Piossasco
Mario Davide
Ugo e Remo Baudino
Secondo di sette figli. Mario Davide nasce a Piossasco il 17 giugno 1922 da Mattia e Luigia Garello: la sua è una famiglia contadina come tante altre, dove la povertà e le esigenze dei lavori della campagna rendono necessario anche il lavoro dei bambini.
"Lo mandavo a pascolare le bestie, sotto i castelli.
Sono andati tutti a lavorare da vachè sotto padrone."
Intervista a Luigia Garello
«Bisognava prima di tutto non più stare
così al randagio... Allora non si dormiva in casa, ma si poteva dormire
all'aperto, però bisognava attrezzarsi e poi cercare la maniera di
armarsi prima di tutto e organizzarsi nel combattere... Avremmo dovuto formare
dei piccoli gruppi, costituire un responsabile che avesse potuto guidarci,
darci le prime nozioni, insegnarci a sparare,... perché qualcuno di
noi era ancora digiuno di queste cose, non aveva mai sparato; però
purtroppo se volevamo difenderci bisognava sparare. » (B.P.)
Così costruire rifugi e nascondigli (in particolare sul monte S. Giorgio
e alle Prese) e procurarsi le armi sono le prime attività di questi
gruppi.
Nella polveriera di Sangano, nei depositi e magazzini militari di Orbassano,
Avigliana, Gerbole di Rivalta, pressoché abbandonati dai soldati, trovano
senza difficoltà di che rifornirsi per un primo armamento.
Nei primi tempi, chi può, fa ancora riferimento alla propria casa,
per procurarsi viveri e talvolta per dormire: la sorveglianza dei fascisti
e dei tedeschi è ancora blanda.
A Mario Davide viene affidata la guida di una squadra di una decina di uomini.
In quelle settimane di settembre il numero di coloro che si rifugiano sulle
montagne di Piossasco cresce, raccogliendo antifascisti, renitenti, militari
di passaggio:
«Ma non era ancora lotta partigiana vera e propria, era una lotta
a evadere alla chiamata della Repubblica di Salò, perché non
c'erano comandi, né armi, non c'era niente, ci si dava alla macchia
per non essere reclutati nella Repubblica di Salò, più che altro,
perché insomma in un primo tempo non si mirava ancora alla lotta partigiana.»
(G.P.)
Molti infatti torneranno a casa, trovando altri sistemi per nascondersi ed
evitare il reclutamento. Coloro che rimangono continuano a preparare armi
e rifugi e stabiliscono i primi contatti con le brigate partigiane già
organizzate nella Val Sangone.
«Eravamo già inquadrati nella 'De Vitis', prima di salire
in montagna (alla Verna di Cumiana, nel marzo del '44, N.d.R.) perché
eravamo in contatto con un certo Sig. Bianco e con Sergio De Vitis, vero e
proprio,... che era già venuto a Piossasco con Giulio Nicoletta»
(A.C.) ".
Ormai i contatti con la brigata autonoma di Sergio De Vitis
sono costanti, ma il gruppo viene invitato a rimanere ancora a Piossasco,
tra rifugi in montagna e puntate a casa:
«Il gruppo di Piossasco era già tutto scritto e collegato,
solo che, prima di tutto c'era un inverno davanti e diciamo con una formazione
partigiana che aveva fame e l'inverno era freddo, e allora ci hanno sempre
continuato a dire: 'State a casa finché potete, cercate il modo di
sistemarvi dove potete, rimanendo organizzati e poi appena ci sarà
il bel tempo...'.» (A.C.)
…13 settembre (lunedì).
Per tutta la notte, non si fece altro che parlare della situazione
attuale, e sul da farsi di tutte le operazioni. Si era in sei o sette uomini,
non ricordo con precisione, ma tutti erano della stessa idea e perciò
si prese una decisione. Si era stati d'accordo per la mattina all'alba e così
si fece.
Erano le due dopo mezzanotte quando il consiglio si sciolse, perciò
mi rifiutai di andare a dormire, perché mancavano poche ore alla sveglia.
Rimase con me mia madre fino alle tre e poi la mandai a dormire dicendole
che sarei andato anch'io presto.
Rimasto solo scrissi una lettera alla fidanzata: quindi ripresi la meditazione
sul da farsi, ogni cosa era in ordine, non rimaneva altro da fare che andare.
Alle cinque feci la sveglia a tutti, e poco dopo silenziosamente si partì.
Era necessario procurarsi delle munizioni e perciò si prese senz'altro
la decisione di penetrare nel deposito di munizioni e di esplosivi di Sangano.
Fu un attimo solo il penetrarvi. Era tutto disabitato, non vi era anima viva
lì dentro; ma con la rivoltella in pugno si girò ovunque, si
andò al corpo di guardia, si sfondò una finestra indi penetrai
dentro, ed aprii la porta, i miei compagni entrarono anch'essi e si impadronirono
di tutti i fucili che vi erano. Portatili al sicuro, due dei miei uomini andarono
senz'altro dal maresciallo a chiedere delle munizioni. Venne lui stesso con
le chiavi del cancello, ce lo aprì e dopo averci fatte tante raccomandazioni
ci disse di cercarcele.
Tutto questo si fece, ma munizioni per i fucili non se ne trova, si trovò
invece delle bombe a mano e ne portammo fuori otto casse e con esse alcune
di esplosivo. Verso le undici ero molto stanco, e perciò si decise
di tornare a casa, portammo con noi una settantina di bombe a mano e poi per
tutto il pomeriggio ci riposammo. Alla sera, era mio desiderio di andarmi
a riposare ma vi era nuovamente da tenere rapporti e fino alle due dopo mezzanotte
non potei andarmi a riposare.
Il giorno 14 settembre seguente ossia, il 14 settembre al mattino presto,
ci incamminammo per andare su verso la montagna portando con noi le munizioni.
Avevamo appuntamento di ritrovarsi tutti uniti sul colle di S. Valeriano,
ma chissà per quali motivi non ci ritrovammo. Io ed il mio inseparabile
amico Ernesto, dopo aver messo al sicuro le munizioni, ci avviammo verso le
Prese dai miei parenti, e nel pomeriggio scendemmo e ci ritrovammo poi tutti
a casa. Passò così anche il 15 settembre, senza alcun avvenimento
venne il 16 sera: ecco una sorpresa molto piacevole per me.
È arrivata la persona che da tanto tempo non vedevo: la mia Vincenzina.
Com'ero felice! Finalmente potevo nuovamente riabbracciarla. Rimasi in sua
compagnia fino a tarda ora poi me ne andai a riposare. Al mattino del 17 m'alzai
un po' presto per accompagnarla alla stazione poi ritornai a casa per occuparmi
di alcuni affari personali. Ritornò ancora la sera stessa, parlammo
di cose riguardanti noi e poi salutai i genitori e tutti e andai a dormire.
La giornata del diciotto trascorse tutta calma, solo verso sera dovetti recarmi
da un amico che mi aveva fatto chiamare perché intendeva aggregarsi
alla mia squadra, dopo molte parole mi congedai e ritornai verso casa. Una
moltitudine di gente, andava verso i Castelli.
Ne fermai uno e gli chiesi dove andavano, mi disse che si teneva una conferenza
e fui invitato di andare anch'io. Avevo molto appetito perché non avevo
ancora cenato, ma a quella notizia volli tornare indietro ad ascoltare le
parole di quei due misteriosi personaggi. Aspettai molto tempo e girando in
quei paraggi vidi che due miei uomini si trovavano lassù. Affidai a
loro il compito e quindi ritornai indietro. Cammin facendo, trovai un mio
vecchio amico, un certo Bruno Pautasso che da quasi due anni non vedevo. Mi
disse fra l'altro di essersi organizzato una squadra e di essere il responsabile.
Parlammo a lungo e poi gli diedi appuntamento sul monte San
Giorgio per la mattina dopo. Tornai a casa senza sapere cosa intendessero
dire nel loro discorso quei misteriosi personaggi: ma più tardi lo
seppi. Era desiderio mio partire in serata per la montagna, ma poi rinunciai
e mandai ad avvisare il mio vecchio amico (Bruno Pautasso) di trovarsi per
il giorno 19 in Piazza San Vito alle ore 11 per parlare. Troppa confusione
per parlare di quelle cose troppo delicate in quel punto e perciò rinunciammo
per la mattina dopo in montagna.
Verso sera lo feci avvisare per mezzo di un mio porta ordini che mi era impossibile
trovarmi in quel luogo per motivi personali.
In quella giornata, nel pomeriggio, presi con me tre uomini e mi avviai perso
la polveriera a mettere più al sicuro le nostre munizioni. Si rischiava
molto perché ormai non eravamo più noi i padroni come sei giorni
prima, ma vi erano bensì i tedeschi. Eppure era necessario andare.
Si andò fino a circa cinquanta metri dai reticolati e si portò
quanto più era possibile materiale al sicuro.
Dopo di che ci prendemmo due casse di bombe a mano e ci avviammo verso la
montagna.
Si sudò a sufficienza, ma ormai si era sicuri che quelle due erano
in nostre mani, si tornò a casa che già incominciava ad annottare.
Mangiai e poi espressi il mio desiderio ai miei compagni, cioè di partire
la mattina seguente. Tutti erano d'accordo, eccettuati tre che, per ragioni
che ancora in questo momento ignoro, sono partiti molto prima e non si sono
fatti più vivi.
Venti settembre: quel mattino il maltempo imperversava ma non trovandoci più
al sicuro in casa decidemmo di partire ugualmente benché la pioggia
lenta e fitta cadesse dal cielo e ci inzuppasse tutti i vestiti. Ci avviammo
lentamente su per la montagna, ma arrivati ad un certo punto ci dovemmo fermare,
legammo un telo tenda a quattro pini e ci mettemmo al riparo. Eravamo in quattro
ma si stava ancora comodamente, appena ebbe cessato un po' di piovere noi
tre ci avviammo piano piano su verso la montagna, mentre Ernesto rimase lì
ad aspettare che portassero i viveri, ma strada facendo incontrammo altri
tre fifoni che seppi poi dopo che erano fifoni sul serio.
Arrivati che si fu sul luogo dove avevamo le due casse di munizioni portate
da noi il giorno prima, le feci prendere e ci avviammo alla volta di San Giorgio;
trovato che fu un posto da rimetterle, essi si fermarono mentre io andai in
cerca di un rifugio ove poter passare la notte. I miei tre nuovi arrivati
con la sua fifa impaurirono ancora di più i miei due, così che
per poco non mi mettevano nei pasticci alla sera.
Appena tornato da loro, i merli vennero a stancar me sull'argomento della
prudenza. Mi dissero pure che loro avevano fatto tre guerre e sapevano cosa
volesse dire combattere. Io invece sono un giovanotto comune, sono stato un
pochino a far guerriglia in Montenegro e perciò, senza vantarmi, so
qualcosa anch'io. Innanzitutto ci vuole coraggio e sangue freddo e non fifa
come hanno loro, e in secondo luogo per combattere occorrono armi e munizioni.
Fattostà ed è che li liquidai in quattro e quattr’otto
così se ne andarono per conto proprio.
Durante il pomeriggio alcuni apparecchi tedeschi girarono in quei luoghi,
uno dei quali si tenne a bassa quota per cercare di individuarci, in quel
mentre qualcuno alla nostra insaputa segnalava all'apparecchio la nostra presenza.
Fortunatamente quel tale non lo abbiamo visto altrimenti avrebbe finito di
mangiare e di vedere.
Verso le due del pomeriggio arrivò Ernesto Pedrale
portandoci i viveri; si mangiò e dopo aver fatto un buon sonnellino
ci avviammo verso la cappella di San Giorgio, vedendo che il posto per dormire
era ottimo sotto il portico della chiesa, si decise di passare la notte lì,
però scendendo in due al paese per prendere viveri e notizie.
Ad un certo punto eccoci arrivare di sorpresa un soldato tedesco, il mio primo
movimento da fare fu di cercare con le mani l'impugnatura della rivoltella,
la trovai; allora rimasi tranquillo, misi al corrente tutti gli altri e così
si prese una decisione. Frattanto sentivo i miei due compari tutti e due della
bassa Italia a dire uno all'altro: «Mettia n'tu buco... mettia n'tu
buco».
Non sapevo cosa volessero mettere «n'tu buco» ma lo seppi poco
dopo. Io nascosi il fodero della rivoltella sotto una pietra e poi mi alzai
per andare verso quelle persone. Prima ancora che accadesse tutto ciò,
e sarebbe «mettia n'tu buco», vidi quel primo tedesco fare dei
cenni ad altri di salire, subito mi credetti perduto e raccomandai mentalmente
l'anima a Dio; e inviai un saluto alla mia Vincenzina e mi alzai cercando
di essere calmo il più possibile, cercammo di parlare con quella gente,
perché erano solo tre, ma ne capivano poche parole.
Intanto volli assicurarmi che tutti avessero munizioni ma arrivando ai due
compari mi dissero di averle messe «n'tu buco». Andai su tutte
le furie, il bello è che volevano scappare ed appena ci congedammo,
i due merli presero a darla a gambe giù per il pendio che parevano
due camosci. Appena potei raggiungerli gli diedi una solenne lavatina di capo
facendogli capire che con la paura non si può ottenere nulla all'infuori
che terribili sorprese.
Strada facendo uno dava la colpa all'altro di modo che io e Ernesto ridemmo
un bel po', ci fermammo in un luogo per attendere che diventasse più
buio, e uno di essi disse di voler salire sopra un pino e passare la notte,
a quelle parole noi due non potemmo trattenerci dal ridere e loro due se ne
offesero.
Dopo un po' riprendemmo il cammino ed arrivati a San Valeriano trovammo una
moltitudine di gente tutta radunata che studiava la situazione. Si diceva
che i tedeschi si trovavano a circa cinquecento metri da noi, ne dissero di
quelle tante, che ci misero il coraggio di scappare.
Salimmo verso la pineta e si andò molto in su e poi ci fermammo, i
miei due coraggiosi, sempre mi erano dietro come due cagnolini, così
dopo un po' pensai di scendere giù verso casa. Lasciai lo zaino in
consegna loro e scesi. Vedendo che non vi era tanto movimento pensai di andarmene
a casa, così feci.
Verso le ventidue arrivò Ernesto, portandomi lo zaino, però
avvisandomi che qualcuno lo aveva alleggerito, guardai e con mio grande stupore
notai che mancava un telo tenda di Ernesto, una coperta, una mantellina, la
bussola di orientamento, due pagnotte di pane. Che siano stati i due coraggiosi
a prendere la roba non lo credo affatto perché so che non sono capaci,
ma sarà bensì qualcuno che gliel'ha fregata. Povera Italia!
avesse avuto tutti i soldati come loro, non so a che punto sarebbe già
ridotta a quest'ora.
Quella sera ero già deciso di ritornare indietro a
cercare un nuovo rifugio, ma arrivando ancora Ernesto a casa mia decidemmo
di partire il giorno dopo all'alba.
Ventuno settembre: all'alba partiamo molto presto, e la nostra meta era quella
di raggiungere le Prese, e di lì cercarsi un nuovo rifugio. Lo abbiamo
trovato, e subito ci siamo stabiliti. È un bel posto, non c'è
da lamentarsi e subito lo abbiamo battezzato col nome di «Villa
dell'allegria». Tutt'ora mentre scrivo mi trovo qui dentro,
sono solo, i miei compagni sono fuori in perlustrazione.
Dunque come dicevo, abbiamo trovato questa bella «villetta» dopo
un po' di lavoro, siamo riusciti a costruirvi la facciata che ha l'aspetto
più che altro di un fortino, ma si sta bene. Abbiamo raccolto delle
foglie secche ed abbiamo stabilito la nostra dimora.
Verso sera ci coricammo e poco dopo ecco dei disturbatori, pareva che qualcuno
camminasse nel vicinato e perciò mi armai di rivoltella ed uscii a
perlustrare i dintorni. Non vedendo nulla, perché era buio mi decisi
di andare a dormire appena coricato si sentì il solito rumore e quasi
ero deciso di uscire ancora quando l'animale tossì. Era una volpe,
che forse voleva entrare in casa sua, ma visto che già c'eravamo noi
se ne andò. A forza di girare da una parte all'altra riuscii ad addormentarmi,
durante la notte più volte mi svegliai, il materasso era duro e poi
faceva freddo.
Ventidue settembre: ci svegliammo un po' tardi, erano circa le undici, si
mangiò e si incominciò a scrivere ognuno di noi alle famiglie.
Nel pomeriggio si andò in cerca di legna e si accese il fuoco dentro
l'abitazione, si fece fuoco fino a tarda sera, così le pareti della
villa si asciugassero un po'.
Appena fummo accertati che le fiamme non dessero danno alla legna accatastata
nella casa ci coricammo e non ci svegliammo che nel tardo mattino del ventitré.
Ventitré settembre, verso le dieci, arrivò il mio amico Bruno,
molte cose avevamo da dirci perché da quattro giorni non ci vedevamo
e poi non ci era stato possibile incontrarci sul punto prestabilito perché
gravi motivi l'avevano impedito. Ora si era al sicuro, si poteva dire quello
che si pensava, così ognuno di noi espresse il suo desiderio.
Intanto la «villetta» aveva preso l'aspetto di
un fortino e se qualcuno avesse guardato dentro avrebbe detto che quello lo
era sul serio. Parlando di tante cose si venne a conoscenza che far saltare
un ponte sarebbe equivalso a togliere tantissime comunicazioni importanti
alle forze armate tedesche. Quel ponte è di media importanza in certo
qual caso, ma vedendoci bene a fondo si può credere ad un importante
atto di sabotaggio.
Oltre che l'acquedotto, lì vi passa la ferrovia. Questo ponte doveva
saltare e salterà. Verso sera rimasero a prendere il mio posto e quello
di Ernesto altri due, Bruno e il suo compagno. Noi scendemmo in paese per
prendere notizie e viveri, si dovette camminare molto guardinghi specialmente
nelle vicinanze del paese. Si passò la notte, quindi al mattino presto
si risalì la montagna.
Venerdì ventiquattro settembre si risalì piano
piano su per quella maledetta mulattiera e finalmente si giunse su dove ancora
avevamo le munizioni nascoste, ci prendemmo le due casse e su attraverso i
boschi fino alle Prese. Arrivando sul
luogo dove avevamo nascosto le munizioni, con grande rammarico
si constatò che mancavano una trentina di bombe a mano, venti caricatori
per fucile e un fucile.
Questo fatto ci ha demoralizzati un po', anzi un po' troppo, sarebbe un bel
guaio per qualcuno se si sapesse chi fosse.
Arrivati che si fu a destinazione mi decisi di cercare dei funghi, così
la giornata trascorse senza altri incidenti.
Alla sera tre dei miei compagni vollero scendere in paese, così rimasi
solo. Un po' prima di loro partì una squadra di uomini da me fornita
di munizioni ed esplosivi con il compito di far saltare il ponte ferroviario
non molto lontano da qui.
Riusciranno nella loro missione? Finora nessuna notizia ma spero di presto
sapere qualcosa.
Venticinque settembre, essendo solo, quella notte potei dormire meglio, arrivarono
su gli altri che era tardi, si decise di tornare tutti alla base nella sera,
così si fece, ma prima di partire dovemmo cambiar posto alle munizioni.
Pioveva a dirotto, ma non demmo retta a quelle sciocchezze e subito ci siamo
messi al lavoro.
Verso sera si diede un arrivederci alla «Villa dell'Allegria».
Poi ognuno di noi tornò alla propria casa.
Si parte per la montagna nelle bande partigiane.
Ed infatti verso la primavera, nel marzo del '44, il gruppo
di Piossasco si trasferisce alla Verna di Cumiana sia per ragioni di sicurezza
(tedeschi e fascisti ormai battono la zona) sia per entrare in modo ormai
definitivo e regolare nelle formazioni partigiane operanti in Val Sangone.
Qualcuno di fronte a questa scelta ha avuto dei ripensamenti ed è tornato
a casa: del gruppo iniziale di Piossasco rimangono non più di una ventina
di uomini, mentre si vanno delineando nelle prime vere discussioni politiche,
i perché di quella scelta e i diversi obiettivi finali di quella lotta:
Il gruppo di partigiani di Piossasco pur concentrato in Val
Sangone si inserisce in diverse squadre partigiane attestate sulle montagne
di Giaveno: l'Aquila, il Col del Vento, il Col della Russa, Forno di Coazze...
Temendo eventuali attacchi da parte delle truppe nazifasciste in Val Sangone,
le forze partigiane predispongono le difese.
Mercoledì 10 maggio 1944, alle ore 3,40, è l'allarme! È
scattata una grande operazione di rastrellamento che investe contemporaneamente
le Valli di Susa, Sangone e Chisone e vede impegnati, pare, diecimila uomini
fra tedeschi e fascisti.
«La tecnica di attacco è fra le più perfezionate: bloccare
il fondo valle e contemporaneamente scendere dai passi e dalle creste delle
valli laterali per cercare di spingere i partigiani verso il basso e di insaccarli
nel paese centrale della vallata, avvalendosi, oltre che della superiorità
di uomini e mezzi, di un largo uso di cani poliziotto, di spie, di blocchi
sistematici dei canaloni».
La sola Val Sangone è occupata da due reggimenti di Alpini, una Compagnia
di «SS» italiani, una di Metropolitani ed un pattuglione di Carabinieri.
L'operazione, che dura dal 10 al 14 maggio, coglie di sorpresa i partigiani:
«Non c'è stata segnalazione, non è partita nemmeno
la staffetta da Giaveno a venirci ad avvertire. Sono arrivati di sorpresa,
siamo stati presi quasi nel sonno.» (B.P.)
I rastrellatori, «certo sicuri dei posti e delle forze nostre, guidati
da molte spie», impegnano in combattimento le forze partigiane che lasciano
sul campo centoventicinque caduti. L'azione, condotta con estrema ferocia
e con atti di crudeltà inaudita, è la risposta ai primi atti
di sabotaggio ed ai primi attacchi partigiani, ripresi con l'inizio della
primavera, cui era seguita, il 4 aprile, la strage di cinquantasette civili
a Cumiana, mentre si stava trattando la restituzione dei prigionieri e dopo
che il parroco del paese aveva ottenuto dai partigiani ciò che i tedeschi
chiedevano.
I nazifascisti fucilano sul posto i partigiani sorpresi con le armi in pugno,
catturano e torturano i feriti, incendiano case.
Quel 10 maggio 1944 Mario Davide è a guardia del ponte di Sangonetto,
da lui minato nelle giornate precedenti.
Nel corso della mattinata, mentre il nemico incalza, fa saltare il ponte,
bloccando per un certo tempo l'avanzata e permettendo ai compagni di ritirarsi
e di cercare scampo nella fuga.
Data la confusione e la tragicità del momento, le versioni dei testimoni
sulle circostanze della sua morte sono contrastanti. La sorpresa ha disorientato
i suoi compagni:
«È stato lì che qualche ragazzo, dopo i primi colpi
si è ritirato, poi magari ha di nuovo attaccato, ma è mancato
quel polso... Diciamolo pure, lui è rimasto solo, si è difeso
molto bene, si è difeso come ha potuto, è stato colpito, è
stato ucciso lì. Secondo quello che ho potuto sapere io, è stato
ucciso lì. L'abbiamo trovato altrove, perché è stato
spostato dai borghesi... Se avessero trovato dei morti, dei partigiani, avrebbero
bruciato le case. » (B.P.)
«Ha tenuto testa da solo ai carri armati finché non sono scesi
a guado nel torrente, poi è riuscito ad andarsene, che non aveva più
munizioni... è risalito fino alla frazione Ruata, lì i tedeschi
l'hanno incontrato... l'hanno ucciso lì. Per informazioni inesatte
da parte dei valligiani è andato a finire in bocca ai tedeschi.»
(A.C.)
Le testimonianze concordano sul fatto che Mario è rimasto praticamente
solo a far fronte agli assalitori. Dei valligiani trovano il cadavere e lo
nascondono seppellendolo sotto poca terra per evitare rappresaglie.
Alla testimonianza della madre, resa a quarantanni di distanza, diamo più
spazio per l'intensità, la drammaticità e la comprensibile passione
del racconto:
«L'ultima volta che l'ho visto, sono andata su a trovarlo e lui
mi ha detto: 'Ma, come mai mamma, sono andato soltanto domenica a casa...!'
Mi pareva proprio che il destino mi dicesse: "Vallo a vedere, vallo a
vedere... '.
Mi ricordo sempre che abbiamo mangiato sotto un pergolato che c'era lì...
Era con una famiglia, marito e moglie già anziani, che lo tenevano
come un figlio, gli volevano bene. 'Se non torno' — disse a quella famiglia
— fatelo sapere ai miei!
'Otto giorni dopo la disgrazia abbiamo ricevuto la notizia che era ferito
gravemente. Siamo partiti nel pomeriggio, io e mio marito, a piedi, e siamo
andati su cercandolo da una famiglia all'altra, dove potevo trovarlo ferito.
C'erano tedeschi dappertutto, non han chiesto niente. Abbiamo camminato fino
a sera, cercandolo; nessuno l'aveva visto, lo chiamavano il 'Biondo di Piossasco'.
Era ormai notte, non ci restava che tornare indietro. Abbiamo ancora chiesto;
c'era un bambino grande così: 'Il biondo di Piossasco, mia mamma sa
dov'è!'.
'Vostro figlio è morto, l'ha sepolto mio marito!'
'Ma hanno detto che...'
'No, no, vostro figlio è morto. Vi indicherei dov'è, ma non
osiamo uscire.
Ed io ho detto a mio marito 'Guarda siamo venuti a trovare nostro figlio morto.
Se ci uccidono non importa, andiamo finché lo troviamo.
'Fateci soltanto vedere dov'è e poi tornate a casa!' Quella donna ci
ha accompagnati un pezzo e poi ci ha detto: Vostro figlio è sepolto
lì!
'C'era ancora la terra fresca; perché era sepolto da pochi giorni.
Che fare. C'era il coprifuoco; non potevamo più venire via.
Abbiamo detto alla donna: 'Vogliamo essere sicuri che sia proprio lui!' 'State
sicuri, l'ho coperto io, ha poca terra sul viso'. Ma noi non eravamo tranquilli.
È venuto suo marito e l'abbiamo scoperto. Povero bambino, era proprio
vero, era proprio lui, sepolto come si trovava, calzato e vestito, con un
palmo di terra addosso.
Mio marito aveva una medaglia in tasca, gliel'ha messa in mano e poi gliel'ha
chiusa.
Gli ho fatto il segno della croce, prima che lo coprissero. Lo abbiamo dovuto
ricoprire come era prima.
'E adesso dove andiamo. E notte, c'è il coprifuoco, non possiamo più
andare né su né giù. ' Ci ha ospitati quell'uomo, nella
stalla, sulla paglia, ci ha dato un po' di pane, abbiamo dormito li. L'indomani
mattina ci siamo incamminati giù.
Eravamo sicuri che era proprio nostro figlio, l'avevamo visto, l'avevamo toccato,
era proprio lui! Ci siamo incamminati a piedi. Nessuno per la strada ci ha
parlato; tutti quei tedeschi che erano là ci hanno lasciato fare la
nostra strada, tranquilli, se ce l'avessero chiesto non avevamo un pezzo di
carta in tasca.
Quando siamo stati giù per la strada di Bruino è uscita gente
che ci ha chiesto:
'Dove siete andati.'
'Siamo andati a vedere nostro figlio morto'.
'Ma no! Vostro figlio è scappato in Francia come tanti altri.'
'Se non l'avessi visto io, di persona, crederei a quello che mi dite!'
Soltanto un anno dopo abbiamo ricevuto l'atto di morte spedito da Falzone.
Ci hanno detto che potevamo andarlo a vedere. Siamo andate io, una mia vicina
e mia cognata che, per sua bontà, mi ha dato il lenzuolo per coprirlo.
Siamo arrivate su la sera, ci hanno accompagnato a dormire e al mattino presto
siamo andate a disseppellirlo. L'abbiamo ancora visto.
Hanno portato su loro la bara. Nove ne hanno disseppelliti quel giorno!
Li hanno messi nella chiesa, le bare una sopra all'altra. Falzone ci ha sempre
detto che ce lo avrebbero dato morto e invece dopo un anno mi ha detto: "Vivo
era suo, morto è nostro".
Quando hanno costruito l'ossario
ci hanno di nuovo mandato a chiamare e ci hanno chiesto quali erano gli amici
di nostro figlio per metterli vicini. Vicino a mio figlio c'è un suo
amico.
I ventisette ragazzi sepolti sotto, sono morti sepolti vivi: hanno sparato
loro alle gambe, poi li hanno coperti.
Due altri li hanno fatti uccidere dai cani sulla strada per andare a Sangonetto.
Ci sono duecentosettantatre morti partigiani a Forno.» (L.G.).
Nei mesi successivi le bande partigiane, superata la crisi in cui erano cadute
dopo il rastrellamento, ripresero e intensificarono la lotta, fino al 25 aprile
1945, quando le due divisioni della Val Sangone, la De Vitis e la Campana,
parteciparono alla Liberazione di Torino.
Dal libro:
Diario di Mario Davide
dopo l'8 settembre
Una scelta partigiana
Gruppo di ricerca sulla storia e la cultura locale di Piossasco, 1982
Comune di Piossasco
Mario Davide all'epoca del servizio militare
Mario Davide al centro
Brevetto di Partigiano
Ventennale della Resistenza
1943 - ventennale - 1964
Forno di Coazze - Ossario dei Caduti per la Liberazione
Forno di Coazze - Ossario dei Caduti per la Libertà
Il giorno 10 maggio alle ore 11 cadeva da eroe a Forno di Coazze, borgata Ruata, DAVIDE MARIO di Mattia della classe 1922. Nelle prime ore del mattino del 10 si prodigava a far saltare il ponte di Sangonetto (Coazze.) per evitare che i mezzi corazzati sorprendessero tutta la formazione. Risaliva la montagna e da solo accettava combattimento contro i Tedeschi che scendevano dal colle della Roussa. Invitato ad arrendersi continuava a sparare, finché colpito a morte chiudeva la sua bella esistenza di Patriota.
Piossasco Parrocchia
di San Francesco
L'Angelo della Famiglia
Maggio 1945
3° RGT. ALPINI - BTG. VAL CHISONE
Mario Davide…
Il ricordo, l’attacco, e la sua vita…
Mario, dopo l’8 settembre 1943, senza esitare e con
una preparazione consapevole scelse la via più dura, quella dei monti
con la Resistenza armata.
Noi di Piossasco, anche se logisticamente le forze della resistenza erano
in Val Sangone, avevamo occupato le nostre borgate e i nostri monti per un
lungo periodo durato fino alla fine di febbraio del 1944; partecipavamo alle
azioni sotto il comando della banda Sergio De Vitis, quando le nostre file
si ingrossarono a causa dei bandi e proclami dei fascisti e dei tedeschi.
Il nostro territorio non poteva più garantirci la sicurezza, in un
primo periodo ci trasferimmo a Verna di Cumiana, poi in seguito al colletto
del Forno di Coazze per fermarci al Pian del Pale.
Questa sistemazione era il primo passo delle forze Partigiane per diventare
una divisione, organizzare e gestire con criterio le azioni militari e intercettare
i lanci di armi effettuati dalle forze armate Alleate.
Le formazioni non erano più bande, ma brigate con le squadre mitraglieri
e fucilieri, squadre d'assalto e guastatori.
Mario Davide era un guastatore, conosceva molto bene come minare strade e
ponti, lasciò la formazione e con pochi uomini addetti alla mansione,
si stabilì a Sangonetto, a quel tempo la strada era una sola, quella
che porta al Forno di Coazze, a Pale c'era solo la mulattiera.
Mario aveva il compito di minare la strada e il Ponte sul Sangonetto per farlo
saltare in caso di attacchi.
Mercoledì 10 maggio 1944, alle ore 3,40 scattò l'allarme. Era
il rastrellamento tanto temuto. Mario era di guardia al ponte, accese la miccia
con il comando a distanza ma qualcosa non funzionò, decise a quel punto
di farlo saltare con una miccia a mano, nonostante fosse sotto il fuoco tedesco.
Ci riuscì!
Bloccò per un po' di tempo l'avanzata, per permettere agli altri partigiani
la ritirata. Nel ritirarsi rimase ferito ad una gamba, i tedeschi ormai avevano
guadato il fiume a piedi e con i carri, non cedette, sparò e morì
con il volto rivolto al nemico...
Mario Davide ci lasciò così, generosamente come aveva sino ad
allora vissuto!
Bruno Pautasso
Giulio Nicoletta
Questo articolo è stato autorizzato da Nino Criscuioli generale degli Alpini in pensione e dal comandante della 43esima Divisione Sergio De Vitis
Ossario Forno di Coazze
Forno di Coazze borgata Ruata
Ritrovato rifugio partigiano alle Prese
Una grotta che venne utilizzata come rifugio dai partigiani,
in borgata Prese, sulle alture tra Sangano e Piossasco, è stata ritrovata
dopo numerosi tentativi di ricerca.
Trentanni fa il Comune di Piossasco pubblicò il "Diario di Mario
Davide dopo l'8 settembre - Una scelta partigiana", un dettagliato lavoro
di recupero del "Gruppo di ricerca sulla storia e sulla cultura locale".
Tra gli scritti del 21 settembre 1943 si legge: «La nostra meta era
quella di raggiungere le Prese (di Piossasco, ndr), e di cercarsi un nuovo
rifugio. Lo abbiamo trovato e subito ci siamo stabiliti. È un bel posto,
non c'è da lamentarsi e subito lo abbiamo battezzato col nome di "Villa
dell'allegria". Tutt'ora mentre scrivo mi trovo qui dentro, sono solo,
i miei compagni sono fuori in perlustrazione [...] dopo un po' di lavoro,
siamo riusciti a costruirvi la facciata che ha l'aspetto più che altro
di un fortino, ma si sta bene. Abbiamo raccolto delle foglie secche ed abbiamo
stabilito la nostra dimora».
Da quando Maria Teresa Pasquero - sanganese appassionata di storia locale
e conoscitrice delle montagne che circondano il territorio - ha letto il diario,
non ha mai smesso di cercare «Villa dell'allegria», anche se in
una nota gli albori della ricerca definivano le testimonianze su di essa «confuse
e contraddittorie». La svolta avviene parlando con Romano Andruetto
(nato nel 1938 e deceduto quest'anno 2012), originario di Taburdano, borgata
di Trana, che racconta le sue visite ai parenti, abitanti delle Prese di Piossasco,
nell'immediato dopoguerra e si ricorda di numerose tracce della presenza partigiana
in quei luoghi. Le dice di contattare il piossaschese Luciano Masante che
negli Anni '80 tagliava la legna in zona: lui quasi sicuramente avrebbe potuto
indicarle la grotta.
Individuarla è stata un'impresa: si trova infatti in un luogo impervio
con numerosi massi enormi denominato, in espressione dialettale dispregiativa,
dei Rociass. Da lì, ancora oggi, nonostante il bosco sia incolto e
fitto, si domina la valle e si possono osservare, senza essere visti, tutte
le sue vie di comunicazione e la ex-polveriera di Sangano, perché la
visuale spazia dal Monte Pietra Borga al S. Giorgio.
Se Mario fosse ancora in vita, avrebbe compiuto 90 anni da poco più
di un mese. Il ritrovamento del suo rifugio partigiano è un simbolico
e doveroso omaggio ad un uomo che ha perso la vita per la libertà dell'Italia.
Figlio di Mattia e Luigia Garello, Mario Davide, nome di battaglia Biondo,
nacque il 17 giugno 1922 a Piossasco, secondo di sette figli di una famiglia
contadina. Fu ucciso a ventun anni durante un rastrellamento il 10 maggio
1944 a Borgata Ruata (Coazze). La sua salma riposa nell'ossario di Forno di
Coazze.
Luca Cerutti
l'eco del chisone mercoledì 18 luglio 2012
"In quella grotta visse Mario Davide"
VAL SANGONE - «Si, quella è davvero "Villa
dell'Allegria"». L'ha riconosciuta, Eraldo Davide, fratello di
Mario, il partigiano piossaschese giustiziato dai tedeschi il 10 maggio 1944
a 21 anni. Quella grotta ritrovata in borgata Prese, sulle alture tra Sangano
e Piossasco ("L'Eco" ne parlò a luglio) «fu davvero
uno degli ultimi rifugi di mio fratello».
L’Ecoha incontrato Eraldo Davide nella sua casa a Piossasco; il ritratto
di Mario è ben visibile sulla credenza in soggiorno e lui guardandolo
esclama: «È un bene che qualcuno si ricordi di queste vicende,
perchè solo la memoria può evitare che succedano ancora».
I ricordi sono ancora nitidi: “Dopo l’esecuzione dissero ai miei
genitori che Mario era stato ferito a piedi andarono da Piossasco a Bruino,
poi col treno fino a Giaveno infine nuovamente a piedi, raggiunsero Borgata
Ruata (Coazze) per cercare il luogo dov'era stato sepolto». Eraldo aveva
11 anni, essendo nato nel 1933.
“Giunti sul posto, una ragazzina li sentì parlare del "biondo
di Piossasco" -prosegue e li accompagnò al luogo dove venne tumulato.
Una persona anziana, chiamata dai tedeschi per la sepoltura, gli aveva messo
una corona del rosario fra le mani e lo aveva sepolto sotto un sottile strato
di terra. Prima che ciò avvenisse, i militari avevano infierito sul
cadavere».
Nella "Villa dell'Allegria" Mario aveva vissuto gli ultimi giorni
di libertà: «un paio di mesi prima che morisse lo vidi per l'ultima
volta, insieme a due dei suoi compagni. Avevo 11 anni, ogni due giorni scendevo
dalle Prese di Piossasco a valle, passando dai dirupi “Rubatabò",
per andare a cercare rifornimenti: i bambini davano meno nell'occhio. Impiegavo
mezz'ora per scendere di corsa e 40 minuti per salire con lo zaino pieno».
Prosegue: «Io rimanevo in borgata (faceva garzone presso gli zìi
che abitavano alle "Case Garello") e i partigiani scendevano per
ritirare i viveri».
Eraldo descrive l'ultima azione di suo fratello: «Era stato minato il
ponte di Sangonetto a Coazze, ma l’innesco non ha funzionato e lui è
tornato indietro per accendere le micce per farlo saltare. Con la squadra
è stato sorpreso dai tedeschi, si è difeso usando le bombe e
il moschetto, finché non è stato catturato e giustiziato».
Luca Cerutti
l'eco del chisone mercoledì 24 ottobre 2012
La mano di
Dio colse le loro innocenti giovinezze
per adornare il Cielo
ed affrettare all'Italia giorni di pace e di bontà
Ugo Baudino |
Remo
Baudino 1921— 1943 |
Patriota |
3° Regg. Alpino Btg. Fenestrelle |
— Ugo Baudino, figlio di Cesare e Angela Giorda, nasce
il 27 settembre 1924 a Piossasco in provincia di Torino dove abita in borgata
Garola.
Di professione è meccanico. Ucciso a venti anni il 26 maggio 1944 nell’eccidio
dei 41 a Giaveno in provincia di Torino.
— Remo Baudino è caduto a Cefalonia, pare che mentre stava rientrando,
salendo sulla nave sia stato colpito da una raffica di mitragliatrice che
lo ha decapitato.
Ugo con la fidanzata
…..Intanto che il camion della morte riparte, i contorni
del riprovevole disegno nazifascista si fanno man mano chiari anche per i
ragazzi a bordo: i prigionieri saranno fucilati a gruppi in località
diverse, in modo da lasciare alle locali popolazioni un segno forte della
determinazione a colpire chiunque osi sfidare il nazifascismo. Forse per questo
a bordo del cellulare, forse per richiamare l'attenzione lasciando un ricordo
del loro passaggio in modo che i propri cari ne abbiano notizia ma anche per
far sapere alla popolazione che stanno affrontando la morte a testa alta,
i prigionieri cominciano a salutare i passanti che incontrano lungo il loro
passaggio: i passanti però non ne intuiscono subito il motivo.
II camion arriva intanto a Giaveno e si ferma intorno alle ore 13,30 in piazza
Molines poco dopo la sartoria dei genitori di Adelaide Garrone vicino al bar
Piatti. I soldati affiggono il manifesto vicino alla finestra della latteria.
La quindicenne Elda Bramante sta accompagnando la sorellina di sei anni all'asilo
quando un soldato le si avvicina, la prende bruscamente per un braccio e la
trascina a leggere il manifesto dicendo "Ribelli! Ribelli!". Nel
frattempo dal cellulare vengono fatti scendere 10 prigionieri uno dei quali,
baldanzoso, si alza le maniche dicendo: "Fieuj, an tuca a nui! (Ragazzi,
tocca a noi)": li accompagnano sulla piazza e li allineano i ragazzi
fanno dei cenni con la mano ma le ragazzine sono terrorizzate. Poi li fanno
andare un po' più in centro alla piazza e li sistemano un po' distanti
gli uni dagli altri. Ne fucilano prima cinque e poi altri cinque che cadono
sui primi. Poi un ufficiale provvede al colpo di grazia. Muoiono così
il diciannovenne torinese Mario Groppo (banda Genio), il ventenne piossaschese
Ugo Baudino (banda Sergio), il ventitrenne Giovanni Marocco, i fratelli Giorgio
e Pietro Marconetto di venticinque e ventitré anni e il venticinquenne
Andrea Moine, tutti della frazione Gerbole di Rivalta appartenenti alla banda
Sergio, il quarantenne torinese Carlo Belletti (banda Sergio), il ventiduenne
torinese Carlo Bruno (banda Cattolica), il ventenne torinese Vincenzo Virano
(banda Cattolica) e il ventunenne torinese Giovanni "Gianni" Medici
(banda Cattolica). Il soldato che tiene Elda per il braccio, la porta con
la sorellina Anna vicino ai cadaveri spiegando loro "Ribelli, kaputt!.
Elda ricorda che i partigiani recavano molti lividi mentre Anna ricorda che
l'ufficiale che diede il colpo di grazia comperò delle ciliegie a una
bancarella, le mangiò e ne sputò i noccioli sui corpi ormai
senza vita. Alcuni soldati rimangono di sentinella.....
…..Don Busso dice al podestà di voler restituire ai suoi cari Ugo Baudino, partigiano di Piossasco, uno dei caduti di Giaveno, riconosciuto da un'amica di famiglia. Il podestà se lo fa mostrare e ordina al falegname Vai di preparare una cassa e metterla nella camera mortuaria del cimitero. Alla sera i tedeschi si sparpagliano per le case private obbligando i proprietari a preparar loro, e in abbondanza, la cena. Ed è nottetempo quando, dopo che la sentinella s'è allontanata, in pieno coprifuoco Maria Riva esce dal portone di casa che si affaccia su piazza Molines e, avvicinandosi ai cadaveri, comincia ad imprimersi in mente i particolari di quei corpi, a cercare nelle loro tasche biglietti e oggetti che possano tornar utili a riconoscerli. Rientrata in casa, scrive tutto ciò che si ricorda…..
…..Nel mettere i morti sul carro, il podestà Zanolli tenta di far collocare per primo il corpo di Baudino pur essendo il n° 6 ma il tenente dice "No, prima questo" indicando il n° 1. Il carro funebre si muove accompagnato dal podestà, da Jolini e due uomini che servono per collocare i morti sul carro e deporli nella camera mortuaria. A nessuno è consentito seguire il carro. Malgrado il divieto di sepoltura don Crosetto decide di recitare ugualmente le esequie a bassa voce dal socchiuso portone della canonica e, in accordo con lui, accuratamente celato dietro la porta d'una cappella del camposanto, don Busso, il viceparroco, benedice e assolve furtivamente i corpi al loro passaggio. Anche questa è da considerarsi, a pieno diritto, una forma di Resistenza e di disobbedienza civile. Al cimitero, sempre in presenza del tenente tedesco che si è fatto accompagnare dalle 11 truppe e da un carro armato, il podestà riesce finalmente a disporre prima gli sconosciuti, infine il cadavere di Ugo Baudino. Dopo la chiusura del cimitero, il tenente e i suoi uomini abbandonano finalmente Giaveno…..
Dal libro:
Abbracciati per sempre
Di Mauro Sonzini
Gribaudo Savigliano (CN)
Anno 2004
Il funerale a Giaveno, a sinistra la salma di Ugo Baudino
Il Comune di Piossasco a perenne ricordo
Ai caduti nella lotta clandestina contro il nazifascismo
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Maria Teresa Pasquero Andruetto