Sangano e Bruino
Per non dimenticare
Sfollati alle Prese di Sangano con i loro ricordi
Alla famiglia Andruetto e al piccolo Sergio |
Lascio il mio ricordo lasciandovi i più cari saluti a tutti - 30 maggio 1945 Falcone Donato arrivederci |
Lascio questa mia con molto piacere delle due tote vicine |
Ricordo alla Borgata Prese di venti mesi trascorsi con armonia Piero Amico |
da sinistra Donato Falcone
e Marcello Spesso |
Da sinistra: Iolanda Andruetto,
Donato Falcone, Elia Giai Merlera, Giacomo Andruetto, Sergio Andruetto,
Alfredo Lorentini e Esterina Dovis |
Da sinistra Alfredo Lorentini,
Maria Andruetto, Renato Ruffino Elia Giai Merlera, Sergio Andruetto, Esterina Dovis e Donato Falcone |
Famiglia Andruetto
Prima di allontanare la nostra conoscenza vogliamo esprimere
un piccolo commento dettato dai nostri due ospitanti. Dopo avere trascorso
venti mesi a vostra casa ricordiamo ancora quel primo giorno che siamo giunti
con voi e che ci siamo conosciuti.
In questo tempo abbiamo compreso il vostro rispetto che effettivamente avete
mostrato verso di noi non so se noi verso di voialtri è stato sufficiente,
durante questo periodo di tempo se abbiamo mancato in qualche cosa, scusate
tanto, in qualche momento tutti si può sbagliare specialmente avendo
qualche pensiero sulla testa.
Dopo avere passato giorni mesi e qualche anno con tanti vostri e nostri sacrifici
abbiamo portato la salvezza della vita e piacere ai nostri di casa, ora è
giunto il momento di salutarci, abbiamo tanto da ringraziarvi del vostro buon
trattamento e rispetto e della gratitudine che avete avuto, come ci ripetiamo
mille auguri e ringraziamenti a tutta la famiglia Andruetto.
Con distinta stima a tutti
Non ho altro, solo mi resta che inviare i nostri più cari ed affettuosi
saluti, ed un forte abbraccio chi sempre vi ricorda.
Vostri affezionatissimi Lorentini Alfredo e Falcone Donato
Arrivedere a tutti
Un migliore saluto a tutti i nostri amici conosciuti in questo dato tempo,
saluto e auguro a tutti ciao ciao
Lorentini Alfredo e Falcone Donato
Falcone Donato
Voglio ancora esprimere qualche parola, del tempo che abbiamo attraversato
insieme a tutti gli amici, in mezzo a tutti questi ci sono state delle persone
che anno partecipato ai miei interessi personali dove che io non li avevo
chiamate, incominciando dalle due bande, “pranada” e “patracela”
e inseguito la festa di Natale scrivendo le parole principali tanto per ricordarvi
di quello avvenuto, ho fatto proprio delle magre figure per mezzo di tutta
questa gente senza fare il nome tutti si ricordano però io facendo
delle magre figure agli altri resto pentito invece gli altri non fanno caso
dunque farà un po’ differenza.
Mi stanca a prolungare di tutte queste cose, indecente penna resta indimenticabile.
Falcone Donato ciao
I ricordi di Anna Gulielmino
Felice Versino 1920 - 1945
In questi giorni così carichi di spirito e sentimento patriottico vorrei dedicare qualche riga al ricordo di un ragazzo di Forno di Coazze, cugino di mio papà Isidoro, morto da partigiano il 27 aprile di settantadue anni fa a Torino.Il suo nome è Felice Versino, nato a borgata Prialli il 18 ottobre 1920, primogenito di papà Giuseppe e mamma Olga Guglielmino. La sua è una storia non diversa da molti altri giovani dell'epoca: chiamato alla armi in piena guerra e impegnato in alta Val Susa nel fronte contro la nemica Francia, dopo l'8 settembre 1943 ( più precisamente il 19/9), si unisce ad una delle bande partigiane che operavano in Val Sangone: la 43esima divisione autonoma Sergio De Vitis. Tutto andò bene fino al 27 aprile 1945 giorno della liberazione di Torino. Felice si trovava in città con altri partigiani di Forno (i fratelli Paolo e Natale Ruffino) e durante una fase di battaglia in zona Santa Rita, un'autoblinda tedesca in fuga lasciò partire una scarica di mitraglia che lo centrò in pieno stroncando la sua vita ad appena 24 anni. Quello che più mi interessa adesso è cercare di descrivere e trasmettere come hanno vissuto e cosa hanno provato i suoi famigliari in quei giorni dopo aver saputo della sua morte. Il 27 aprile 2015, come facevo di tanto in tanto, andai a trovare la sorella di Felice, Angiolina (classe 1925 e mancata il 1/2/2016). Angiolina era una donna forte e solare e discorrere con lei era un vero piacere. Quel giorno mi venne in mente che erano trascorsi esattamente 70 anni dall'uccisione di suo fratello. Glielo ricordai e lei cambiò immediatamente espressione......il suo volto, sempre sorridente, si fece triste, gli occhi lucidi e la voce roca....mi rispose: " Oh si....propri parei.....stantan fè". Cominciò così il suo ricordo di quei giorni (per comodità e facilità di comprensione scriverò in italiano anche se lei ovviamente parlava alla moda di Forno): " Si era sparsa la notizia della morte di uno di Forno ma nessuno sapeva chi.....in realtà purtroppo tutti sapevano di mio fratello ma nessuno aveva il coraggio di dircelo. Ci venne detto solo dopo una settimana quando mio padre Giuseppe, recatosi in una borgata sopra Prialli andò a chiedere notizie a gente lì riunita. Fu così che, dopo molte domande di mio padre, una donna inginocchiandosi davanti a lui e stringendogli forte le mani gli disse della morte di Felice. Io e mia mamma Olga eravamo a casa a Prialli e ad un certo punto sentimmo la voce di mio padre che gridava " ohhhh Felice!.....ohhhhh Felice". Arrivò correndo da noi e abbracciandoci forte ci disse che Felice non sarebbe più tornato a casa. Giorni dopo arrivò la lettera che ci comunicava ufficialmente della morte di Felice e che ancora io conservo. Furono resi tutti gli onori possibili a Felice ma questo ovviamente non serviva a riportarlo in vita e non leniva il nostro dolore. Quando fu finita la costruzione dell'Ossario (ora Cimitero di Guerra) mio padre andò subito a vedere dove avevano collocato la bara di Felice e questa era stata messa nell'ultima fila in alto.Mio padre parlò a Falzone e si può dire che gli ordinò di mettere la bara di suo figlio in basso in modo che potesse piangerlo e mettergli dei fiori senza dover tribolare. Falzone non parlò e acconsentì." Da allora sono due i momenti di commemorazione all'Ossario: uno a maggio e uno a novembre. Angiolina fino a quando la salute glielo ha permesso è sempre stata presente (accontentando anche il desiderio dei suoi genitori affinchè Felice non venisse dimenticato) e adesso che anche lei è "andata avanti" ci sono le sue figlie Rosanna e Franca Lussiana che la rappresentano. Un paio di anni fa alcuni alunni delle scolaresche di Coazze ebbero una lodevole iniziativa intitolata "ADOTTA UN PARTIGIANO" e una delle figure prescelte fu proprio Felice Versino. Raccolsero foto, testimonianze e poesie unite tutte in un piccolo fascicolo dedicato ad alcuni partigiani della zona. Me ne feci una copia e Angiolina mi disse, questa volta con il sorriso sulla bocca: " I soei cuntanta perchè mun frel apreu d stanten u est ancù arcurdà". Si cara Angiolina, tuo fratello, come altri giovani morti per la nostra libertà, non verrà scordato....e neanche tu sarai dimenticata tanto facilmente....puoi esserne fiera! Le foto che allego mi sono state date da Rosanna e Franca Lussiana, figlie di Angiolina e ritraggono lo zio Felice ( quello a mezzo busto e il primo a sinistra vicino al mulo), la lettera con la quale Falzone comunicava ai genitori Giuseppe e Olga della morte di Felice e i funerali di Felice e degli altri 4 partigiani morti a Santa Rita a Torino il 27/4/1945.
Anna Gulielmino
Forno di Coazze
Ossario Forno di Coazze 1945
Il commosso saluto
di Giaveno a cinquantatre salme di patrioti
Il Cardinale benedice i Caduti
La sfilata nelle vie del paese - 18 eroi di cui non si conosce il nome.
Chi giungeva ieri mattina nei sobborghi di Giaveno aveva la subita impressione di trovarsi in un paese deserto: le prime strade erano silenziose, i portoni delle case erano serrati, le finestre chiuse, le serrande dei negozi abbassate, in segno di lutto. Poi, d'improvviso, nella piazza fulgida di sole, tra la chiesa parata di drappi purpurei e i vetusti torrioni striati di pietre grigie e cinti di edera, gli balzava agli occhi uno spettacolo imponente: tutto il popolo era il, silenzioso, commosso; brulicava all'intorno sino agli sbocchi delle vie, sotto i portici angusti, sui balconi, nelle terrazze. Nel centro, dinanzi ad un altare vivido di fiammelle, si scorgevano, chiare contro il bruno della terra, cinquantatre bare: sopra ognuna un nastro s'intrecciava ad un serto di fiori freschi. Ancora una volta Giaveno — cittadella del movimento partigiano piemontese — rendeva degne onoranze alle spoglie di eroici caduti con le armi in pugno contro gli oppressori nazifascisti. Assistevano alla pietosa cerimonia il Cardinale Arcivescovo, il presidente della Giunta regionale, il gen. Trabucchi, il vice-prefetto nonché numerose altre autorità italiane ed alleate. Erano pure presenti, a centinaia, patrioti della Val Chisone e della Val Sangone, giunti nella mattinata dalla città, dai borghi della pianura, scesi a gruppi dalle baite e dai villaggi alpestri — per accompagnare all'ultima dimora i fratelli di lotta. Terminata la messa, il Cardinale è avanzato tra le bare, le ha benedette, sostando a lungo in preghiera. Poi una solenne processione s'è svolta nelle vie centrali del paese. Dietro le associazioni religiose, le corone, gli stendardi, le bandiere dei cinque partiti, sono passate ad una ad una, lentamente, le bare, sorrette a spalla da alpini e da civili: e accanto ad ogni bara camminavano le madri le spose, le sorelle dei martiri, nascondendo tra i veli neri il viso rigato di pianto Sergio De Vitis... Giuseppe Costanzia di Costigliole... Giovanni Medici... Giorgio Galeazzo... Rinaldo Rosa... Molte donne al passaggio delle gloriose spoglie s'inginocchiavano singhiozzando. E gli uomini — mordendosi le labbra — s'irrigidivano sull'attenti. I bimbi, dalle braccia delle loro mamme, gettavano fiori. E altri fiori — tanti fiori — cadevano dalle finestre, venivano lanciati dai vani delle porte, dai ballatoi, dove, tra i gerani, apparivano sempre nuovi volti pallidi dall'emozione. Le campane suonavano a distesa. E nulla certo era più grandioso e più commovente di quella sfilata di morti, in strade strette, buie, affollate di umile popolo — nello sfondo delle grandi montagne già velate dalla dolce nebbia di settembre. — Abbiamo riesumato le salme da tutti i piccoli cimiteri della zona — ci ha detto un capo partigiano — e le tumuleremo definitivamente nell'ossario di Forno di Coazze. Alcune, per volere dei familiari, saranno Invece trasportate a Torino. — Le avete riconosciute tutte? — Purtroppo no. Diciotto ancora sono da identificare. Ci passavano dinanzi, infatti — in quello stesso Istante. Diciotto casse brune, fasciate da un tricolore, con una targhetta di metallo su cui spiccava una parola: «ignoto»... Ignoto tu. piccolo partigiano dai capelli biondi ritrovato supino sull'erba, con una gran rosa di sangue nel petto e gli occhi cerulei sbarrati verso il cielo: ignoto tu, vecchio partigiano, dai capelli grigi caduto riverso tra le rovine fumanti di una baita difesa sino all'ultima cartuccia: ignoto anche tu, martire trafitto ad un muro dalla scarica degli aguzzini, mentre con lo sguardo sereno, già trasumanato cercavi. tra monte e monte, il vasto piano ove tua madre, ignara, t'attendeva... Di questi eroi sconosciuti abbiamo poi scorto, a cerimonia ultimata, gli unici, labili ricordi terreni: un lembo di giacca, una cintura, un fazzoletto scarlatto, un pezzo di camicia grigioverde. Vicino a noi v'era una donna in lutto, che adagio adagio prendeva quel miseri resti di stoffa, li accarezzava, li portava alle labbra; e quasi a giustificare il suo atto, di tanto in tanto si volgeva e, mostrandoli ai presenti, mormorava con dolcezza «Vedete? Potrebbero essere del mio povero figlio...». Tra i valorosi caduti traslati da Giaveno a Torino vi sono pure due partigiani che provenivano dalle maestranze, del nostro giornale. Essi sono; Giovanni Maroncelli e Ugo Franco. Le salme hanno sostato nella notte nella scuola Pacchiotti, vegliate dal famigliari e da compagni di lavoro.
La Stampa – 9 settembre 1945
Sangano frazione
di Bruino
Per non dimenticare
LA RESISTENZA IN VAL SANGONE
ASPETTI DI VITA PARTIGIANA NEL
TERRITORIO DI BRUINO
Il comune di Bruino e quello di Sangano furono riuniti per
Regio decreto nell'unico comune di Bruino il 1° marzo 1928, arrivando
così a contare 1.142 abitanti. Nel censimento ufficiale del 21 aprile
1936 il paese contava 1.138 abitanti, di cui 715 a Bruino e 423 nella frazione
di Sangano. Alla fine del 1945 si registravano 1.151 abitanti residenti. Sostanzialmente
si può sostenere che in venti anni la popolazione residente rimase
stabile. Sangano tornerà ad essere comune autonomo il 16 marzo 1956,
come si evince dalla "Gazzetta Ufficiale" del 9 maggio 1956.
Anche Bruino fu teatro degli eventi che caratterizzarono il periodo resistenziale.
Nei giorni successivi all'armistizio i fratelli Franco e Giulio Nicoletta
trovarono ospitalità a Bruino, presso la casa di Piero P., il quale
aveva già dato rifugio a quattro ex prigionieri inglesi fuggiti dai
vicini campi di concentramento.
I giovani di Bruino si rivolgevano a noi per sapere cosa fare. Gli inglesi, invece, volevano star nascosti sino all'arrivo degli Alleati, che secondo loro era imminente. Mio fratello ed io parlavamo e cercavamo di capire che cosa si poteva fare, che cosa era meglio. Abbiamo cominciato così ad essere partigiani, a pensare e decidere in modo autonomo.
Sebbene nei primi mesi del 1944 fosse stata sancita la pena
di morte per i renitenti che non si presentavano alla chiamata alle armi della
Rsi, a Bruino nessuno rispose a quell'appello; al contrario, molti giovani
delle leve 1924 e 1925 salirono in montagna a combattere nelle formazioni
partigiane. Già nei primissimi giorni Giovanni V., Ugo
S., Gino R. e Cesare
B., tutti di Bruino, si ritrovarono così nella
banda A. Catania, comandata dal "Rossi" (nome di battaglia di Fausto
Gavazzeni).
Il 12 giugno 1944 si tenne alle porte di Coazze una riunione tra i capi partigiani
della valle. Già da qualche tempo si era fatta strada l'esigenza di
unificare le varie bande sotto un unico comando. Le bande avevano sempre agito
in modo autonomo e senza coordinamento, diminuendo in taluni casi l'efficacia
delle proprie azioni. Il collegamento tra il Cln di Giaveno e le forze partigiane
sul campo risultava difficile a causa delle difficoltà a interfacciarsi
con i vari capi banda.
In quella riunione, che durò l'intera giornata, si sancì la
nuova struttura organizzativa del movimento resistenziale della valle. Le
bande dei primi mesi diventavano la Brigata Autonoma Val Sangone, con un comando
unico e rappresentativo, che fu affidato a Giulio Nicoletta. Le formazioni
che ne facevano parte erano cinque: la banda "Sergio", comandata
da Sergio De Vitis, la "Frico", comandata da Federico Tallarico,
la "Carlo Carli", comandata da Eugenio Fassino, la "Campana",
con a capo Felice Corderò di Pamparato, e la "Nino-Carlo",
comandata da Nino Criscuolo e Carlo Asteggiano. Il comandante Giulio Nicoletta
piuttosto frequentemente si fermava a dormire nottetempo nella casa di Piero
P., a Bruino, in tutta segretezza e con la complicità degli abitanti
del borgo storico, i quali non tradirono mai il loro concittadino. Risultò
particolarmente interessante, per Bruino, la figura di Piero P., che nei venti
mesi della Resistenza svolse attività di basista e di coordinatore
tra il paese e l'attività partigiana. Numerosi sono i documenti controfirmati
da P. che riguardano le derrate alimentari consegnate ai partigiani della
De Vitis. Fu membro del Cln di Bruino (Partito d’azione) insieme a Giuseppe
T. (Partito socialista), che esercitava la carica di presidente, Luigi L.
(Democrazia cristiana), Massimo R. (Partito comunista) e Piero M. (Partito
liberale).
Dopo la Liberazione, il 27 aprile 1945 il comitato si sarebbe riunito il 4
maggio 1945 avrebbe comunicato tramite lettera al Cln di aver preso possesso
dell’amministrazione del Municipio di Bruino, nominando alle principali
cariche le seguenti persone: Sindaco: Giuseppe Nizia (Partito comunista);
Vice sindaco per Bruino Capoluogo : Nazareno Carosso (Partito liberale) e
vice sindaco per la frazione di Sangano: Michele Maletto (Democrazia cristiana).
Anche gli abitanti di Bruino, nei venti mesi che caratterizzarono la lotta
resistenziale, dovettero fare i conti con gli orrori che la guerra in corso
provocava.
Numerosi furono gli episodi avvenuti nel territorio comunale, alcuni più
eclatanti (l’attacco alla polveriera di Sangano, l’uccisione di
quattro ufficiali tedeschi e il mitragliamento del trenino tra Bruino e Sangano),
altri meno importanti per la cronaca, ma che rimasero impressi in modo indelebile
nelle menti degli individui che li vissero in prima persona. Molteplici sono
i racconti e le testimonianze, che insieme all'ampia bibliografia, tracciano
il quadro degli eventi.
La cascina Dalmasso
Nell'azione del 26 giugno sul ponte del Sangone era presente anche Giacobbe Matteo Prade (nome di battaglia "Giaco"), partigiano di Bruino appartenente alla banda "Campana", che insieme a Carmelo Fiandaca (soprannominato "Carmelo il boia") riparò e si nascose nella cascina Dalmasso a Bruino, dalla fidanzata Celestina, che divenne in seguito sua moglie. La cascina fu la stessa che fu usata nel periodo della "pianurizzazione", come nascondiglio di armi e munizioni e dove si trovarono a passare, tornando da Torino qualche giorno dopo la liberazione, Giulio Nicoletta, Giuseppe Falzone ed Eugenio Fassino, appena liberato dal carcere in cui era rinchiuso.
Eravamo qualche giorno dopo la liberazione e ci trovavamo sul ciglio della strada di fronte alla cascina Dalmasso abitata dalla famiglia Germena, quando tutto a un tratto, sopraggiunse un'autocolonna tedesca sbandata e in fuga. Alcuni di noi si nascosero nel fosso al lato della strada, altri nel cortile della cascina dietro agli alberi: Carmelo il boia prese il fucile-mitragliatore che portava sempre a tracollo e lo puntò verso la colonna tedesca pronto a fare fuoco. Giaco lo fermò prontamente e gli intimò di non sparare, evitando così di mettere a repentaglio le loro vite e quelle degli abitanti la cascina. Carmelo non ci pensava mai due volte prima di sparare.
Prade Giacobbe Matteo
Alpino, partigiano….mio padre
Figlio di Francesco e di Schuoller Anna Maria nasce a Brighelz,
Svizzera, il 16/6/1922 e all’età di 12 anni arriva a Bruino con
2 fratelli e Giacobbe viene assunto come garzone presso la famiglia Cellone.
Durante la Seconda Guerra Mondiale Giacobbe viene chiamato alle armi nel Distretto
Militare di Belluno al 5° Reggimento Artiglieria Alpini. Parte per la
Francia e solo dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43 ritorna
in Italia subendo combattimenti con i tedeschi durante la ritirata. Per queste
azioni Giacobbe riceve la 1° Croce al Merito di Guerra.
Rientrato a Belluno Giacobbe inizia a far parte delle Formazioni Partigiane
ma, purtroppo viene catturato dai tedeschi e caricato su un treno per essere
deportato in Germania; fortunatamente Giacobbe riesce a scappare da quel treno
che lo stava portando verso la morte. Nel giugno del ’44 Giacobbe, rientrato
in Val Sangone, entra nella Brigata Vesco sotto il comando de “Il Campana”
partecipando alla battaglia della Polveriera di Sangano, dove morì
Sergio De Vitis, difendendo la Stazione di Trana e diventando, in breve tempo,
uno degli uomini più fidati di Felice Cordero di Pamparato, per tutti
“Il Campana”. Dopo la cattura e l’impiccagione del Campana
avvenuta a Giaveno in circostanze strane, mio padre prende il comando di un
reparto di partigiani distribuiti nelle cascine delle pianure tra Bruino,
Piossasco e Volvera con le armi pesanti nascoste a casa mia e alla Cascina
Maginot di Via Volvera sopravvissute ai numerosi rastrellamenti.
Mentre mio padre comandava i reparti, mia madre Celestina Germena insieme
allo zio Michele Bertolotto erano impegnati nelle staffette partigiane. Nel
’45 il reparto partigiano scende a Torino liberando quello che oggi
è Palazzo Campana, all’epoca sede del partito fascista. In quell’occasione
mio padre venne ferito ad un piede e condotto nei sotterranei della città
per la medicazione; lo spettacolo che si presentò a mia madre dalle
camere di tortura le lasciò un dolore immenso.
Ritornati a Bruino, una colonna corazzata tedesca transita a casa di mia madre
dove si nascondevano diversi partigiani tra cui Giulio Nicoletta Falsone,
Eugenio Fassino e Carmelo il Boia che minacciava di voler sparare; solo il
sangue freddo e l’ordine repentino di mio padre di non sparare impedì
una strage e la colonna proseguì nel suo cammino. Fu insignito con
la seconda Decorazione per Attività Partigiana.
Nel novembre del 1945 Giacobbe venne arrestato insieme a Carmelo il Boia e
altri nell’ambito delle indagini sulla strage di Villarbasse e, dopo
45 giorni di carcere, scagionato senza colpa.
Nel 1947 si sposa con Celestina da cui sono nati Franca, Aldo, Bruna e Vera.
Nei primi anni ’50 concorre alla fondazione del Gruppo Alpini diventando
Consigliere e negli anni ’60 fonda la FIDAS di Bruino diventando il
primo Presidente.
Morì, per grave malattia, il 4 aprile 1968.
Uomo dai profondi e sinceri principi, uomo che mi ha insegnato ad aiutare
gli altri, uomo dai sentimenti umani.
Prade Giacobbe Matteo…..un uomo…..semplicemente mio padre.
Aldo Prade
Nella foto: mia madre,mio padre e Bertolotto Martino subito
dopo la liberazione,
ad una festa a Giaveno, in divisa e armati, con compiti di polizia e controllo
del territorio
Tratto dal libro: La Principessa diventata Regina
« Erano appunto gli ultimi mesi di guerra, »
continua nel racconto nonna Emma, « la sentivamo ormai alle porte, fascisti
che razzolavano ovunque, con superbia e prepotenza. Allo stesso tempo partigiani,
malvestiti ed altrettanto male armati si aggiravano per i boschi. Era sempre
molto pericoloso muoversi, ma certamente l’emergenza in corso con suor
Maddalena ci obbligava al rischio. Buttigliera era proprio dietro la collina,
poi due suore e quindi… Andammo di corsa, ma sorpassata la collinetta,
nel bosco adiacente, vedemmo dei movimenti strani, suor Mafalda allora si
mise a ridere nel modo più rumoroso possibile e da dietro a dei cespugli
uscirono sei persone, ragazzini, armati, che vedendoci cosi allegre capirono
che non eravamo pericolose. Abbassarono le armi e si avvicinarono a noi. Era
un gruppo di partigiani, a controllo della strada, per bloccare eventuali
pattugliamenti fascisti, perché da qualche giorno si era stabilita
a Reano, in una casa nascosta nei boschi, tutto il quartier generale della
brigata comandata dal comandante Nicoletta e la brigata di Fassino, così
chiamata anche se il suo comandante Genio Fassino era già stato incarcerato
nelle carceri Nuove di Torino, ma il carisma rimase tale per cui i suoi uomini
restarono sempre gli uomini di Fassino. La riunione era stata indetta per
decidere appunto la strategia finale della conquista e liberazione di Torino.
I sei partigiani che avevamo di fronte erano tutti ragazzini poco più
grandicelli di me, il mitra a spalla, sembrava più un giocattolo e
le scarpe erano rotte, riparate con materiale di fortuna, vuoi del fil di
ferro, vuoi con pezzi di stoppa, per aggiustare le falle più grosse.
Alla loro domanda perché eravamo lì, suor Mafalda che faceva
da portavoce e capogruppo, raccontò loro la storia di suor Maddalena
e della necessità dei soccorsi, così ci fecero passare, anzi
due di loro ci furono messi a scorta nascosta, cioè ci seguivano a
qualche decina di metri dietro, senza farsi vedere troppo, per proteggere
la nostra incolumità, ma io ero certa che con suor Mafalda, erano loro
ad essere protetti da noi. Ero felice, perché nel gruppetto di accompagnatori,
avevo visto un ragazzo, molto bello, alto, con tante lentiggini sulle guance,
come le tue Vittoria »
La nonna mi accarezzò le guance e io dissi: « Come le mie? »
« Sì, aveva anche i capelli rossicci, ma erano un tantino sporchi,
che sembravano castani, coperti con un berretto di lana…grigio o forse
di altro colore, quando era nuovo, occhi profondi celesti, che mi hanno colpita
dal primo sguardo, uno sguardo che trasmetteva, sì tristezza, per cose
orribili viste, ma che la giovinezza voleva riscattare. Anche lui era stato
sicuramente colpito dalla mia giovane età e dal vestito portato. Quel
ragazzino non ancora diciannovenne, con una sigaretta in bocca ed il mitra
a spalla, due bombe a mano ed una pistola appese alla cintola, con le scarpe
rotte, ma con tanta voglia di vivere era tuo nonno, Lucio Amprino »
« Il nonno… è così che l’hai conosciuto? »
Dal libro:
La Principessa diventata Regina
Claudio Cantore
Editore: La Riflessione, 2010
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Maria Teresa Pasquero Andruetto