Sangano
La ghiacciaia "giassera"
La fucina
L’Acquedotto di Sangano
Il traponé
Processioni e funerali
Pascolo
I racconti della mamma
Flash su Sangano
Gli alunni delle elementari
— ricerche ——
I nonni di Sangano raccontano che presso il Molino Nuovo
( via Bonino ) vi era una buca che si riempiva di acqua in autunno, un’altra
si trovava in via Serena.
Verso Natale l’acqua gelava formando uno spesso strato di ghiaccio.
Gli uomini lo spaccavano con le “piole o asce, riducendolo in blocchi
che trasportavano con i “tumbarel” o carri in via San Rocco, ora
Via Coletto, nella ghiacciaia.
La ghiacciaia era un locale che sorgeva dove ora c’è la casa
di Martini. Misurava 8 o 10 metri quadrati, era alta circa 10 metri, 3 scavati
sotto terra.
Il locale era munito di una porta che poi si sigillava con assi e paglia di
segala e una apertura verso la strada attraverso la quale si passava il ghiaccio,
facendolo scendere lungo uno scivolo.
All’interno qualcuno disponeva i blocchi in modo da non lasciare spazio
vuoto; il ghiaccio veniva quindi coperto con paglia lunga di segala e con
foglie di faggio;
Veniva poi costruita una “bënna” o copertura inclinata di
rami e paglia perché l’acqua piovana non vi penetrasse.
Il ghiaccio serviva soprattutto ai macellai per conservare la carne. Nelle
annate più favorevoli durava fino a settembre a ferragosto, durante
le feste patronali, era una vera delizia poter bere una granita gelata.
Francesco Martini classe 1910 ricorda che esisteva uno strumento adatto a
ridurre in pezzettini il ghiaccio, molto simile ad un “rabòt”
o pialla.
Raramente il ghiaccio veniva concesso a chi lo chiedeva; lo si dava solo a
chi era malato gravemente
Una volta alla settimana passava il venditore di pani di ghiaccio, per rifornire
le ghiacciaie delle famiglie che la possedevano.
In azzurro la ghiaccia
La fucina era la bottega del fabbro, dove si lavorava il
ferro.
L’acqua della bealera serviva come forza motrice per far girare la ruota,
che era collegata con i magli a testa d’asino, che si mettevano in moto
e battevano ritmicamente sul ferro incandescente. Ogni quarto di giro corrispondeva
ad un colpo di maglio o martello.
Passando vicino alle fucine si sentiva il ritmico martellare dei magli.
Ricerca fatta dagli alunni delle Scuole elementari di Sangano
- fine anni ottanta
Insegnante Graziella Clari
La fucina di Trana i magli
la fucina di Trana interno
L’Acquedotto
di Sangano
Ricerca delle classi
5° A
– 5° B
- anno scolastico 1988 - 89
Insegnanti Cesa e Baglietto
Le parti di un acquedotto
La centrale – le condutture – la pompa – il sebatoio –
gli allacciamenti
(relazione di gruppo)
L’acquedotto è un luogo nel quale scorre l’acqua
potabile, acqua che poi giunge nelle nostre case tramite dei tubi di ferro
o di eternit (quelli vecchi) oppure in materiale plastico per alimenti (quelli
recenti).
I pozzi sono dei buchi larghi e profondi, dentro ai quali s’infila una
condotta finestrata per far passare l’acqua sotterranea.
In Sangano sono situati due pozzi di diversa profondità: uno vicino
al campo sportivo col diametro di un metro e la profondità di circa
120 metri, che ha il diametro uguale a quello precedente e la profondità
minore: circa 90 metri.
Il pozzo situato vicino al campo sportivo è stato costruito dieci anni
fa (1979) mentre l’altro nel 1968; quest’ultimo produce più
o meno quattro cinque litri d’acqua al secondo, mentre quello di maggiore
profondità nove o dieci litri.
Per estrarre l’acqua dai pozzi si usano le pompe.
Intorno ai pozzi sono d’obbligo le zone di rispetto che consistono nel
vietare la coltivazione delle terre e l’uso dei concimi chimici e sostanze
inquinanti qui è di duecento metri, ogni tre settimane vengono eseguiti
dei prelievi chimici; anche le reti di distribuzione vengono controllate.
L’acqua di Sangano non è inquinata perché le falde sono
profonde, ma non c’è solo il calcare.
Ogni tanto l’acqua è marroncina perché dalle reti di distribuzione
vecchie si stacca la ruggine dalle pareti della condotta.
Quando si ripara un tubo bisogna togliere l’acqua, perciò quando
si riapre scende marrone perché è stata ferma. Certe volte l’acqua
ha un gusto sgradevole per un disinfettante chiamato cloro.
Lungo la strada ogni 100 metri ci sono i tombini dell’acqua e dentro
si trova una bocca antincendio che seve ai pompieri per domare eventuali incendi.
A Sangano si consumano circa 232.000 metri cubi d’acqua;
Ogni famiglia ne consuma circa 200 metri cubi (circa 100.000 lire annue);
L’acqua costa al metri cubo £. 496 (ogni litro £. 0,496);
In Sangano ci sono 670 allacciamenti per 1.130 famiglie.
Un po’ di storia
A Sangano esisteva già un antico acquedotto, munito
di un grande sebatoio, detto “Michela”, costruito dalla Società
Acque Potabili nel remoto 1853 per servire la città di Torino.
Nel 1938, per portare acqua potabile ai Sanganesi venne installata una pompa
nel serbatoio Michela che spingeva l’acqua in un altro serbatoio di
400 metri cubi sulla collina di Villarbasse.
Da qui, per caduta naturale, l’acqua scendeva al paese. Quando il serbatoio
era pieno, la pompa si fermava. L’acqua scorreva in tubi di eternit
di 10 cm di diametro e, dopo aver alimentato Sangano, scendeva a Bruino.
L’inaugurazione dell’allacciamento all’acquedotto avvenne
nell’autunno del 1938 con la fuoriuscita di acqua potabile da una fontana
situata nella piazza della Chiesa.
Nel 1939 i Sanganesi ebbero, per la prima volta, la possibilità di
attingere acqua potabile direttamente dai rubinetti. Inizialmente poche famiglie
si allacciarono alle condutture, poi il numero crebbe, poiché l’acqua
dei pozzi non dava più affidabilità.
Dal contratto n. 18 stipulato il 1 ottobre 1939 risultano le seguenti tariffe:
— il costo di un metro cubo d’acqua era di £. 0,80
— il costo per l’allacciamento era di £. 250
— il costo per la marca da bollo era di £. 1
L’antico acquedotto fu venduto nel 1960 all’Azienda Municipale
di Torino con la clausola che i Sanganesi ne avrebbero usufruito finche non
fossero stati autosufficienti.
La SAP, intanto scavò a Villarbasse un pozzo molto ricco, che potè
servire una parte di Sangano.
L’acqua però non bastava ancora per cui vennero scavati gli attuali
pozzi nei terreni di Sangano:
— un pozzo in Pradonio (prato domini) verso Bruino
— e l’altro in zona Barageita o Serena verso Trana
Da quanto detto si comprende che nel territorio di Sangano esistono due acquedotti:
— il più antico detto “la putabil” costruito nel
secolo scorso, serve ora solamente una piccola zona di Torino:
— l’altro, recente, costituito da pozzi, fornisce l’acqua
ai Sanganesi.
Nel 1938, come già abbiamo detto, vennero fatti gli scavi per portare
acqua potabile alle case.
Il lavoro veniva svolto a mano da operai provenienti anche da località
lontane. Ogni operaio lavorava dieci ore al giorno con una pausa di circa
un’ora per il pranzo. La paga giornaliera era di 5 o 6 lire.
Se si trovavano massi particolarmente grandi, venivano forati con lo scalpello
(scupel), si inseriva della polvere da sparo che veniva poi fatta esplodere
nel foro.
Curiosità
Durante lo scavo, di fronte all’asilo, venne
rinvenuta una tomba, con le pareti formate da pesanti lastre di pietra, contenente
frantumi di ossa umane. Per l’antica e accurata fattura si pensò
appartenesse ad un capo guerriero.
I pozzi dell’acquedotto attuale sono stati scavati con macchine moderne
trivelle e scavatrici.
Il traponé era un uomo pagato dal Comune, col contributo
dei contadini che aveva il compito di andare alla ricerca delle talpe per
preservare i campi dai buchi prodotti da questo animale.
Chi tagliava il fieno era ostacolato dai mucchi di terra procurati dalle talpe,
per cui bisognava difendere i prati da questo flagello.
Il traponé uccideva le talpe, poi le pelava per prendere le pelli che
inchiodava su dei bastoncini per farle essiccare. Da esse si ricavavano pellicce.
Ricerca a cura dell’Insegnante
Graziella Clari
e gli alunni della Scuola Elementare di Sangano
Quasi tutte le famiglie a Sangano avevano una mucca o delle capre, i bambini dopo la scuola portavano le mucche al pascolo legate alla corda. Le portavano a pascolare sulle rive o nei boschi.
Chi aveva le capre poteva sedersi mentre pascolavano. Le bambine si portavano dietro il lavoro di cucito, i maschietti invece incidevano con un coltellino (che a quei tempi era un lusso) dei bastoni con dei disegni., a volte si preparavano uno zufolo con le canne di sambuco e suonavano.
I “vachè” o“garsunôt”
Li chiamavano volgarmente “vachè”, perché
dovevano portare le mucche al pascolo. Alcuni, più gentili li chiamavano
“garsunôt” perché erano molto giovani.
Nonno Costantino un anziano di Sangano raccontava che, a nove anni, andò
da garzone, in una cascina a Prabernasca, dove mangiava sulla soglia di casa,
per bere doveva attingere da solo l’acqua dal pozzo.
Il primo giorno di lavoro dovette portare al pascolo quattro mucche. I “vachè”,
aiutavano anche nei lavori dei campi e quindi lavoravano duramente durante
la fienagione.
Alcune famiglie trattavano i garsunôt in modo umano, come persone di
famiglia.
Villarbasse cascina Brayda nonno Costantino (classe 1901) al centro col tridente a spalla - anno 1913
Il fieno è l’erba tagliata e fatta seccare al
sole. La fienagione avviene tre volte, dall’inizio della primavera all’autunno.
Il primo raccolto viene fatto generalmente verso la metà di maggio
e si chiama maggengo.
Il secondo raccolto si fa verso la metà di luglio ed è definito
arsetà. Il terzo, più scarso, si fa verso la metà di
settembre ed è definito terzuolo.
Oggi giorno, la fienagione si fa molto più rapidamente e con meno fatica
perché vi è l’aiuto delle macchine agricole, una volta,
invece, mi racconta la mamma, nei prati, l’erba veniva tagliata tutta
a mano con la falce, si lasciava a seccare durante il giorno e alla sera si
raccoglieva in grandi mucchi.
Al mattino successivo si sparpagliava con il tridente per il prato. Al pomeriggio,
si rigirava e alla sera si raggruppava e così per alcuni giorni fin
quando era ben secco, dopo di che veniva caricato col tridente sui carri
trainati dai buoi.
In fine a casa si sistemava nei fienili con forche e tridenti, la mamma ha un ricordo bellissimo delle serate d’estate quando tutti i bambini andavano a giocare al chiaro di luna a saltare i grandi mucchi di fieno che mandava un buon profumo, accompagnato dal canto dei grilli in compagnia delle lucciole.
Presentazione
Questo lavoro è una modesta sintesi dello studio,
condotto quest'anno sull'ambiente ed in particolare di Sangano.
È il risultato di interviste e notizie raccolte con la collaborazione
dei genitori e dei nonni.
Nella prima parte si e cercato di mettere in evidenza alcuni aspetti del paese
che sono ormai scomparsi: il lavoro dei campi, la scuola com'era al tempo
dei genitori, i divertimenti modesti della gente di campagna, le tradizioni
religiose.
Nella seconda parte sono state raccolte alcune descrizioni del paese, fatte
dagli alunni nel corso del 1 anno scolastico.
Il presente lavoro e stato completato da una mostra di fotografie, raccolte,
dagli album di famiglia e scattate dagli alunni durante l'anno scolastico
e da pitture, realizzate a classi aperte, nelle quali si è tantato
di stabilire dei confronti tra il presente ed il passato, del nostro paese.
Le insegnanti delle classi 3° A e B di SANGANO
Graziella Chiavassa Clari - Conto Franca.
Le insegnanti ringraziano tutti coloro che hanno collaborato a questo lavoro
La scuola
Quando io andavo alle elementari c’erano orari diversi,
si andava a scuola dalle nove alle dodici e dalle quattordici alle sedici
però il giovedì era vacanza.
A quei tempi Sangano era piccola come paese, c'erano pochi barnbini in età
scolare, divisi in due pluriclassi.
La maestra insegnava ai bambini di prima, seconda e terza, 1’altra insegnante
seguiva quelli di quarta e quinta. La scuola prima era situata in un edificio,
vicino a Via Bert utilizzato in seguito come palestra. Poi è stata
trasferita nei locali del vecchio municipio. Le aule erano spaziose, ma buie.
Nel 1959 in prima c’erano solo tre alunni e calcolando quelli di tutte
la classi non si raggiungevano ì cinquanta bambini. Ci si scaldava
con una stufetta a legna che spesso era la maestra ad accendere. Su questa
stufetta la maestra metteva a scaldare la pietanziera, con dentro il suo pranzo.
I banchi erano alti, di legno e uniti a due, a due con il calamaio incorporato,
perchè allora non si usavano le penne stilografiche.
Non c'era lo scuolabus ed alcuni bambini dovevano fare molta strada per andare
a scuola, ma in compenso, quando nevicava molto, rimanevano a casa.
Ogni trimestre la maestra ci dava la pagella con i voti da far firmare al
papà. Le scuole iniziavano il primo ottobre e si facevano molti ponti
durante l'anno scolastico.
Intervista ad una mamma nata a Sangano
La mietitura
Mio papà mi ha raccontato che tanti anni fa, quando
era bambino accompagnava suo nonno e suo papà nei campi per la mietitura.
A fine giugno, quando il grano era maturo, gli uomini cominciavano a tagliare
il grano con la falce; dietro di loro venivano le donne e i ragazzini che
provvedevano a formare i covoni
I covoni venivano lasciati qualche giorno nei campi per una prima essicazione,
venivano poi caricati su di un carro trainato da un cavallo, o dai buoi e
portato a casa, dove si lasciava ancora seccare per circa un mese. Dopo veniva
la trebbiatrice che separava i chicchi dalla paglia.
I chicchi venivano poi messi nei sacchi e posti nel granaio.
Con la paglia si formava un enorme pagliaio vicino alla stalla.
Alla sera si festeggiava tutti insieme attorno ad una tavola imbandita.
I bambini andavano poi con i genitori a spigolare nei campi le mamme andavano
in compagnie delle amiche e si portavano dietro i figli. I bambini si ritrovavano
così in gruppo e la spigolatura diventava una festa e l'occasione per
giocare, oltre che procurare del cibo per i polli.
A cura di Enrico A.
Il Granoturco
Ho chiesto a mio papà di raccontarmi cosa faceva da
piccolo quando andava a spannocchiare ed ho visto mio papà, contento
di raccontarmi quelle ore felici. Mio papà mi ha detto che loro andavano
sempre a spannocchiare nella cascina di Geppin.
Si spannocchiava di sera e tutti i bambini grandi si mettevano sotto una tettoia
a togliere le foglie alle pannocchie, ne lasciavano poche e le giravano al
contrario. Un signore raccoglieva le pannocchie e ne faceva mazzi di 15 o
20 pannocchie l'uno. Il mattino dopo facevano una spalliera coi mazzi delle
pannocchie nel muro più soleggiato della casa, così seccavano,
Stefano
Intervista ad una mamma
— Mamma, una volta il granoturco si raccoglieva a mano
o avevano delle macchine?
— No, naturalmente il granoturco veniva raccolto a mano, veniva portato
un carro trainato dai buoi, all’inizio del campo e i diversi componenti
della famiglia, con grandi gerle sulle spalle o sacchi, passavano pianta per
pianta e staccavano le pannocchie. Man, mano che le gerle si riempivano, venivano
versate nel carro. Quando il raccolto nei campi era finito, si metteva il
carro pieno di pannocchie in mezzo all’aia e con l’aiuto dei vicini
di casa e dei bambini, si toglievano alcune foglie che ricoprono la pannocchia;
le altre venivano tirate su e legate in mazzi di 4 o 5. Naturalmente questo
lavora durava parecchi giorni e specialmente per i bambini erano dei momenti
bellissimi, poiché si cantava, si rideva e si raccontavano storie e
barzellette.
— E dopo si portavano al mulino?
— NO; Sulla facciata delle case più esposte al sole venivano
sistemate delle lunghe pertiche orizzontalmente sulle quali venivano appesi
i mazzi di pannochie, le quali rimanevano un paio di mesi ad asciugare. Durante
1!inverno un po’ alla volta, venivano tolte. Nelle sere invernali ci
si radunava nella stalla in diverse persone e si sgranavano le pannocchie;
si sfregava il tutolo contro la pannocchia e si facevano uscire i chicchi.
Era un lavoro faticoso e lungo e faceva molto male alle mani.
Il tutolo serviva per alimentare il fuoco, le foglie invece venivano usate
come lettiera per gli animali ed i più poveri invece le usavano come
imbottitura per i materassi.
I chicchi venivano portati al mulino dove venivano trasformati in farina per
fare la polenta o usara per gli animali.
a cura di Enrica V.
La spannocchiatura
Mi racconta mio papà che,quando aveva la mia età,
andava ad aiutare nella raccolta del granoturco.
A quel tempo non cerano mietitrebbie per cui la raccolta del granoturco si
faceva a mano, mettendo le pannocchie in un sacco che si portava a traccolla.
Si riempiva così un carro, trainato dal cavallo è si portavano
le pannocchie nella cascina. Si faceva così un gran mucchio sotto la
tettoia.
Di sera, dopo cena si radunava tutta la famiglia per eseguire la spannocchiatura.
Venivano per l'occasione i vicini di casa e gli amici. Era molto divertente
perchè ognuno raccontava una storia, una leggenda o un fatto che era
capitato e si rideva e scherzava tutti insieme. L'operazione della spannocchiatura
consisteva nello spogliare la pannocchia di alcune foglie, lasciandone alcune
rivoltate, come un piccolo ciuffo. Le pannocchie, così spogliate venivano
gettate in un mucchio dove due uomini le prendevano ad una ad una per legarle
in mazzetti con un rametto di salice.
Si procedeva, poi ad appendere i mazzi di pannocchie sui balconi o su tralicci
di legno per farle seccare.
Le facciate delle case, più esposte al sole, assumevano una colorazione
arancione che dava allegria e sembrava illuminare le grigie giornate di fine
autunno.
Durante l'inverno le pannocchie secche venivano sgranate, messe nei sacchi
e portati al mulino per ricavarne farina.
II mulino di Sangano e uno dei pochi funzionanti della zona che macina granoturco
Attualmente è meccanicizzato ma un tempo funzionava con le macine enorme
mosse dalla bealera.
A cura degli alunni Enrico A. e Enrico B.
Nell'antica cascina del Castello dell'Abbazia
La “vià”
Il Carnevale, ai tempi della nonna, iniziava molto presto, anche un mese prima, un gruppo di giovani, alla sera, dopo cena, andavano fuori delle stalle, dove di solite si radunavano diverse persone per la "VIÀ". Si lavorava, si filava, si cuciva, si chiaccherava attorno al lumino a petrolio. Questi giovani cantavano una canzone tradizionale, conosciuta come:
Martina
Di fuori si cantava una strofa e quelli dentro rispondevano con un'altra frase e così via
"Bona seira, viorie,
suma 'd Carlevé
l’uma pensa staseira
Martina venive a canté"
“Che lù; che lì
che lù che lì
che lù, che lì di fora?
suma ‘d Carlevé
i levi fait ben staseira,
Martina amnive a cantè”
Le strofe della canzone erano molte e di solito inventate all'istante, nell'intento di prolungare scherzosamente il più possibile l'entrata nella stalla ai cantori.
L'ultima strofa concludeva la canzone con:
"Durvine 'n po' le porte"
Le porte a sun duverte"
Al che si entrava ed insieme si beveva vino e si mangiavano
noci, nocciole, castagne ecc.
Si visitavano così di sera in sera tutte le famiglie, in particolare
quelle dove cerano giovani. Le ultime sere di Carnevale i giovani si mascheravamo
con abiti vecchi, stravaganti ereditati dalle nonne e andavano nelle famiglie.
L'importante era non farsi riconoscere e stupire la gente che cercava di riconoscerli,
il pranzo tradizionale della domenica grassa dei più poveri era "Pulenta
e budin' polenta e sanguinacci e terminava con frittelle e bugie, i più
benestanti cucinavano gli agnolotti.
a cura di Enrica V.
Le sorgenti
Nella vicinanze di Sangano ci sono alcune sorgenti che non
seccano mai. Quando ci sono le piogge aumentano il loro getto d'acqua quando
vi è la siccità la riducono.
Sulla montagna di San Giorgio in mezzo ai pini vi è una fontana che
si chiama “Gurajà” oppure “fonte Ives”. Vi
hanno messo in una piccola nicchia una bella Madonnina, tavoli panche per
chi arriva stanco e vuole fermarsi a fare merenda all'ombra.
Più in su nel lato opposto ve n'è un'altra, con l'acqua molto
buona che scorre fino alle case sottostanti. Nasce in una macchia di faggi
e la chiamano ”la fontana dei fo”. Anche questa è meta
di comitive allegre. Verso Villarbasse vi è poi la "fontana .che.
bolle", una fontana nella quale l'acqua, uscendo faceva le bolle, pur
rimanendo sempre fresca e buona. La passeggiata alla fontana che bolle è
ormai un tradizione dei bambini del Campeggio estivo di Sangano;in una lunga
fila ogni anno raggiungono la fontana, si fermano per la tradizionale colazione,
giocano e ritornano cantando al "Palasot"
La fontana della Gurajà o "fonte Ives" , nella foto Franca e Dora Lanza anno 1939 circa
La sorgente delle Prese di Sangano situata tra Cà Maroun e Cà Andervet
La fontana che bolle
Particolare: dove ci sono i sassolini sembra che bolle
La Verdina
Quando si andava alle Prese per fare una gita il posto preferito
per pranzare era vicino alla sorgente Verdina anche perchè percorrendo
la strada da Sangano alle Prese si passava prima alla sorgente, che dista
dalla frazione circa quindici minuti di cammino.
Era un posticicino meraviglioso, paragonabile ad un’oasi, poichè
arrivando accaldati, sudati e stanchi su per una strada in salita, molto soleggiata
senza filo d’ombra, ci si sbucava"all’improvviso su questo
piazzale ombroso, circondato da grandissimi e vecchissimi castani frondosi
e da alti alberi ad alto fusto, i quali facevano molta o ombra e l'aria era
fresca e ristoratrice. Dalla montagna poi scaturiva un tubo metallico, dal
quale scendeva l’acqua della sorgente freschissima e limpidissima; essa
scendendo, formava un laghetto tutto circondato da alte felci e pianticelle
acquatiche. Come si arrivava, si metteva subito al fresco bottiglie di vino,
scatolette di carne è di antipasto, pomodori, peperoni (non mancavano
mai); si facevano poi delle gustosissime insalate, condite di tanto buon umore
ed allegria. Le donne che abitavano nella piccola borgata usavano l’acqua
per uso domestico e lavavano i panni nel piccolo laghetto. Il piazzale era
disseminato di grandi sassi sui quali ci si sedeva per pranzare.
Tutte le occasioni erano buone per andare alla "Verdina", il 22
luglio, dedicato a Santa Maria
Maddalena era la prima “Festa
delle Prese”. Moltissimi abitanti di Sangano si radunavano,
prima per assistere alla Messa celebrala dal Parroco, nella piccolissima cappella,
dedicata a Santa Maria Maddalena e poi per pranzare alla Verdina.
C’era chi suonava, la fisarmonica, e c’era Carolina (1887-1961),
con la gerla colma di gelati, aranciate e dolcini vari e c'era tanto buon
umore.
Si cantava, si rideva e poi i più volenterosi si avviavano alla Croce,
situata a Pietra Borga, il punto più alto della Montagna,
di li si vedeva tutto il panorama dei paesi circostanti, e i laghi di Avigliana.
a cura di Enrica V.
La fontana della Verdina
La fontana della Verdina
La fontana della Verdina
Quando a Sangano si coltivava la canapa
La nonna ricorda vagamente quando si coltivava la canapa
a Sangano, ricorda che veniva seminata in luoghi molto umidi, anzi in pantani.
Era una pianta alta, sottile di colore marrone chiaro, quando era matura,
secca veniva tagliata e messa a macerare nell’acqua legata in fasci,
in laghetti o in vasche. Dopo alcuni giorni veniva tirata fuori e poi spelata
“dstiavu” operazione che veniva fatta in casa.
I fuscelli “CANAVOI” venivano usati per accendere il fuoco. La
pelle o corteccia veniva mandata in un laboratorio nel quale veniva pulita,
sfilacciata e selezionata, la più bella veniva definita “RISTA”,
la più scadente "BIUCH".
Le donne per filarla la sistemavano su uno speciale attrezzo, fatto in casa
che consisteva in una canna di bambù, aperta e divisa da una parte
chiamato "RUGA" che si infilavano per comodità nella cintura.
Aiutandosi con la saliva l'indice e il pollice facevano girare questa rista
e con molta abilità la facevano diventare filo il quale veniva arrotolato
anticamente sul fuso e più modernamente sul RUET. Più le donne
erano abili, la rista di buona qualità più il filo era filo.
Questo veniva ridotto in matasse usando l'arcolaio, queste matasse venivano
portate nelle filande qui venivano trasformate in tela con la quale si confezionavano
lenzuola, asciugamani camicie ecc. Invece con il "BIUCH" dopo essere
filato con lo stesso procedimento veniva usato per fare sacchi per granaglie.
Interno Via Giovanni Bert
Interno Via Giovanni Bert
particolari
L’incanto della Madonnina
La prima domenica d'agosto si,festeggiava "La Madonnina"
o "Madonna del Soccorso", preceduta dal a novena di preparazione.
Dopo la solenne processione si svolgeva l'incanto. Adesso si fa tutto alla
sera, ma un tempo tutto si svolgeva nel pomeriggio.
Durante la processione, veniva portata per le vie del paese la statua della
Madonna, dalle ragazze che vestivano un camice bianco ed un lungo velo e facevano
parte della compagnia delle figlie di Maria.
Tutti i parrocchiani avevano portato,in precedenza, in parrochia animali da
cortile, frutti della terra o prodotti artigianali (ceste, scalette, panchette,
taglieri ecc.) e bottiglie di vino. I prodotti offerti venivano esposti in
piazza, dove la gente prendeva posto su panche e sedie. In piedi, su una sedia,
il signor Maletto Michele 1898-1974, un simpatico e anziano sanganese, dava
inizio all'incanto. Prendeva e mostrava al pubblico un coniglio, una gallina
o una cassetta di patate e la offriva alla gente ad un prezzo stracciato.
Le persone cominciavano così ad alzare il prezzo e chi offriva di più
se lo portava a casa. Il Sig. Maletto, essendo una persona di molto spirito,
faceva battute scherzose e provocava bonariamente gli acquirenti. I prezzi
di solito, superavano il valore dell'oggetto, ma era solo un modo per far
beneficienza ed i sanganesi si divertivano così a contendersi le, cose
che essi stessi avevano donato.
Si continuava in un'atmosfera di allegria ed amicizia fino all'esaurimento
di tutti i prodotti. Al termine il Parroco offriva da bere agli intervenuti
ringraziando per le offerte che sarebbero servite per coprire le spese della
parrocchia.
La benedizione degli animali
La benedizione degli animali veniva impartita il 17 gennaio,
festa di S. Antonio., dopo la messa delle ore otto, vi partecipavano tutti
i parrocchiani che possedevano animali e soprattutto bambini, i quali potevano
assistere alla funzione poiché la scuola, allora, cominciava solo alle
nove. Le donnette si mettevano in tasca del pane secco che, a casa, avrebbero
distribuito agli animali rimasti nella stalla. Dopo la messa il Parroco usciva
sul sagrato, dove erano stati portati cavalli, mucche, capre; i bambini portavano
conigli, faraone, cani gatti e a volte anche maiali. Mi ricordo che Dario,
un nostro compagno di scuola molto amico degli animali, aveva portato un’oca
al guinzaglio di una corda ed una coppia di tortore ed io, contro il volere
della mamma, ero corsa a casa a prendere il mio micino prediletto per la benedizione.
Chi non poteva portare gli animali, portava mangime, grano granoturco a benedire.
Era una funzione bellissima, perchè ogni tanto era interrotta da un
abbaiare di un cane o da un muggito o da una corsa per recuperare una gallina.
Era un’usanza molto sentita, perchè Sangano era un comune prevalentemente
agricolo e gli animali costituivano la ricchezza del contadino e gli strumenti
di lavoro. Con la meccanizzazione agricola, accanto agli animali, comparvero
i trattori ed altre macchine agricole. Oggi, cambiando il rapporto uomo-animali
non è più tanto sentita e questa tradizione è caduta,
non avendo più motivo di esistere.
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Maria Teresa Pasquero Andruetto