi poi altri: cito soltanto Augusto Monti, ormai vecchio piemontesone, carico di nostalgie non realizzate, come Boch. Gioanin, a me giovane, raccomandava di pazientare, dicendomi che le riforme sono lente a realizzarsi, che è bene tenerle vive in noi, ma senza troppe facili illusioni. Quanto è vero, oggi, quanto diceva! Egli che stentava a vivere, beneficando i più indigenti di lui, non presumeva. In tanti anni di vita coatta in Francia, aveva seguito un ideale scomodo e duramente pagato sulla sua pelle; aveva scelto il rischio e lo aveva compagno.
Eppure non era mai senza sorriso con tutti noi. La sua massima preoccupazione era di non pesare sugli altri.
Egli non poté mai aver famiglia sua (diritto sacrosanto di ogni uomo!). Viveva con la sorella e il cognato che lo circondavano d’aiuto affettuoso, ma il vuoto in sé gli pesava quotidianamente. Arrivarono poi gli anni strazianti dell’angina pectoris che lo soffocava in lunghe ore di dolore. Non ho mai visto quel volto contrarsi oltre la smorfia del dolore fisico. L’ottimismo spirituale si alzava, appena finita la crisi d’asfissia.
Di Dio non negò mai l’esistenza, ma non lo cercò perché non ne sentiva il bisogno, come ogni laico. La natura e le stravolte vicende umane erano state, pertanto, il suo pane e ciò con la Storia era tutto.
Si spense serenamente un triste giorno, uno dei tanti che ruotano intorno a noi, anzi in un crepuscolare gelido giorno di gennaio. Fu sepolto a «lumi spenti » con una enorme folla di gente «così», che lo aveva tanto amato. Il ricordo di Gioanin Boch? A tanti anni di distanza è ancora e sempre una presenza che scalda il cuore».
con “Gioanin” Boch da Piossasco a Bruino «per
andare a bere un bicchiere di tokai in una piola del paese che egli conosceva».
La nipote Rosa Lina Oberto, 90 anni, ora residente a Pavia con la figlia,
ricorda con affetto la figura del suo padrino nel corso di un colloquio avvenuto
il 25 gennaio 2017. La Oberto dal 1952 non abita più a Piossasco. «Giovanni
Boch era una persona splendida, si dedicava solo ai poveri e li aiutava in
ogni modo. Abitava con noi in via Solferino. È vero che gli hanno rifiutato
i funerali religiosi, ma alla cerimonia vi era moltissima gente. S’è
tenuta un’orazione funebre, ma non ricordo più da chi. Il suo
mestiere era quello del calzolaio, faceva le scarpe su misura e le riparava.
Era molto bravo. Mio padre Alfredo, che produceva liquori nella fabbrica di
piazza XX Settembre dedicò a lui e alla sorella un amaro con una bella
etichetta: Amaro Boch. Ne abbiamo ancora una bottiglia per ricordo.
Il cognome Boch forse è originario della Savoia. Non abbiamo mai svolto
ricerche. A Piossasco penso non vi sia più nessuno con quel nome».
Di Boch si occupò nel febbraio 1962 l’allora sindaco Luigi Boursier
(già ex podestà) con parole di elogio in Consiglio comunale
comunicate con una lettera alla sorella Elsa Boch. Boursier rievocò
«l’opera svolta a favore del paese dal Vs. caro e compianto
congiunto Giovanni Boch la cui opera non si perde nel ricordo di chi l’apprezza
e ne trae i conseguenti benefici». Il Consiglio, «all’unanimità
con voti accomunati al più profondo senso di riconoscenza, ha deciso
di tenere affissa nella sala municipale delle adunanze, la fotografia dei
due sindaci di Piossasco (del dopoguerra ndr) già deceduti che, dalla
liberazione in poi si sono prodigati affinchè il lavoro comunale e
lo sviluppo cittadino risultassero sempre più efficienti».
Il sindaco concludeva richiedendo alla sorella di Boch una fotografia per
esporla, con quella di Giuseppe Andruetto scomparso nel 1962, nella sala pubblica.
Corteo di partigiani armati ed autorità locali si reca al cimitero con una corona d’alloro imboccando l’allora Via Volvera, oggi Via Alfieri. Incerta la datazione: potrebbe essere stata scattata domenica 6 maggio 1945 quando si festeggiò il ritorno dei partigiani piossaschesi e si celebrò in San Francesco un Te Deum di ringraziamento. Altra data possibile è quella del 9 maggio quando, sempre in San Francesco, si celebrò un solenne funerale per i partigiani caduti. |
Presentazione del 6 ottobre 2017
La presentazione della ricerca è avvenuta il 6 ottobre 2017 presso la biblioteca civica “Revelli” di Piossasco. Il pubblico (sopra) e il tavolo della presidenza. Nell’ordine da sinistra a destra: Gianfranco Martinatto, ricercatore di storia locale; Nino Boeti, Vice presidente del Consiglio regionale del Piemonte; lo storico Gianni Oliva e l’autore Ezio Marchisio. |
La presidenza della presentazione. Da sinistra a destra: Gianfranco Martinatto,
ricercatore di storia,
il presidente del Consiglio Regionale Nino Boeti, Gianni Oliva storico, l'autore
Ezio Marchisio.
Pubblico
Aggiornato al 08 giugno 2020
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