Il mitragliamento

del trenino

Torino - Giaveno

Carlo Pognante
Ugo Malvisi
Salvina Matana
Michele Ruffino
Parrocchia di San Vito
Parrocchia di San Francesco

Il mitragliamento di Orbassano del 9 gennaio 1945

Per motivi che non sono dati a sapere il 9 gennaio 1945 alcuni aerei mitragliarono in modo massiccio il treno che partiva da Torino alle ore 14.20, carico di operai che avevano terminato il loro turno lavorativo. Il numero dei morti e dei feriti gravi fu veramente pesante: cinquanta persone morte e un gran numero di feriti, tutti civili.
In poco tempo l’ospedale di Orbassano, la sala del Consiglio Comunale del Comune, la Chiesa e il cinema si riempirono di feriti e di morti trasportati e medicati con ogni mezzo. Tra i morti Ugo Malvisi di Sangano. Da quel treno era appena sceso un ragazzo sanganese di 13 anni, Carlo Pognante, di ritorno dall'Istituto Artigianelli.
Da quel treno si salvarono solo le poche persone che riuscirono letteralmente a buttarsi in un fosso laterale alla Stazione; chi tentò di scappare attraverso i campi divenne un facile bersaglio per i mitragliatori.

Carlo Pognante
Sangano

Carlo Pognante - 1932—1945

Pognante Carlo
anno scolastico 1938-39 classe 1° sezione unica Frazione Sangano Comune di Bruino
promosso alla 2° classe
maestra Rosalia Pedemonte

Carlo Pognante - 1938-1939 - Sangano
Ti sia sempre dolce ricordare questi anni la tua maestra Rosalia Pedemonte

Parrocchia dei SS. Martiri Solutore Avventore Ottavio di Sangano
Pognante Carlo Sangano 24 marzo 1941

Carlo Pognante - Piazza della Chiesa Sangano anno 1941-42

Carlo Pognante - 7 maggio 1942 al Campo San Giorgio Sangano

 

ISTITUTO ARTI E MESTIERI
TORINO

Dolentissimi Signori,
partecipo vivamente, al vostro dolore per la perdita del vostro Carluccio, e Vi sono più vicino che mai.
Dal signore e dalla Consolatrice degli afflitti implorerò quel conforto che nessuna parola umana può arrecare e la cristiana rassegnazione per sopportare la terribile prova. Ieri andai a Sassi a visitare col Vicedirettore la cara salma e non mancherò di pregare in suffragio dell’anima sua.

Fr. Alberto

ISTITUTO ARTI E MESTIERI
TORINO

Silvio carissimo,
a te e ai tuoi ottimi genitori il mio vivo ringraziamento per gli auguri onomastici e per il ricordo che serbate di me. Anch’io ricordo sempre il vostro e mio caro Carluccio. Il suo quadro, che rimase anche tutto l’alt’ranno esposto in terza avviamento in mezzo ai suoi compagni, ora è qui nella mia camera. Ormai in prima tecnica dei suoi compagni non ce n’è più che cinque.
E dalla sua fotografia egli continua a sorridermi e ad accompagnarmi nel mio lavoro. Nella certezza che il vostro Carluccio di lassù continua a ricambiare centuplicato tutto l’affetto che gli abbiamo portato proseguiamo la nostra vita ricca di tante spine di tanti travagli nella certezza di poterlo un giorno raggiungere.
Tanti cordiali saluti a Babbo e Mamma; a te un saluto tutto fraterno.

Fr. Carlo
Novembre 1946

CARLO POGNANTE
alunno dell'Istituto Arti & Mestieri di Torino perito tragicamente Orbassano (Torino) 9-1-1945
Carluccio
quando lieta ti sorrideva la vita e lo sguardo tuo limpido e giocondo
allietava la fatica de' tuoi cari
fosti straziato da agguato nemico
e l'anima tua purificata
salì al soggiorno degli eletti
Carluccio
in quest'ora funesta
guardaci e confortaci
lenisci il dolore senza voce
della mamma adorata del carissimo babbo
del tuo Silvio de' tuoi cari tutti
che solo la fede sorregge
e la speranza del tuo eterno amplesso
Carluccio
il tuo olocausto sia preghiera di pace
per noi per l'Italia per il mondo

La cara Salma riposa nel Cimitero di Piossasco.

Pognante Carlo
Vittima per mitragliamento rapito all’affetto dei
genitori e fratello rimasti a piangerlo inconsolabili

Testimonianza di Silvio fratello di Carlo

Quel martedì io ero a Sangano.
Ho visto tre aerei, che mi pareva avessero le insegne francesi, che arrivavano in direzione da Torino, facevano un largo giro verso la collina di Rivoli – Villarbasse e poi si abbassavano su Orbassano.
Mio padre (Pognante Emilio 1900-1970) era ferroviere; era a bordo di un treno in direzione di Torino che aveva incrociato il treno su cui viaggiava mio fratello Carlo, all’incirca nella zona Fornaci di Beinasco. Mio padre mi disse che dietro a quel treno c’era un treno merci, probabilmente un po’ dopo il ponte sul Sangone, anche a Sangano si è sentito l’eco degli spari, nel cortile qualcuno gridava: Mitragliano il treno di Orbassano! Mia madre (Vai Angela 1903-1987), spaventata, disse: Sul treno c’è Carlo! Allora ho preso la bicicletta e mi sono precipitato verso Orbassano; la strada era così gelata che a Bruino sono caduto.
Mentre pedalavo verso Orbassano, ho rivisto gli aerei, che dopo aver mitragliato si alzavano verso Stupinigi, giravano nuovamente verso Torino e la collina di Rivalta e ritornavano a mitragliare su Orbassano.
Quando sono arrivato ad Orbassano il mitragliamento era già finito e mi sono fermato in piazza dove c’era mio zio Luigi che mi disse: Carlo è ferito! L’ho portato su in Municipio al primo piano, è là sulla paglia, buttai per terra la bici e corsi su, mio fratello era coricato in mezzo ad altri feriti; una coperta copriva la gamba.
Mio zio Luigi piangeva; arrivò anche mio zio Giovanni che vedendo Carlo si mise a piangere pure lui, mio zio Luigi aveva cercato di fermare l’emorragia con una cinghia e delle bende.
Chiesi a mio fratello come era successo. Mi disse: Ero nella vettura a circa metà del treno; quando abbiamo sentito mitragliare ho cercato di scappare, ma quattro uomini mi hanno abbracciato buttandomi sotto i sedili dicendomi: - Ti copriamo noi! – In quel momento arrivò la sventagliata. Loro quattro sono caduti morti ed io sono stato colpito nella gamba.
Zio Luigi arrivò subito dopo e, non so come, riuscì a trovare mio fratello; cercò di fermare il sangue e poi lo caricò con altri feriti su di un carro e li portò in Municipio. A quel punto, sapendo che anche mia madre era partita da Sangano in bici, dissi a Carlo: Vado a prendere mamma. Scendendo incrociai mia madre sulle scale e, piangendo, le dissi: Vai su al primo piano, lo hanno preso in una gamba.
Dopo pochi minuti arrivò un’autoambulanza; mio zio Luigi mise Carlo su una barella e con l’aiuto di altre persone, lo caricò per primo sull’autoambulanza, poi caricarono altri feriti. Al momento di far salire anche mia madre, i barellieri non volevano farla salire, ma mio zio Luigi l’ha fatta salire di forza, dicendo loro: E’ la mamma di questo bambino! La destinazione dell’autoambulanza era l’ospedale di Sassi, ma verso Torino c’era il blocco delle brigate nere, che controllavano tutti. Venne fermata, fecero dei controlli. Visto poi che erano tutti feriti gravi, la lasciarono passare.
Appena arrivato all’ospedale, mio fratello fu operato, amputando ciò che restava della gamba; mancava però il sangue per le trasfusioni e la situazione peggiorava.
Accanto a mio fratello vi erano tre o quattro ragazze ferite gravemente che perdevano sangue; il loro sangue si spargeva sotto il letto senza che, purtroppo, nessuno potesse intervenire, mio fratello fu operato verso le 22; il mitragliamento era avvenuto verso le 15. Verso mezzanotte mio fratello disse a mia madre: Mammina ho molto sonno, io dormo, non si svegliò più.
Il treno di mio fratello partiva da Torino, Via Sacchi, alle 14,20 per arrivare a Sangano alle 15,10 circa, mio fratello si era attardato; in realtà doveva prendere il treno precedente, quello delle 12.30.
Serminato di Bruino, che andava alla Scuola Arti e Mestrieri con lui, mi disse che lo aveva invitato a sbrigarsi, ma mio fratello gli rispose che si voleva fermare perché il giorno prima non avevano finito di spiegare le lezioni ed i compiti. Così ha voluto il destino che, tra l’altro, forse ha fatto scampare mio padre alla stessa sorte.
Mio padre che faceva il bigliettaio sulla linea Satti, aveva abitualmente il turno su quel treno, ma proprio quella settimana glielo avevano cambiato. Fu così che incrociò in zona Fornaci il treno di mio fratello, anzì cercò di vederlo, ma non ci riuscì ed ebbe per sempre questo rammarico per il fatto di non averlo più visto vivo.
Sono sicuro che gli aerei fecero almeno tre passaggi di mitragliamento. Il treno faceva una larga curva dalla stazione De Petris per andare in stazione centrale ad Orbassano. Gli aerei hanno attaccato proprio lì, quando il treno ha dovuto rallentare.
Quelli che si sono buttati verso il senso di attacco degli aerei si sono salvati, quelli che sono rimasti sul treno e quelli che si sono buttati dietro sono morti quasi tutti, infatti gli aerei cominciarono a mitragliare abbassandosi quando inquadrarono il treno; la cascina dietro alla fermata era piena dei buchi delle cartucce.
Fra quelli che perirono vi fu Ugo Malvisi (1898-1945) di Sangano che pur buttandosi sotto il treno fu colpito dalle pallottole che perforarono il treno, dicevo che le pallottole erano di tre tipi: calibro 16 perforanti, esplosive ed incendiarie. Mio fratello fu colpito da una pallottola esplosiva che gli spappolò la gamba. Le persone colpite da pallottole perforanti, se non colpite in organi vitali, potevano essere salvate, come successe a molte.
Il direttore delle Scuole Cristiane di Giaveno, Prof. Raiteri, che era stato mio direttore, fu colpito da una pallottola incendiaria ad un braccio, che lo fece soffrire per quasi dieci anni; poi morì per le infezioni, perché c’era fosforo.
La sepoltura di mio fratello ebbe luogo il venerdì 12 gennaio a Sangano con Don Gioana (Parroco a Sangano dal 1916 al 1960). Prendemmo un carro bianco trainato da due cavalli anch’essi bianchi.
Il Parroco voleva mettere un drappo nero sula bara. “Custantin” (Chiarbonello Costantino 1901-1985) disse: Non si può mettere il drappo nero sul carro bianco di un ragazzo di dodici anni! Tolse il drappo e lo diede al Parroco.
Il giorno dopo non sarebbe stato possibile fare la sepoltura, poiché cadde tanta neve, circa 40 centimetri; venivano giù dei fiocchi così grandi che, chiudendo gli occhi, ancora oggi li vedo.
Ricordo ancora che mio zio Giovanni prese la bici di mia madre e la portò in cascina a Tetti Francesi e che la cartella e gli altri effetti personali furono consegnati a mia madre da “Carolina” la nonna di Marisa Delfino.
Siamo poi tornati a vedere il luogo del mitragliamento e mi ricordo che nelle rotaie vi erano conficcate almeno un paio di pallottole e, come ho detto, la cascina davanti alla fermata aveva il muro tutto bucato dai colpi ed è rimasto così fino a quando non è stata demolita.
Dopo il mitragliamento di Orbassano, per precauzione, posizionarono degli uomini con bandiere rosse alla distanza di circa un chilometro l’uno dall’altro, per fermare i treni in caso di attacco.
Anche il figlio della signora Goitre (Armando Giuseppe 1898-1945) fu colpito da una pallottola incendiaria e morì circa un mese dopo (26 gennaio).
Il giorno dopo (27 gennaio 1945) la mamma “Marghitin” Goitre (1877-1945), al ritorno da suo figlio salì sul treno delle 14,20, che venne attaccato tra Bruino e Sangano.
Quel giorno fu un signore in bicicletta che fermò il treno, l’attacco venne da due caccia bombardieri che sganciarono due bombe ciascuno.
Io ero nel cortile di casa Levrino (Via G. Bert, 1); vidi gli aerei arrivare da Orbassano. Ci buttammo a terra per ripararci. Il primo aereo gettò una bomba che cadde dietro l’ultima vettura, facendola deragliare e sbalzandola in alto. Io vidi che la seconda bomba non si era sganciata subito ed infatti cadde a Moranda, dietro la casa di Podio, un conduttore del treno.
Il secondo aereo sganciò la prima bomba sui binari davanti al treno; le schegge colpirono la signora Goitre che, invece di riparasi come fece una sua compagna, tentava di fuggire verso Sangano. Venne uccisa sul colpo.
La seconda bomba cadde oltre la strada, dal lato opposto, facendo, grazie a Dio, pochi danni e solo qualche ferito. Il cortile dove noi eravamo si trovava a circa 700/800 metri di distanza dallo scoppio I vetri delle finestre della casa caddero a causa dello spostamento d’aria.
Insieme ad altri mi recai sul luogo del bombardamento, dove c’era già “Custantin” Chiarbonello, vicino di casa di “Marghitin”; in quel momento giunse anche sua nipote, quella che aveva un cinema a Cumiana ed, ovviamente, cominciò ad urlare non solo per la zia, ma anche biascicando altre frasi sconnesse sulla casa le cui porte erano aperte; per questo Chiarbonello mi mandò a chiudere la casa e lui, insieme ad altri, portò la Goitre al camposanto (di Via San Lorenzo).
Le pallottole erano di tre tipi. Beppe la Guardia (Giuseppe Ruffino 1930-2006) ed io ne abbiamo raccolti quasi due sacchi a Sangano, grosso modo dove adesso c’è il Camposanto (Via Giovanni Gino). E’ una cosa strana perché di solito gli aerei non perdono i bossoli; si vede che ci fu un guasto e che gli aerei persero quel carico a Sangano quando sparirono in direzione delle montagne.

Silvio Pognante classe 1929
Rivalta di Torino, 24 Settembre 2012

 

Ugo Malvisi
Sangano

Ugo Malvisi - 1898—1945

 

Michele Ruffino
Giaveno

Michele Ruffino - 1916—1945

 

Salvina Matana
Piossasco

 

San Mauro 8 febbraio 1920 (Salvina anni 4)

Front 7 maggio 1943

Al centro Salvina Mattana

 

A sinistra Salvina Mattana

Salvina Matana e Teresa Bellino "Gina"

Salvina la seconda da destra in basso

Piscina classe 3° 18 novembre 1940 - insegnante Salvina Matana

Salvina la seconda da destra assistente di Colonie estive

Salvina Matana Via Palestro, 70 Piossasco

 

 

 

 

CONVEGNO “RINA MATTANA,”

Al nome di, Rina Mattana, una delle prime e più entusiaste dirigenti del nostro movimento nel periodo clandestino, propagandista coraggiosa ed instancabile, organizzatrice provetta, redattrice del giornale cospirativo “IN MARCIA,” è stato intitolato un convegno di studio aperto a tutte le donne iscritte alla D. C.
Rina Mattana, molto prima della liberazione e quando la liberazione pareva ancora lontana, aveva voluto dar vita ad un "Centro studi,, femminile per l’esame dei problemi sociali, economici e politici, sotto la guida di esperti maestri. La guerra l’ha strappata violentemente a noi all'età di 27 anni. Sorpresa in viaggio da un mitragliamento aereo è morta ad Orbassano, mentre si recava a trovare i genitori sfollati. Fisicamente non ci è più vicina, ma noi la sentiamo vicina con lo spirito e, nella Sua memoria, abbiamo ripreso gli studi iniziati prima della insurrezione.
Ogni SABATO alle ore 17,30 in via MARIA VITTORIA, 19 ci raduniamo per discutere dei problemi nostri, politici ed amministrativi, per portare un contributo al perfezionamento del nostro programma.

Tutte le iscritte, di qualsiasi categoria, possono intervenire per ascoltare e discutere.
A tali convegni sono invitati in modo particolare le intellettuali.
I temi possono essere proposti dalle partecipanti stesse.

 

Parlare di SALVINA MATANA e come far passare un fremito nel cuore della gente!
E’ noto,forse a tutti, che è morta, a soli 28 anni, qui ad Orbassano nel mitragliamento del trenino il 9 gennaio 1945.
Era una maestra elementare laureata, impegnata con zelo e convinzione e nota generosità, su vari fronti.
La sua fede profonda, la sua forte sensibilità psicologica, il senso alto del dovere, la sua disponibilità e le sue esperienze di aiuto fraterno con molti, avevano maturato in Lei una personalità attenta ai bisogni della gente e pronta all'azione ovunque potesse essere utile.
Personalmente io non ho avuto la fortuna di conoscerLa, ma vivo nell’Associazione che da Lei prende nome, impegno ed esempio, e la vicinanza di 35 anni con Teresa Bellino (nostra fondatrice e Sua Presidente di A.C. formatrice d'anime) che sempre ci parlava di Salvina, ci portò a consultare scritti e documenti che la riguardavano.
Da piccolissima Salvina fu orfana di madre; viveva con un padre eccezionale per intelligenza, bontà, cultura religiosa, sociale e politica che ha profuso il meglio di se nella Scuola (fondando anche l’Associazione Nicolò Tommaseo) e una seconda mamma buona, retta, onesta ma psicologicamente molto diversa dal padre e da Salvina.
Il padre la seguiva negli studi e nell’educazione; poi riscontrando nella figlia un robusto ed equilibrato cammino anche spirituale, resto tranquillo, e si dedicò a pieno alla sua professione di maestro elementare e alla missione della sua Associazione aveva dichiarato a Teresa Bellino:"seguii Salvina per un buon tratto, e poi non ho più potuto, tropo ardue le sue strade."
In Azione Cattolica, oltre all'impegno di sua formazione di fede, fu delegata Aspiranti e poi Vice Presidente di Gioventù Femminile; seguì con amorevole cura un gruppo parrocchiale di Lavoratrici domestiche della Crocetta di Torino. Con alcune di queste giovani lavoratrici teneva anche corrispondenza e la Sua delicatezza apostolica non faceva mai avvertire differenze di condizione sociale.
Come studente Universitaria faceva parte della FUCI, frequentava una Congregazione Mariana, da entrambe ricavava aiuti per la sua formazione interiore e per la vita apostolica e di testimonianza.
Nel suo lavoro di insegnante intravvedeva tutto il suo compito missionario: sviluppare tutte le facoltà dell'uomo nel sole del cristianesimo, fu anche assistente di Colonie estive.
Nella D.C.,nel periodo cospirativo, diede tutto il suo cuore e il suo coraggio.
Partecipava a riunioni interpartitiche clandestine, teneva conferenze di propaganda (era addetta all'Ufficio Stampa) e diffondeva stampa clandestina. Sul suo corpo irrigidito dalla morte, fu trovato il foglio di battaglia "In marcia" .Aveva dato vita ad un Centro Studi femminili per l'esame di problemi socio-econonici-politici.
L'onorevole Emmanuela Savio aveva detto:"Salvina è donna da Parlamento IT".
Nell’ospedale di Sassi (To) nelle vacanze estive degli anni di guerra, curava i Feriti quale infermiera crocerossina volontaria.
Pur avendo un forte amor patrio, affermava che il dolore e la carità spianavano le barriere e compativa quel tedesco ehe accecato dal male la prendeva a pugni durante la medicazione diceva: “il dolore, da nemico, me lo ha reso fratello".
Visitava le carceri ed era Sua intenzione al termine della guerra, dedicarsi alle carcerate dimesse per facilitare il loro rientro sociale e famigliare. L'altro Suo segno post guerra era dar vita ad un'Associazione "perchè l'impegno spirituale di Teresa Bellino non andasse perso".
La Sua religiosità: morente disse al Parroco di Orbassano d'allora (Don P. Giordano ) e tutto amore che viene da Dio. Ho tanto desiderato fare del bene e consacrarmi a Dio.
Il P. Goria gesuita, Suo Padre spirituale, nella commemorazione per il 10° anniversario di morte di Salvina così definì, in sintesi concreta e profonda la sua vita: “una missione di luce, una missione di amore, una missione di sangue."
Fece olocausto di sua vita per il bene dell'umanità. Nella Sua borsa da viaggio riconsegnata al papà da Don Giordano,c'era il libro della sua meditazione giornaliera La Vita interiore semplificata del Pollien,segnato dalla pagina del capitolo"Nelle braccia di Dio".
Morì per fare piacere all'amica Teresa Bellino (ritirare un pacco con buono UNRA per un taglio di tessuto); spostò l'orario di partenza del treno,diretto a Piossasco in visita alla Sua famiglia ivi sfollata.
Era nota per il suo instancabile servizio fraterno di carità per chiunque fosse in bisogno, e la sua semplicità mentre lei agonizzava e moriva sulla neve in un angoscioso contrasto di sangue e candore, una donna con ideali politici tanto diversi dai suoi, ritirava da una portinaia di Via Pigafetta, un pacco di pane da Lei lasciato. Aveva confidato ad un’amica:"pensa tanto diverso da noi, ma ha bambini, e la carità per essere tale non deve conoscere barriere".
Alcune famiglie del suo vicinato avevano sovente problemi perchè i mariti eccedevano nel bere e si creavano liti facili .Le mogli sovente chiedevano l'intervento di Salvina che riusciva a riportare la pace. Questi uomini, frequentatori d’una bettola di V. Pigafetta, nell'isolato di abitazione di Salvina, alla sua morte hanno detto “una donna così non doveva morire".

 

Il fiore

Salvina Mattana era nata a Torino il 4 novembre 1916 dal professor Felice e dalla signora Teresa Divià. Una di quelle famiglie che sfiorano le categorie della borghesia e dell'aristocrazia, ma che sono alternative ad entrambe per la finezza dei rapporti, la profondità del dialogo, per un sistema di valori cristallini e forti. Capaci di aprirsi all'esterno, senza compromettere la compattezza interna, grazie ad una visione dell'altro come svelamento del totalmente Altro e dunque cristianamente orientate, politicamente impegnate, umanamente ricche di comprensione. Famiglie di cuore, di intelligenza, di azione.
Salvina affronta le tappe della sua maturazione umana e cristiana con disinvolta sicurezza, si laurea in Lettere e filosofia, acquisisce una profonda competenza pedagogica e si dedica all'insegnamento. Curiosa e generosa si impegna in una serie crescente di esperienze associative, dall'Azione cattolica al volontariato negli ospedali, dalle organizzazioni universitarie alle attività assistenziali per i bambini.
Ha una personalità complessa, che riesce a organizzare facendo scelte difficili e dandosi obiettivi straordinari. Coltiva l'idea di consacrarsi totalmente a Dio, fa il voto di castità perpetua e si offre come vittima al Divino Amore, imprimendo alla sua passione apostolica e civile una dimensione mistica di alto profilo. Ha bisogno di dare.
Sulla scia di suo padre, attivissimo protagonista della vita sociale e politica di Torino, si occupa di problemi politici, sociali, assistenziali e religiosi. Assume incarichi di prestigio e di responsabilità nell'Azione cattolica femminile, fa parte della «Pia unione delle figlie di Maria», fa parte della FUCI, in cui si ritrovano gli universitari cattolici italiani, si occupa delle domestiche, dedicando loro tempo e risorse con particolare delicatezza apostolica, fa la vigilatrice dei bambini nelle colonie estive, l'infermiera nell'ospedale di Sassi durante la guerra, entra nel partito della Democrazia cristiana e assume l'incarico di delegata stampa e propaganda nel periodo della Resistenza. Tiene conferenze, partecipa a riunioni clandestine interpartitiche.
Viene falciata da un mitragliamento aereo sul trenino Torino-Orbassano-Giaveno, e muore a Orbassano il 9 gennaio 1945.
Il parroco di Orbassano, don Pietro Giordano, che le si avvicina per somministrarle l'Unzione degli infermi, sente le sue ultime parole: «Ho tanto desiderato di fare del bene. È tutto amore quello che viene da Lui. Fiat(1)».
Sul suo corpo il foglio di battaglia «In marcia».
Aveva 28 anni. Vicino alla sua bara, il giorno del funerale, c'è Teresa Bellino, la partigiana Gina, l'amica del cuore, la maestra prediletta. Quella fila di bare disegna l'incommensurabile ingiustizia di tutte le guerre. Gli occhi di Teresa sono inchiodati su quella di Salvina, la sua figlia spirituale. Le chiede scusa di non
avere nemmeno un fiore per dirle che la nostalgia di lei non verrà mai meno. Siamo in inverno, siamo in guerra, non è tempo di fiori. Teresa prega. Poi deve allontanarsi e quando si gira per dedicare a Salvina un ultimo sguardo nota un fiore accanto alla bara.
Non sappiamo molto di più di Salvina Mattana. Ma disponiamo di un documento, scritto da lei, che traccia uno straordinario profilo di Teresa Bellino. Lo riportiamo all'inizio di questa biografia, perché ce ne fornisce le chiavi di lettura e perché è il prologo di una originale avventura spirituale, che ha come protagonista una potente figura femminile, in cui si fondono i profili di due donne: quello di Salvina Matana, nella parte del seme e quello di Teresa Bellino nella parte del seminatore.
Teresa e Salvina spiegano, in maniera convincente, come le nostre esperienze di vita, per essere significative, non possono basarsi su distinzioni e divisioni di compiti e ruoli. Il maestro che non si fa allievo non educa. Il seminatore che non si fa seme non raccoglie. Il genitore che non si fa figlio è sterile.
Salvina e Teresa, due forti personalità, hanno dimostrato una straordinaria capacità di fusione non solo tra loro ma anche con il mondo in cui hanno vissuto, traducendo la loro passione politica in lotta per la libertà, la loro dedizione apostolica nella scelta radicale di Dio, il loro servizio sociale ed educativo nella concretezza della carità evangelica.

Dal libro:
Mai più di tutto il cuore
Profilo biografico di Teresa Bellino (1907-1993)
Giampaolo Redigolo
Ancora editrice 2006

(1)-Fiat voluntas tua = sia fatta la tua volontà.

Piossasco Parrocchia di San Vito

La Buona Parola
Febbraio 1945.

Adunanze e Conferenze straordinarie. Allo scopo di favorire la coltura intellettuale, morale e religiosa dei nostri parrocchiani e per avviarli sempre più ad una pratica razionale e completa della Fede cristiana, sono stati tenuti corsi di conferenze da vario genere e alle diverse sezioni dell’attività parrocchiale.
1°) Alla Gioventù femminile furono tenute tre lezioni sulla Carità (nel mese di dicembre), le quali dettero il loro frutto nel concorso che le Giovani prestarono per i pacchi natalizi alle famiglie bisognose, facendo abbondanti offerte.
2°) Gli Uomini e i Giovani ebbero due Conferenze il 31 dicembre e il 1° gennaio; la prima sulla “Libertà” e fu svolta dal Prof. Cav. Filippo Matana, la seconda sul “Miracolo venduto da un medico”, fu svolta precisamente da un medico, in altre parole dal Prof. Stefano Battistini. I presenti furono numerosissimi, riempiendo il salone in modo insolito.
3°) Alle Donne, radunate nelle sere del sei e del sette gennaio, fu trattato il tema “La Madre e il Fanciullo”. La prima sera parlò la sig.na Salvina Mattana, che nella sua qualità di Maestra, svolse con competenza il suo argomento sulla missione educatrice della Madre.
Purtroppo dobbiamo affermare che questa fu l’ultima conferenza della sig.na Matana, poiché essa perdeva tragicamente la vita nel pomeriggio del giorno 9 gennaio nel barbaro mitragliamento del treno, avvenuto ad Orbassano. Lo stroncamento, in modo tanto tragico, di questa giovane vita così piena di belle speranze, ha destato nel paese un doloroso rimpianto. In Lei l’Azione Cattolica perde un prezioso elemento, poiché la sig.na Matana, che era Vicepresidente dell’Associazione giovanile della Crocetta in Torino, svolgeva ampiamente in parrocchia e fuori la sua collaborazione attiva ed entusiasta per tutte le opere di bene per l’evento del regno di Cristo nel mondo. Lascia totalmente soli i suoi amati genitori, dei quali possiamo comprendere il vivo cordoglio; per loro per Lei leviamo speciali preghiere a Dio.

Piossasco - mensile a cura del Vicario Giuseppe Fornelli

Il mitragliamento del trenino

Durante la guerra gli autobus non facevano servizio per mancanza di benzina e i piossaschesi, che dovevano recarsi a Torino, andavano a piedi a prendere il trenino a Bruino (che era il tragitto più breve) o a Orbassano.
9 gennaio 1945: una giornata iniziata come tante altre in quel triste periodo bellico, ma nel pomeriggio, verso le sedici, a Piossasco si sparse la voce che era stato mitragliato il trenino a Orbassano e l'angoscia si impadronì di tutti.
Gente incredula, volti sgomenti!
"Possibile? Ma è sicuro ciò che si dice?"
"Pare; così abbiamo sentito raccontare, ma per ora le notizie sono incerte, frammentarie..."

"Ci sono morti?"
"Non sappiamo..."
"E mia sorella, avete notizie di lei? viaggiava su quel mezzo di trasporto!" chiese una donna angosciata, giunta in quel momento.
"Non si sa nulla di preciso; tali informazioni sono arrivate ora".
"E mia madre, sapete qualcosa? Anch'essa era su quel trenino!".
"Nulla, proprio nulla".

L'angoscia in paese cresceva, la gente usciva in strada piangente. Chi si precipitava a Orbassano in bicicletta, chi a piedi, per sapere, per avere informazioni più precise sui propri congiunti.
Un malfermo e sgangherato "trabiccolo", così innocuo e talmente inoffensivo da sembrare al giocattolone un po' scas-sato di un bimbo, era stato preso di mira da aerei nemici, che l'avevano mitragliato.
Partito da Torino alle quattordici e trenta, stava percorrendo la solita strada di tutti i giorni col suo fischio acutissimo, che metteva allegria ovunque attorno a sé, ignaro del tragico destino che l'attendeva.
La gente, seduta sui rozzi sedili di legno, chiacchierava, leggeva, guardava dal finestrino la campagna sconfinata in quella livida giornata invernale.
Ma ecco, d'improvviso, apparire quattro apparecchi alti nel cielo e, subito, un senso di inquietudine cominciò a impadronirsi dei viaggiatori "Che siano dei nostri? E se si trattasse di velivoli nemici? Se così fosse... mio Dio, saremmo in pericolo! Fortuna che si sta per arrivare ad Orbassano" questo era il pensiero di coloro che avevano notato le presenze degli uccelli d'acciaio nel cielo.
Il trenino procedeva nel suo percorso, mentre gli aerei, avvicinandosi, diventavano sempre più grandi, sempre più mi-nacciosi. Ormai non c'erano più dubbi: eccoli abbassarsi pau-rosamente in picchiata, col rombo assordante dei motori, ac-compagnato dal "ta ta ta ta ta ta ta" delle mitragliatrici. Uccelli d'acciaio, apportatori di morte, che si stavano avventando senza pietà sulle loro prede inermi, vittime di carnefici di cui non potevano scorgere i volti.
Urla di terrore e di disperazione di tanti poveretti intrappolati in quei vagoni, che cercavano di mettersi in salvo: chi si nascondeva sotto i sedili, chi tentava di scendere dal treno, per allontanarsi da quel luogo maledetto, chi correva impazzito dal terrore senza una direzione precisa, chi, impietrito dallo spavento, non riusciva a muovere un passo.
"Ta ta ta ta ta ta ta" e intanto i mostri orrendi sputavano fuoco sul mezzo di trasporto, sulla strada, sui muri di una cascina vicina, formando buchi visibilissimi, ovunque essi colpivano.
La gente scendeva dal treno, faceva qualche passo di corsa e cadeva falciata dalle raffiche delle mitragliatrici, che non davano tregua, uccidendo, annientando, distruggendo, sterminando senza pietà il nemico, anche se esso aveva il volto innocente e sgomento di bimbi terrorizzati, che invocavano pietà o l'aspetto di giovani donne, che del conflitto bellico non ne potevano nulla o il viso rugoso di vecchi, che avevano in odio la guerra.
Un inferno di fuoco, in cui le grida di terrore dei malcapitati erano coperte dal rumore assordante degli aerei e dai colpi sparati a ripetizione.
Quali saranno stati, in quei terribili attimi a tu per tu con la morte, i pensieri di quelle povere vittime intrappolate, che cercavano disperatamente di mettersi in salvo?
Forse, fra tutto quell'orrore, sarà apparso davanti a loro il volto sorridente di un figlio, di un padre, di un marito, di una mamma, oppure il nulla si sarà presentato in quegli istanti davanti a codesti sventurati, il baratro, essendoci il vuoto nella loro mente provocato dal terrore, cancellando così ogni possibilità di riflessione.
E coloro che dall'alto avevano in quegli istanti in pugno la vita di tanti poveretti? Quali saranno stati i pensieri di quelli che azionavano le mitragliatrici?
Il senso del dovere, essendo forse convinti che quello fosse un convoglio militare che andava distrutto? Oppure un odio smisurato verso il nemico, chiunque egli fosse, che si incarnava e concretizzava in quel momento in coloro che viaggiavano sul trenino che, sfortunate vittime innocenti, non potevano difendersi, ma solo cercare di fuggire?
Quanto durò quella carneficina? Pochi minuti che sembrarono un'eternità: momenti, quelli, in cui il tempo parve fermarsi e non più procedere, poi i mostruosi uccelli d'acciaio si allontanarono, scomparendo nel cielo.
Cadaveri ovunque, borsette e scarpe sparse dappertutto, sangue sulle rotaie e sulla strada.
L'assordante rumore degli aerei e delle mitragliatrici aveva fatto posto ai lamenti dei feriti e agli urli di terrore e di raccapriccio degli Orbassanesi, che accorrevano da ogni parte, sgomenti.
La notizia si sparse in un battibaleno nei paesi vicini, da cui cominciarono ad arrivare i parenti delle vittime: scene strazianti davanti ai congiunti deceduti, che erano stati condotti provvisoriamente, con carrette di fortuna, nella stalla di una cascina vicina.
Chi era rimasto illeso era ugualmente sporco di sangue e aiutava a trasportare i morti e a soccorrere i feriti, che furono immediatamente ricoverati negli ospedali della zona.
Quante donne, quanti bimbi, quante persone non fecero ritorno quel giorno nelle loro famiglie!
Una tragedia immane, che accomunò tragicamente tutti i paesi del circondario.
E i superstiti? Avranno mai potuto dimenticare quegli attimi maledetti? Quale sarà stata la loro esistenza dopo quel malaugurato pomeriggio? L'essere stati tanto vicini alla morte, non può non incidere nell'animo e non lasciare profonde tracce impresse in esso!
Ecco come il parroco di Piossasco di allora, Don Gianolio, ricorda le vittime nel bollettino del mese di febbraio 1945:

Dal libro:
Piossasco All’ombra del suo campanile
Miranda Cruto
Get Editrice – luglio 1998

Piossasco Parrocchia di San Francesco
L'Angelo della Famiglia
Gennaio 1945

Cronaca
Il 9 gennaio ha segnato una ben triste giornata per noi e famiglie ospitate nel nostro paese. II feroce mitragliamento del tram a Orbassano ci ha colpiti assai duramente. Anche fra noi morti e feriti, terrore e lacrime, corpi straziati, speranze infrante, cuori lacerati. Ci stringiamo con tutto l’affetto a queste care famiglie per compatire, pregare e consolare un poco se è possibile. L'amore sincero è una preziosa medicina pei cuori angosciati.
Preghiamo per la giovane mamma Matilde Mondino nata Gandiglio di anni 21, che ha lasciato nel lutto il suo piccolo Gilberto ed il suo giovane sposo Mondino Vittorio, invalido e lontano dalla sua casa, inconscio forse della sua famiglia e dell'immane sventura.
Preghiamo per l'altra ottima giovane mamma Rina Clotilde Pallavicini nata Rapallino di anni 28, rapita ai suoi cari lasciando una tenera bambina, la piccola Franca di anni 2.
Preghiamo per la Sig.na Dott.ssa Salvina Mattana di anni 28, e pei suoi angosciati genitori, che con essa hanno perduto tutto sulla terra.
Anima nobilissima, ardente di fede, che pel Signore tutto sapeva sacrificare, che tendeva a tutte le virtù con un eroismo da santa, che pesava la vita soltanto sulla bilancia dell'eternità, tutta affetto, lavoro e purezza, gioia radiosa nella famiglia, delicata artefice di anime nella scuola, candido e profumato giglio nel mondo.
Dio l’ha scelta e chiamata a se per darle subito il premio, che ella tanto bramava e per cui viveva, la sua visione e il suo perfetto amore.
E così Ella è felice e veglia sopra i suoi cari. Perchè piangere se Ella è felice?
Per queste tre care vittime e per le loro famiglie la preghiera e l'amore.

 

Una giovane vita spezzata

Quante esistenze troncate in quell'infame mitragliamento, quanti sogni infranti in un attimo, quante speranze spazzate via nel giro di pochi istanti!
Quella che mi accingo a narrare, è la storia di una delle tante persone che viaggiavano sul malaugurato trenino. Una giovane mamma se ne stava tornando a casa, quel pomeriggio, con uno scatolone accanto a lei.
In esso era contenuta una bambola, una bella pupattola bionda col vestito turchino: era il regalo per la sua figlioletta, che l'indomani avrebbe compiuto tre anni.
Seduta su quel treno, dimentica per un momento della guerra e delle sue brutture, la donna sorrideva, pensando alla festicciola che aveva organizzato per la sua bambina per il giorno dopo: una cosa semplice, alta buona. Già pregustava in cuor suo quegli attimi e le pareva di sentire i gridolini di gioia della piccola Franca, nel ricevere il dono che tanto desiderava.
Le poche bambole in vendita nell'unico negozio di giocattoli del paese erano tutte brune e la sua piccina la voleva bionda; per questo si era recata a Torino, per portare alla sua bimba una pupattola con i capelli color del sole. Era riuscita a procurarsela a gran fatica, attraverso conoscenti, in quel triste periodo di guerra, in cui tutto mancava, ma l'amore materno non conosceva ostacoli ed ora, fatto l'acquisto, se ne tornava a casa felice.
Quel mattino, chissà perché, la bambina non voleva che partisse: "Mamma, non andartene; non abbandonarmi!" diceva, stringendosi alla genitrice, ma il compleanno era l'indomani e non poteva lasciare la figlioletta senza un regalo in quel dì del tutto particolare: glielo aveva promesso.
Ora, se ne tornava verso casa col suo dono d'amore. Doveva rientrare di fretta, perché ogni cosa fosse pronta per la festicciola a cui avrebbero partecipato tre piccole invitate: le amiche più care della sua Franca. Quanti preparativi quella sera!
Una mamma con una bambola su un trenino che procedeva veloce, una bimba a casa in attesa. L'indomani, che ambedue sognavano come giornata felice e serena, da trascorrere nell'intimità di una dolce ricorrenza familiare, sarebbe stato per loro sinonimo di morte, a causa di mostri orribili piombati d'improvviso dal cielo, ad annientare, a uccidere, a strappare una madre alla sua piccola, privando quest'ultima dell'amore materno.
"Ta ta ta ta ta" gli spari di una mitragliatrice spensero per sempre il sorriso della donna, giacente ora a terra in un lago di sangue. Nello scatolone, a pochi passi da lei, una bambola dai capelli d'oro, che una mamma non avrebbe mai potuto donare alla sua bambina.
Nella casa, una bimba, in vana attesa della madre, che non sarebbe più tornata.

Dal libro:
Piossasco Ieri
Miranda Cruto
AGAT Editrice – luglio 1995

 

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Maria Teresa Pasquero Andruetto